Quattro dei cinque amministratori nominati per l’infrastruttura sono riferibili a Forza Italia. Il quinto è un avvocato leghista. A dimostrare che i meloniani vogliono tenersi a distanza da un’opera dalle prospettive come minimo incerte

L’ombra di Silvio Berlusconi si proietta sullo Stretto di Messina. In fondo, che glielo intestino o meno, il ponte è una parte della sua eredità e Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle infrastrutture, l’ha sostanzialmente usurpata offrendo una dote da 50 milioni di euro. È questo il tesoretto di partenza della Stretto di Messina (Sdm), società pubblica costituita nel 1981 dal presidente del consiglio democristiano Arnaldo Forlani e riesumata dalla liquidazione. Le nomine al vertice, invece, sono rimaste nell’area forzista con appena qualche modesta colorazione padana mentre il capo del governo Giorgia Meloni ha deciso di prendere le distanze da un’opera di incertissime prospettive ingegneristiche e di rovinoso impatto sulle finanze statali, anche per la penale da versare al consorzio in caso di revoca.

 

Nel nuovo cda della Stretto di Messina non ci sono tracce di Fdi, come se il partito di maggioranza relativa avesse deciso di stare alla finestra e lasciare agli alleati la guida strategica di un intervento che dovrebbe portare Salvini a inaugurare i cantieri nella primavera-estate del 2024. Fino a quel momento a gestire la partita del collegamento fra Sicilia e continente saranno gli alleati. Il vertice è targato Gianni Letta, dunque berlusconismo nella sua versione ecumenica sopravvissuto al suo stesso inventore.

 

Le deleghe della società sono in mano a Pietro Ciucci, che a Letta senior è legato da sempre. La carriera del dirigente classe 1950 è quasi troppo lunga per essere descritta come merita. Di sicuro, per l’ex Fintecna è un ritorno nella società che ha guidato fino al 2012 prima di assicurarsi la guida dell’Anas per un triennio. Pur essendo andato in pensione nel 2013, l’allora premier Enrico Letta lo aveva confermato nell’incarico. Le dimissioni sono arrivate nell’aprile del 2015 dopo alcuni crolli stradali e incidenti e con una buonuscita da 1,8 milioni di euro.

 

Durante il suo mandato in Anas, Ciucci ha mostrato una grande dimestichezza con le inaugurazioni di gallerie e svincoli. Una di queste occasioni celebrative, quella per il viadotto siciliano Scorciavacche, aperto al traffico il 30 dicembre 2014, crollato una settimana dopo e riaperto al traffico soltanto a fine marzo 2023 dopo otto anni e tre mesi dal taglio del nastro, ha procurato a Ciucci un processo finito in prescrizione.

 

Passato quasi indenne dagli scandali delle consulenze d’oro per il Mose e della Dama nera dell’Anas Antonella Accroglianò, con una richiesta di danno erariale per 32 milioni che ha coinvolto anche lui, l’economista Ciucci si ripresenta ai blocchi di partenza insieme a un presidente ingegnere, Giuseppe Recchi, che è più giovane di quattordici anni, ma ha un carnet di incarichi riconducibile alla stessa area di influenza politica dell’ad di Sdm. Recchi, membro della famiglia di costruttori torinesi che si erano legati a Bettino Craxi durante la Prima repubblica, è stato presidente di General electric South Europe. Poi è passato dalla presidenza di Eni nel 2011, su designazione del governo Berlusconi IV, e di Telecom Italia nel 2014, prima che la famiglia Berlusconi e Vincent Bolloré rompessero i rapporti in modo traumatico.

 

Nell’ultimo periodo, Recchi ha lavorato nel settore sanitario come responsabile dell’area Europa della multinazionale Affidea, specializzata in diagnostica per immagini, analisi di laboratorio e fisioterapia con 58 centri in Italia.

 

I consiglieri che completano la squadra degli amministratori sono tre. Eleonora Mariani, 47 anni, è responsabile dell’ufficio legale di Anas dallo scorso novembre ed è fiduciaria diretta di Ciucci che la assunse alla Sdm nel settembre 2010. L’altra donna del quintetto è Ida Angela Nicotra 58 anni, avvocato e docente di diritto costituzionale a Catania, messa in cda su suggerimento di Renato Schifani, presidente della Regione siciliana uscito da Forza Italia nel 2013 per essere riaccolto come il figliol prodigo dal Cavaliere sette anni più tardi. Chiude il gruppo un altro avvocato, il rotariano Giacomo Francesco Saccomanno del foro di Palmi, già consulente dell’autorità portuale di Gioia Tauro. Dal febbraio 2021 Saccomanno è il commissario per la Calabria della Lega, che alle elezioni vinte dal forzista Roberto Occhiuto nel novembre del 2021 ha raccattato un modesto 8,3 per cento in netto calo rispetto al voto precedente (12,2 per cento).

 

Sul fronte del consorzio Eurolink, affidatario dell’opera dal lontano ottobre 2005 del governo Berlusconi III, per adesso non si registrano movimenti. La quota di riferimento (45 per cento) è in mano a Webuild, controllata da Pietro Salini con l’appoggio pubblico di Cdp. La seconda partecipazione (18,7 per cento) è degli spagnoli di Sacyr che hanno già festeggiato la rinascita del progetto ponte. Soprattutto perché la vecchia cifra per l’appalto, 3,9 miliardi di euro, è più che triplicata.

 

La terza quota, pari al 15 per cento di Eurolink, è riferibile a Condotte che è finita in amministrazione straordinaria nel 2018 ed è stata ceduta lo scorso aprile al gruppo Sorgente di Valter Mainetti per un pugno di euro (14,2 milioni). Mainetti ha lasciato intendere che farà valere i 7 miliardi di euro portafoglio lavori della storica impresa fondata alla fine dell’Ottocento, anche se potrebbe cercare un accordo con Salini.

 

Il quarto azionista con il 13 per cento, la Cooperativa muratori cementisti (Cmc) di Ravenna, Cooperativa muratori cementisti (Cmc) di Ravenna, che fu una delle maggiori coop rosse nell’edilizia, è ancora in mano ad Antonio Gaiani, Andrea Ferri e Luca Mandrioli, i commissari addetti al concordato. Le due quote residuali di Eurolink fanno capo ai giapponesi di Ihi (6,3 per cento), colosso da oltre 10 miliardi di dollari di ricavi, e per il 2 per cento al consorzio Argo guidato da Beniamino Gavio, che finanziò il Pd di Matteo Renzi. È solo una traccia rosa tenue sul ponte azzurro forzista.