In ballo, dietro il rinvio del voto sulla proposta Cinque stelle sugli stipendi parlamentari, c’è il referendum costituzionale. Con un paradossale gioco delle parti: la maggioranza favorevole alla riforma si è schierata contro i risparmi che avrebbe consentito il provvedimento; Forza Italia, solitamente contraria ai tagli, a favore

Da una parte la solita guerra di cifre: 87 milioni di risparmio sventolati da Beppe Grillo (30 in più di quelli della riforma Boschi calcolati dalla Ragioneria generale dello Stato), mezzo miliardo nelle cifre indicate dalla maggioranza per effetto della modifica della Costituzione. Dall’altra le urla degli attivisti (“Vergogna”, “Onestà”), le offese (“Vigliacchi”, “Gentaglia pericolosa”), gli sfottò di risposta (“a Roma più frigo in strada che gente in piazza”).

Un clima rovente comprensibile ha accompagnato il ritorno in commissione Affari costituzionali del disegno di legge del Movimento cinque stelle che taglia lo stipendio dei parlamentari, arrivato in Aula senza aver concluso l’iter istruttorio.

A motivare tanta bile, in entrambi gli schieramenti, il fatto che in ballo non c’è solo la proposta di legge firmata da Roberta Lombardi ma ben di più: la saldatura delle varie anime che si oppongono alla riforma costituzionale. Con il consueto gioco delle parti che stavolta ha generato esiti paradossali: il Pd e la maggioranza, che propugnano il “Sì” al referendum per tagliare i costi della politica, hanno votato per rinviare l’esame del provvedimento, malgrado l’ulteriore risparmio di denaro pubblico; tutte le opposizioni si sono invece espresse a favore del voto immediato, compreso chi come Forza Italia è solitamente allergico a interventi in questo senso.

Ma cosa prevede esattamente il ddl del Movimento cinque stelle? Che sacrifici economici comporterebbe per i parlamentari? E quali sono le critiche (e le controproposte) del Pd? Ecco una breve sintesi.

INDENNITÀ PARLAMENTARE
Attualmente è agganciata a quella dei magistrati con funzioni di presidente di sezione della Corte di Cassazione: ammonta a 10.435 euro lordi per i deputati (5.247 netti, a cui vanno sottratte le addizionali regionali e comunali) e a 10.385 per i senatori (5.305 netti). Per chi svolge un’attività lavorativa la cifra scende a 9.975 euro a Montecitorio e 10.065 euro a Palazzo Madama (rispettivamente 4.750 e 5.122 netti).

Con la proposta di legge Lombardi l’indennità viene fissata in cinquemila euro lordi (circa 3.300 netti), che andrebbero ogni anno rivalutati in base agli adeguamenti Istat previsti per i lavoratori dipendenti. Stessa cifra massima anche per l’indennità dei consiglieri regionali.

Per il Partito democratico si può parlare del taglio all’indennità, ma solo dopo il voto sulla riforma Boschi che riduce il numero degli eletti da 945 a 630. Nei giorni scorsi il premier Matteo Renzi ha proposto di legare l’indennità alle presenze effettive in Aula. Attualmente per risultare assente un parlamentare (e subire una decurtazione di 206,58 euro dalla diaria) deve mancare ad almeno il 30 per cento delle votazioni elettroniche, che però si svolgono solo in alcuni i giorni. Tutte le richieste di conteggiare la partecipazione ai lavori delle commissioni parlamentari, dove si svolge il vero lavoro sui disegni di legge - come quella avanzata dall'associazione Openpolis - sono finora sempre andate a vuoto.

INDENNITÀ AGGIUNTIVE
A quella “semplice”, i parlamentari titolari di particolari cariche hanno diritto a una serie di indennità aggiuntive, già ridotte del 30 per cento a inizio legislatura. Ad esempio, circa 1.200 euro netti in più per i presidenti d’Aula e di commissione (250-300 euro per i vice), e via di questo passo fra capigruppo e segretari.

La proposta di legge del Movimento cinque stelle ne prevede la totale abolizione.

DIARIA
Fino al 1965 la diaria veniva erogata soltanto ai parlamentari non residenti a Roma. In seguito, per ragioni di “equità”, è stata estesa a tutti gli eletti: attualmente è pari a 3.500 euro esentasse. I grillini vorrebbero accorparla con i compensi erogati per gli spostamenti: 3.323,70 euro a trimestre per i trasferimenti da Fiumicino alla Camera di appartenenza e da casa all'aeroporto più vicino se la distanza è inferiore a 100 chilometri, 3.995 euro se è superiore.

Nella nuova versione la voce si chiamerebbe “rimborso delle spese di soggiorno e di viaggio”: massimo 3.500 euro, anche questi esenti da ogni tributo, ma soltanto per chi risiede al di fuori della Capitale e dietro la presentazione dei giustificativi delle spese effettivamente sostenute e documentate. I parlamentari residenti nel comune di Roma avrebbero diritto solo ai rimborsi per i viaggi, tramite una carta di credito emessa appositamente. L’estratto conto dovrebbe poi essere pubblicato ogni mese sul sito della Camera di appartenenza.

Il Pd accusa i grillini, che già restituiscono metà dell’indennità, di fare un uso “disinvolto” e non del tutto trasparente dei rimborsi e della diaria: sul sito del Movimento dedicato alla rendicontazione vengono riportate le cifre nel loro complesso ma non le singole spese.

RIMBORSI PER ATTIVITÀ POLITICA E COLLABORATORI
Per l’“esercizio del mandato” (collaboratori, consulenze, ricerche, convegni e sostegno delle attività politiche) la Camera eroga 3.690 euro al mese esentasse (il Senato 4.180): metà in misura forfettaria, metà dietro presentazione di rendiconto.

La proposta del M5S non prevede cambiamenti (la cifra unica di riferimento diventa quella di Montecitorio) e si limita a regolare con legge lo status quo: i portaborse continuerebbero a essere pagati dai parlamentari, anziché direttamente dal Parlamento come chiedono da tempo per assicurare trasparenza rispetto ai fondi ricevuti appositamente dagli eletti.

VITALIZI
Un parlamentare può riscuotere il vitalizio a 65 anni ma per ogni anno di mandato svolto oltre il quinto può scendere di un altro anno, fino a un minimo di 60.

La proposta Lombardi non tocca le “pensioni” né la possibilità di riceverle in anticipo rispetto ai paletti della riforma Fornero (66 anni): si limita a eliminare la possibilità di anticipo ulteriore. Idem per il prelievo in busta paga, che resta pari all’8,8 per cento dell’indennità (918 euro al mese). Inoltre fissa per legge il calcolo col sistema contributivo, che è già previsto per i parlamentari eletti in questa legislatura.

BUONUSCITA
Nemmeno il contestato “assegno di fine mandato” scompare del tutto: viene sostituito dalla “indennità per la cessazione del mandato”, calcolato come il trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti.

CONGEDO PARENTALE
Il disegno di legge del M5S estende ai parlamentari il congedo di maternità, che riduce all’80 per cento l’indennità in cambio della possibilità di restare cinque mesi accanto al proprio neonato. Introduce inoltre anche quello parentale, che limita l’indennità al 30% per un periodo massimo pari a sei mesi.