I primi sono stati i Beatles. Poi sono arrivati Dalla, Vasco e i grandi del rock. E oggi ascoltare un cantante in un teatro è un’eccezione

Andiamo a vedere il concerto stasera all’Olimpico?».
«Dove, al teatro Olimpico?».
«Ma no, allo stadio…».
Il dialogo immaginario potrebbe essere avvenuto a Roma, grazie a una rapida e travolgente mutazione che ha portato gli stadi a essere un’abituale location di concerti. Solo nei giorni passati c’è stato Ultimo per ben tre date (e due ne farà a San Siro), e poi i Depeche Mode, Mengoni, Ligabue, i Pooh, praticamente a giorni alterni. Anche a San Siro si fanno più concerti che partite, anche perché se i match non si replicano, i concerti sì e i Pinguini Tattici Nucleari hanno riempito San Siro per due date, poi arriverà Blanco (che ha già domato lo stadio romano) e ancora i Muse, i Maneskin, anche loro per due date, non prima di aver già scaldato l’Olimpico.

 

Insomma si va allo stadio come una volta si andava nei teatri e nei palasport. Ma come è cominciata questa ennesima follia della musica dei nostri tempi? Il primo concerto che sia stato organizzato in uno stadio è quello dei Beatles allo Shea Stadium del 15 agosto 1965, una data storica dovuta alla enorme pressione che si era creata intorno al gruppo in America: furono venduti 55.000 biglietti, ma era la prima volta e la situazione tecnica era totalmente inadeguata. Come amplificazione c’erano solo tre Vox da 100 watt costruiti per l’occasione ma insufficienti e per le voci fu usato l’impianto dei cronisti delle partite di baseball. Una situazione ridicola, e infatti i quattro uscirono da questa esperienza per altri versi elettrizzante con una profonda amarezza: le urla dei fan avevano totalmente coperto la musica, e infatti di lì a pochi mesi avrebbero smesso del tutto di fare concerti.

 

Ma il passo era compiuto. Gradualmente gli impianti di amplificazione si adeguarono e gli stadi iniziarono a poter essere un luogo di concerto, rozzo certamente, magari anche scomodo, ma possibile. Alla fine del 1979 anche gli italiani iniziarono a utilizzare gli stadi, in occasioni speciali. I primi furono Dalla e De Gregori col tour di “Banana Republic”, poi Edoardo Bennato, e nel giro di pochi anni arrivò il ciclone Vasco, il massimo occupatore di stadi della storia. Per molto tempo l’immaginario da campi sportivi è stato legato al rock, quasi sembrò una profanazione quando arrivarono Madonna e Michael Jackson. Ora pensare ad associazioni stilistiche fa sorridere. Uno stadio non si nega più a nessuno, e non è in sé un male, se non altro è il segno di una smisurata voglia di partecipazione da parte del pubblico della musica. Del resto siamo in epoca di finzioni e artifici. L’unica cosa che sembra rimasta uguale, autentica e non truccabile, è proprio la dimensione del concerto.

 

UP
Nel nuovo regolamento sanremese, al posto delle famigerate ed evanescenti giurie demoscopiche, a votare sarà una giuria composta da quelli che lavorano nelle radio. E così questi giurati avranno un volto, e soprattutto ricorderanno al pubblico che la radio è e rimane in assoluto il veicolo più importante di trasmissione delle canzoni.

 

& DOWN
Guccini si stupisce del fatto che molti includano “L’avvelenata” tra le sue canzoni migliori. «Ne ho scritte dieci cento volte più belle», dice. Ma non è vero, caro Francesco. “L’avvelenata” è un capolavoro, unica nel suo genere, arguta e divertente. L’invettiva elevata ad arte. Devi fartene una ragione.