In Francia, durante i cortei, si è sdoganato l’uso di mezzi di tracciamento codificato da parte delle forze dell’ordine per identificare le persone che vi partecipano. Finendo per colpire anche i giornalisti che documentano le proteste. E limitando il diritto alla denuncia

A seguito della manifestazione contro i mega-bacini a Sainte-Soline, in Francia, due persone sono state arrestate sulla base dell’evidenza lasciata dai cosiddetti «prodotti di marcatura codificata» (Pmc), invisibili a occhio nudo, ma persistenti sulla pelle e sui vestiti.

Normalmente, strumenti di questo tipo vengono utilizzati contro furti e contraffazioni o su oggetti di valore in caso di effrazione. Nelle manifestazioni, invece, i Pmc vengono sparati sui presenti con delle pistole simil-paintball, aggiungendo degli additivi all’acqua degli idranti o inserendoli all’interno dei gas lacrimogeni. Una volta spruzzati, i Pmc sono totalmente inodori e incolori. Ma diventano fluorescenti sotto i raggi ultravioletti, trapassano i vestiti, persistono su questi per diversi mesi e restano per diverse settimane sulla pelle. Le macchie vengono poi analizzate in laboratorio; ogni segno è unico e permette di associare la persona macchiata a un evento preciso.

L’uso di questo tipo di dispositivi era già stato annunciato dall’allora primo ministro Édouard Philippe durante le proteste dei gilet gialli, ma ne è stato notato l’utilizzo solo due anni dopo, il 29 ottobre 2022, sempre a Sainte-Soline, anche se in fase ancora sperimentale. La mancanza di un quadro giuridico chiaro sull’impiego di strumenti di controllo come i Pmc durante le mobilitazioni solleva dubbi e preoccupazioni sul dispiegarsi e intensificarsi di mezzi di criminalizzazione della libertà di manifestare. Già nel 2019, il ministro dell’Interno Christophe Castaner dichiarava che i marcatori chimici avevano lo scopo di neutralizzare i reati e di legare un indagato a un’ora e un luogo preciso.

Tuttavia, è abbastanza chiaro che mettere un prodotto Pmc dentro un cannone ad acqua significa colpire potenzialmente qualsiasi manifestante o giornalista coinvolto in una qualunque attività. Inoltre, il fatto che il prodotto si possa anche passare, toccandosi, lo rende ancora più inattendibile, vista la probabilità di contatto, anche casuale, durante proteste e cortei. Tra i due fermati per le macchie da Pmc a Sainte-Soline c’è Clément B., un giornalista freelance per Le Monde e Radio France, trattenuto per 28 ore per violenza intenzionale su persone e danneggiamento: i raggi ultravioletti avevano individuato una macchia sulla sua mano.

Negli ultimi due anni, i fermi, le denunce e gli arresti a carico di giornalisti e fotoreporter durante le manifestazioni in Europa sembrano essersi intensificati, anche a Sainte-Soline stessa, le forze dell’ordine hanno impedito che la stampa fosse presente in zone ad alto conflitto o in momenti come quelli che hanno visto due manifestanti in fin di vita.

Nei territori e nelle lotte in cui i governi sperimentano la repressione, le forze dell’ordine allenano gli strumenti di controllo e violenza. Negando alla Storia di tenerne traccia, relegando le resistenze contemporanee a nicchie o bolle e restringendo progressivamente il campo, fino a succhiare tutto l’ossigeno per farle collassare e scoppiare. Queste democrazie chiedono di protestare solo nelle precise ed educate forme prescritte. Forme in cui la causa può anche essere giusta, ma il modo è, in ogni singolo caso, sbagliato. Le strategie sono sempre le stesse: esaurire le forze e le risorse di chi lotta con misure punitive e preventive, disintegrare ogni forma di racconto del vero, di denuncia. Che poi, dopo la denuncia, che cosa viene?