«Noi, lesbiche, trans, gay, queer, esistiamo ancora. Non vi chiediamo di lasciarci integrare nella vostra società, veniamo a dirvi: state in guardia»

Immersa tra le montagne del Piemonte, partecipo al campeggio “Bi-vacca,” organizzato da due “transelvatikə” e “Food Not Bombs,” due collettivi torinesi. I tre giorni di campeggio, antispecista e transfemminista, si sono tenuti al presidio No Tav di Venaus. La sera del mio arrivo assisto allo spettacolo di Filomena “Filo” Sottile, chiamato “Mostre e Fiere”. Sono giornate in cui emerge la necessità di saperi altri, di contro-informazione certo, ma soprattutto di letterature rappresentative, di parole che risuonano e che emancipano. Si esplicita anche l’importanza di raccontarci, tra di noi, stese sul prato o intorno a del cibo vegano, l’importanza delle nostre storie, delle nostre resistenze.

 

Si è concluso il mese del Pride, ma noi, lesbiche, trans, gay, queer, esistiamo ancora; questa volta però invece che in vetrina, sul carro a sfilare, o nelle pubblicità di qualche multinazionale, ce ne stiamo tra di noi, vivendo per qualche giorno nel nostro desiderio e nella nostra necessità, accolta, di sopravvivenza. Viviamo delle giornate fuori dalle contingenze storiche, sociali, politiche, lontane dai rapporti di potere che plasmano i nostri corpi, i nostri desideri e comportamenti. Ci aggreghiamo e confrontiamo contro quel «genere che rende visibili e riconoscibili» verso «una transizione plurale» perché la nostra ribellione al genere ha smosso acque melmose, stagnanti, che mai si agitano; la nostra esistenza ha spinto a interrogarsi sulla naturalità del genere (La mostruisitrans, 2020). Viviamo in accordo con le altre specie, umili ai piedi della natura imponente.

 

Rispetto a raccontarci resistenze antiche, penso all’esempio tracciato dal gruppo di azione diretta Lesbian Avengers, fondato nel 1992 dalle attiviste lesbiche newyorkesi Ana Simo, Sarah Schulman, Maxine Wolfe, Anne-christine D'Adesky, Marie Honan e Anne Maguire. Le attiviste si sono concentrate sulle questioni della sopravvivenza e della visibilità delle lesbiche nella vita pubblica in quegli anni. Le lesbiche erano scandalose. Un oltraggio al pubblico decoro e alla norma: «Si ama così, ci si veste colà». L’obiettivo del gruppo era di evitare tattiche politiche stantie e di creare, invece, un confronto audace e partecipativo che ostentasse «l’oltraggio lesbico». La lotta inizia a New York con la commemorazione dell’assassinio di una lesbica e di un gay, da parte di due skinheads che avevano lanciato una molotov nella loro casa in Oregon. Durante l’azione, le Lesbian Avangers mangiarono il fuoco e cantarono: «Il fuoco non ci consumerà. Lo prendiamo e lo facciamo nostro».

 

Da allora, mangiare il fuoco è un marchio di fabbrica delle Avangers. Forse, ad oggi, l’eredità più importante negli Stati Uniti delle attiviste è la Dyke March, che si tiene ancora ogni anno in tutto il Paese un giorno prima del Pride. Schulman nel suo libro “Ties that bind”, sull’omofobia familiare, discute di come sia erroneo considerare l’omolesbobitransfobia una «fobia», ma piuttosto un sistema di piacere della società etero-cis.

 

Come grida, meravigliosa, Filo Sottile dal palco: «Siamo le creature mostruose, non vogliamo dirvi che tutto è a posto, né tranquillizzarvi; non abbiamo intenzione di guarire, normalizzarci, redimerci; non siamo innocue e non vi garantiamo da avvelenamenti, contagio, contaminazione; non vi chiediamo perdono, pietà, indennità, incolumità. Non vi chiediamo di lasciarci integrare nella vostra società, veniamo a dirvi: state in guardia e guai a chi ci tocca».