L’amministrazione Usa ha approvato il più grande progetto petrolifero su terre pubbliche nel Paese. Tra emissioni e rumore, l’impatto ambientale sarà devastante

Gli occhi della lotta climatica sono puntati sull’approvazione, avvenuta lo scorso 13 marzo, del progetto Willow da parte dell’amministrazione del presidente statunitense Joe Biden. A Willow, in Alaska, ConocoPhillips costruirà il più grande piano di trivellazioni petrolifere su terre pubbliche negli Usa e il più grande in Alaska negli ultimi decenni. Le emissioni saranno equivalenti, nel periodo di un anno, a quelle di 56 milioni di automobili in circolazione o di quasi 70 centrali elettriche a carbone in funzione. Il rumore, il traffico e l’inquinamento che Willow porterà con sé sconvolgeranno gli ecosistemi su cui gli indigeni fanno affidamento da generazioni e minacceranno ulteriormente la vulnerabile popolazione di caribù, una risorsa vitale per molte comunità native.

A pieno regime, il progetto potrebbe aumentare la produzione totale di petrolio nello Stato di oltre un terzo; tuttavia, secondo gli esperti, i benefici energetici ed economici sembrano essere minori e meno certi di quanto suggerito dai suoi sostenitori.

Durante la campagna elettorale del 2020, Biden aveva promesso di non permettere «più trivellazioni nelle terre federali, punto e basta». Nel corso dell’ultimo anno, invece, quando l’amministrazione ha valutato i vantaggi e gli svantaggi del progetto, ha sostenuto che Willow avrebbe contribuito a sostituire le forniture di petrolio russo e avrebbe rappresentato un vantaggio economico per gli abitanti dell’Alaska. Ma non è chiaro in che misura il progetto possa davvero adempiere questa funzione.

Innanzitutto, c’è la questione dei tempi: i primi barili arriveranno nel 2028 o nel 2029 e s’immagina che il quadro globale delle forniture di petrolio sarà molto diverso. In secondo luogo, il tipo di petrolio che si estrarrà a Willow non è un perfetto sostituto di quello che gli Stati Uniti importavano dalla Russia: la chimica del petrolio sotto la North Slope dell’Alaska è diversa sia da quella del petrolio leggero di scisto sia di quello più pesante che tende a provenire da luoghi come la Russia e il Venezuela. Quindi, questo dovrà essere miscelato con altro petrolio per poter entrare nelle raffinerie nazionali.

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Willow è una bomba climatica e una dichiarazione al mondo che tra decenni ci sarà ancora un sostanzioso mercato petrolifero. Nel frattempo, Biden ha firmato una legge che mette la nazione sulla buona strada per ridurre le emissioni del 50% entro il 2030. Ma come può essere lo stesso pianeta che ha bisogno di 600 milioni di nuovi barili di petrolio da Willow?

Già il 18 marzo, diversi gruppi per il clima avevano fatto ricorso al Bureau per la Gestione del Territorio. Nel frattempo, molto lontano – ma il fatto è terribilmente attinente – in Malawi più di 500 persone sono morte a causa di Freddy: il ciclone tropicale più lungo e più forte mai registrato nell’emisfero meridionale, se non a livello mondiale. Solo a Willow, in un anno, si produrranno emissioni pari a sei volte quelle dell’intero Malawi; lì, come nel resto del Sud del mondo, si paga il prezzo più alto della crisi climatica nonostante si sia contributo in minima parte alla distruzione.

La colonizzazione dell’atmosfera sta accelerando e Freddy è un’avvisaglia delle conseguenze di un riscaldamento di 1.2°C, soglia di temperatura destinata a raddoppiare, probabilmente a triplicare entro il 2100. Come recita la vignetta di Tom Toro sul New Yorker: «Sì, il pianeta è stato distrutto. Ma per un momento nella Storia abbiamo creato molto valore per gli azionisti».