I sostenitori di Erdogan urlano per le strade morte ai golpisti. Per ora la reintroduzione sembra lontana e non è detto che il presidente abbia i numeri in Parlamento, anche se potrebbe bastare una legge marziale ad hoc. E le minacce dell’Ue non aiutano
"Se dovesse passare questa volontà in Parlamento, l'appoggerò con la mia firma", così il presidente turco
Recep Tayyip Erdogan sulla
pena di morte nella sua prima intervista
dopo il fallito golpe. Tutto questo
mentre continuano le epurazioni che colpiscono non solo i militari, ma anche gli organi statali, e ora anche accademici e imam.
La stampa è spaccata in due: quella filogovernativa accusa gli
Stati Uniti di essere gli artefici del golpe e coprire
Fethullah Gulen, tirando in ballo anche la Cia, e i pochi quotidiani di opposizione denunciano i soprusi e la giustizia sommaria di queste ore.
Ma è possibile in un paese che ha eliminato la pena di morte nel 2004 ed è firmatario della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali fare un passo indietro?
"Quello che sta succedendo ora in Turchia sembra un colpo di stato in atto, più che uno mancato. Sento di una Istanbul dove girano ronde e molti miei amici sono chiusi in casa per la paura. Ormai tutto è possibile", spiega
Nicola Melis, ricercatore al
Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni dell'Università di Cagliari ed esperto di Turchia.
La pensa diversamente il professor
Michelangelo Guida a capo del Dipartimento di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Istanbul Mays University, che dice, "Sono commenti a caldo fatti dopo un episodio grave, affermazioni di tipo populista che scompariranno non appena i toni torneranno tranquilli. Anche il premier
Binali Yildirim ha detto che bisognerà discuterne con calma".
Eppure dalla notte del "coup" nelle città turche caroselli si sono susseguiti incessanti: al grido di "Allah u Akhbar" la gente chiede la pena di morte per i golpisti. E le donne senza velo, prima libere di circolare, ricevono insulti per strada.
Abolita grazie a una lunga serie di emendamenti costituzionali e legislativi, la pena di morte è stata definitivamente cancellata il 7 maggio 2004. Con altre modifiche nel luglio dello stesso anno, è stata poi eliminata per tutte le circostanze. Nel paese infatti, dopo il 2002, data in cui fu approvato un primo pacchetto di riforme per armonizzarsi alle leggi Ue, che abolivano la pena di morte in tempo di pace, era rimasta la possibilità per i "reati commessi in tempo di guerra o imminente minaccia di guerra".
"Anche se il Parlamento la votasse non sarebbe applicabile, il codice penale non può essere retroattivo e quindi non potrebbe coinvolgere chi ha fatto parte del colpo di stato, in ogni caso sarebbe reintrodotta per fatti di guerra", spiega Guida. "Un'arma anche nei confronti del terrorismo collegato al
Pkk".
"Basterebbe in realtà una
legge speciale o una marziale per fare in modo che anche questi arrestati rischino la pena di morte", fa notare invece Melis. Uno spettro che potrebbe materializzarsi oggi, durante la riunione dell'Mkg, l'Alto consiglio di Sicurezza, che deciderà se allestire tribunali speciali per i golpisti e prolungare il fermo di polizia e dipendenti pubblici.
"Il percorso è comunque lungo prima deve essere discussa da varie commissioni e solo dopo approderebbe al Parlamento" aggiunge ancora Guida. Tutto si giocherebbe all'interno della Grande Assemblea Nazionale, il
Parlamento turco, ma i numeri ci sono? "Per ora i
partiti di opposizione sono fermi, terrorizzati direi", spiega il professor Melis. "L'
Hdp il partito filo-curdo ha preso le distanze dal colpo di stato, ma è tra l'incudine e il martello, e siccome i
curdi potrebbero essere uno dei target colpiti dalla repressione, provano a limitare i danni, appoggiando più che Erdogan, il processo democratico".
"E poi ci sono il
kemalisti del
Chp, che evidentemente non hanno preso parte al golpe, ma che non sanno cosa fare. Abbiamo poi l'
Mhp il partito nazionalista che di certo appoggerebbe l'Akp (il partito di Erdogan) e accanto a lui il movimento neofascista dei
"Lupi grigi", quelli del terrorista
Ali Agca che attentò alla vita di
Giovanni Paolo II, per intenderci. Loro hanno addirittura inserito la pena nel programma elettorale", conclude Melis.
Poco importa al paese la fine del
sogno europeo. "Minacciare il governo turco con i negoziati qui in Turchia è percepita come una barzelletta, non ha alcuna importanza. L'Unione europea non ha mai avuto un'alta popolarità, né sui politici, né sull'opinione pubblica, ma ora è ai minimi storici", commenta il professor Guida, pensando alle parole dell'Alto rappresentante per la politica estera,
Federica Mogherini che ha avvertito: "Nessun Paese può diventare membro della Ue se introduce la pena di morte".
Sul clima turco poi ha pesato molto la campagna
Brexit, dove la Turchia è stata usata dai sostenitori del "Leave" con la scusa di un'invasione di cittadini della Mezzaluna. Ma anche nella campagna per il "Remain",
David Cameron aveva escluso l'adesione di Ankara almeno per decenni.
"Per l'opinione pubblica le possibilità di adesione sono pari a zero:
crisi economica e l'
islamofobia allontanano l'Europa dalla Turchia", aggiunge Guida. "Attirano invece il
libero mercato e la
liberalizzazione dei visti, un limite che i turchi vivono come un'umiliazione".
Sembra infatti che Erdogan punti ad ottenere alcuni vantaggi, ma che non miri realmente all'adesione. "L'eurobarometro è molto cambiato nel corso degli anni. E poi lo statuto di richiesta di adesione ha già dato talmente tanti vantaggi alla Turchia, che è preferibile così che essere membro a pieno regime", commenta Melis.
Agli inizi del 2000 con i primi passi per l'abolizione della pena di morte, infatti, l'idea di una Turchia tra i 28 sembrava un sogno realizzabile. "Dopo però tutto è cambiato - spiega Guida - la Turchia si è sentita tradita sulla
questione cipriota e anche tutte le riforme fatte per entrare hanno perso legittimità agli occhi del popolo turco".
La Turchia negli ultimi anni si è mossa a livello internazionale per combattere la pena di morte: votando all'Assemblea delle Nazioni Unite nel 2014 in favore della risoluzione delle esecuzioni capitali e nel 2006 ratificando il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.
Ma tutto potrebbe essere cancellato. Le associazioni internazionali denunciano in questi giorni "una violenza spaventosa, uccisioni illegali e altre violazioni dei diritti umani",
si legge in una nota di
Amnesty International, che già
nel suo ultimo report sulla Turchia aveva scritto di una larga serie di "trasferimenti a sfondo politico di giudici e pubblici ministeri che sono continuati per tutto l'anno, in un sistema giudiziario già privo di indipendenza e imparzialità". E anche dall'
Onu esprimono un grave allarme per le "purghe" in atto e fanno domanda per permettere a osservatori indipendenti di accedere ai luoghi di detenzione.
"Vivevo a Istanbul quando Erdogan era sindaco. E' stato quello che ha asfaltato le strade nei quartieri popolari e messo le luci in luoghi che di notte rimanevano al buio, ma negli ultimi anni ha rinnegato se stesso" commenta Melis, che conclude: "Le pratiche di Erdogan negli ultimi anni, con la repressione nella zona sud-orientale del paese la dicono lunga sulla volontà di mantenere i diritti umani. E ora e più chiaro che mai. Già nei primi minuti dopo il golpe i suoi seguaci giravano per le strade con le accette, alla ricerca di vendetta".