Con la vittoria di Marco Mengoni si chiude questa edizione trionfale del festival senza scossoni. Che relega a notte fonda il tanto temuto messaggio di Zelensky

Alla fine il pericolosissimo messaggio di Zelensky, quello che ha tenuto alta la bandiera delle polemiche per settimane, è stato letto alle 2.14 della notte, mentre le dita distratte correvano sui cellulari per portare al legittimo trionfo di Marco Mengoni e le sue “Due vite”.

«Auguro il successo a tutti i finalisti e dal profondo del mio cuore voglio invitare i vincitori di quest’anno a Kyiv, in Ucraina, nel Giorno della Vittoria. Nel Giorno della nostra Vittoria!» ha recitato Amadeus diventando la voce del presidente per ben quattro minuti, cordiali saluti compresi. Praticamente un attimo prima che canti il gallo, una lettera che diventa solo una visione fugace ed elegante in cui l’unico scossone che regala all’abbonato in prima fila è forse quella punta di vergogna per aver lasciato al buio della notte l’immagine buia di un Paese in guerra. Meglio andare in fretta all’improvviso nella serata che ha fatto della lentezza la sua cifra, meglio fare l’amore, che alla guerra ci si penserà poi.

Ci ha provato Tananai, un nome da passato remoto che ha il sapore di futuro, a portare il dramma ucraino su quel palco, stringendo due rose gialle e blu e sussurrando la struggente storia di un legame “tra le palazzine a fuoco”. Ma arriva solo quinto, dietro a Ultimo che con il suo amore per l’alba sconfigge la maledizione da secondo arrivando quarto, e poi gli angeli con un’ala sola di Mr Rain e la cenere di Lazza.

Come da copione si conferma il podio della vigilia, cinque maschi, fuori Giorgia, Madame, Elodie, e anche questo rispetta il copione visto che l’ultima cantante a vincere Sanremo è stata Arisa nell’ormai lontano 2014.

Così con le dolci lacrime di Mengoni, che ringrazia, almeno lui, tutte le donne non presenti alla volata finale e vista l’ora intona “Siamo i soli svegli in tutto l’universo”, si chiude l’edizione più trionfale di sempre, che permette ad Amadeus di gonfiare a buon diritto il suo ego da imperatore dell’Ariston, al punto che presenta la marginale presenza di Chiara Ferragni come colei «che passerà alla storia per avermi convinto ad aprire un profilo Instagram». E mentre l’attenzione sui follower in aumento occupa uno spazio ostinato della maratona elettorale, si corona un sogno d’amore tra il pubblico fedele che non molla sino alla fine e fa fatica a lasciare andare un momento lungo cinque giorni, tutti insieme, tutti uniti a commentare una vaporosa bolla di sana inutilità.

È il festival dell’amore tra sussurri e poche grida, di Anna che si commuove per Gianni, delle promesse di nozze regalate e dei mazzi di carciofi come omaggi a una Signora come Ornella Vanoni che l’amore lo continua a cantare. È il festival dell’amore che scopre che un bacio è un apostrofo Rosa Chemical sbucato all’improvviso che finalmente trasforma il fantomatico spettro gender in solida realtà, come i divani dello sponsor. E nonostante tutto a questo Sanremo dell’amore un po’ ci abbiamo creduto. Se poi alla fine era solo un calesse pazienza, vorrà dire che sarà per il prossimo anno.