Poliedrico sceneggiatore, autore di fumetti alternativo e pop, memoria storica. «Abbiamo acquisito una reputazione intellettuale pari a quella degli scrittori di narrativa, dei registi cinematografici, dei poeti e dei musicisti»

«Volevo fare il fumettista fin da bambino, ma sono pochissimo dotato per il disegno, e allora erano tutti convinti che per intraprendere questo percorso occorresse soprattutto saper disegnare. Ma quando alla boa dei trent’anni ho esordito mi è sembrato un evento naturale, un rintocco del destino. Ora però mi domando: “Come ci sono riuscito?”». Intanto Tito Faraci, classe 1965, poliedrico sceneggiatore e autore di fumetti applaudito sia dai seguaci più radicali che dai lettori occasionali, aveva provato tutte altre strade. Negli anni Ottanta si faceva chiamare Tito Turbina Tastierista Futurista e suonava nei Litania. Subito dopo prese a navigare nel mare iridescente del giornalismo musicale underground. Nel 1996 d’improvviso, la svolta, il suo ritorno a un futuro interiormente mai ammainato. «Avevo capito che prima che qualcuno la disegni, una storia, c’è qualcun altro che la scrive». E così Tito ne sceneggia la sua primissima per Paperino Mese e di lì a breve debutta pure su Topolino.

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Inventa Rock Sassi, promuove l’ispettore Manetta a commissario. Accresce le dosi di noir. Inizia a collaborare con Sergio Bonelli e, tra gli altri, con Dylan Dog, Tex, Zagor, Lupo Alberto, Diabolik, L’Uomo Ragno. Traspone su Topolino “Novecento” di Alessandro Baricco: è Pippo la voce monologante. Firma per i Marvel americani, sorta di pioniere tricolore. «A maggio uscirà un mio manuale di sceneggiatura di fumetti. Si intitolerà “L’uomo con la faccia in ombra”. Avrà risvolti autobiografici». E quando la nuova piattaforma Feltrinelli Education ha deciso di lanciare un ciclo di Lezioni d’autore dedicate al fumetto, tre appuntamenti per ripercorrerne i passaggi cardinali nell’ultimo secolo, non poteva non pensare a lui. Tito Faraci sale in cattedra da par suo, alternativo e pop. 

Il fumetto di ieri e di oggi, la fantasia al potere.
«Mi hanno proposto di raccontare la storia del fumetto italiano e dei suoi protagonisti. I personaggi inventati, i loro fautori. Hugo Pratt, Milo Manara, Crepax, Bonvi, fino a Zerocalcare. Non dimentichiamo che il nostro fumetto è una delle colonne portanti di quello planetario: con noi competono giusto gli Stati Uniti, il mercato franco-belga e l’universo orientale dei manga. In pochi sanno che il 75 per cento delle storie Disney pubblicate nel mondo viene concepito in Italia. Siamo un marchio globale di eccellenza».

Lei riavvolge il nastro di una storia straordinaria, partendo dalle radici. Il Corriere dei piccoli nel 1908, personaggi germinali e iconici come il Signor Bonaventura. Quali sono state le tappe principali?
«Abbiamo vissuto tre flussi. La prima parte del Novecento con le grandi riviste di fumetto: il Corriere dei piccoli, il Vittorioso, Topolino, Linus nel ’65. C’è stata poi l’era dei mega-personaggi nativi italiani: Tex dal ’48, Diabolik e Zagor dal ‘62. Un’età dell’oro culminata nel 1986 con Dylan Dog. In parallelo è fiorito il movimento degli autori, la stagione in cui siamo calati ancora oggi avviata da Milo Manara, Andrea Pazienza…».

Nella nostra babele post-ideologica dove ognuno monta la sua scala di valori e desideri, quali sono le linee prevalenti?
«Il fumetto si è aperto a 360 gradi, allargandosi a ventaglio. C’è chi si mette direttamente in scena sulla carta, coltivando un effetto di rifrazione reciproca con la realtà e chi sforna epopee ai confini della galassia, roba fantastica, avventurosa. Il fumetto non è più un genere: è un contenitore di generi. Ci sta dentro tutto».

A proposito, come talent scout pesca anche dal web?
«Tengo d’occhio i social: si può spiazzare e colpire anche con poco. Fumettibrutti io la scoprii su Instagram guardando quattro sue vignette. A stretto giro pubblicammo il suo esordio editoriale».

Torniamo ai grandi autori: lei li hai conosciuti un po’ tutti.
«Il mio mentore è stato l’immenso Giorgio Cavazzano. Il mio corso è affollato di ricordi personali. Per dirne uno, Tiziano Sclavi. Nel fronte compatto delle matite e delle nuvolette, le distanze anagrafiche si abbattono. Di recente ho fatto due libri con un venticinquenne e io avevo già cinquant’anni suonati. Ma eravamo indistinguibili: sfido chiunque a rintracciare chi ha scritto questo e chi quello tra noi due».

Assistiamo a un boom del fumetto. Sono nove milioni i lettori nel Belpaese, mentre trionfano il Giffoni e il Lucca Comics. La nuovissima generazione ci arriva, però, attraverso i Zerocalcare, senza magari conoscere gli illustri predecessori.
«Ogni epoca ha i suoi fenomeni e nel fumetto tendono a rimanere. Nel nostro settore, la ragione è un po’ di chi vince. I personaggi di grandissimo successo, che siano Corto Maltese o i libri di Zerocalcare, sono sempre cose belle e affinano il gusto del lettore. Il mainstream si miscela all’autorialità. Rispetto a quando ero ragazzo io esiste una maggiore coscienza degli autori. I ragazzi contemporanei sono curiosi di sapere chi l’ha scritta e disegnata una serie».

Il fumetto è uscito dalla trincea delle edicole per assurgere a punta di diamante della distribuzione editoriale. I romanzi e i libri a fumetti vengono candidati allo Strega.
«Tutto è cominciato intorno alla metà degli anni Novanta. Dopo tanto peregrinare nell’immaginario artistico e collettivo, noi fumettisti abbiamo acquisito uno status, una reputazione intellettuale pari a quella degli scrittori di narrativa, dei registi cinematografici, dei poeti e dei musicisti. Siamo diventati tra i più autorevoli interpreti del nostro tempo».