Il grande disegnatore scomparso nel 1988 a soli 32 anni ha trascorso a Pescara gli anni della formazione. Ora la città gli dedica uno spazio espositivo vicino al mare. E, tra aneddoti e curiosità, ne ricorda l’estro e la fantasia

Via Andrea Pazienza corre dritta dalla commercialissima e trafficata Nazionale Adriatica Nord verso il mare. E incrocia via Pier Paolo Pasolini. Siamo a Pescara, fra i palazzoni popolari del quartiere Zanni, la pineta (che non è però quella dannunziana) e la spiaggia dalla sabbia dorata. A due passi, il complesso sportivo delle Naiadi con le sue piscine olimpioniche che hanno visto crescere campioni di nuoto e pallanuoto.

Andrea Pazienza, che era nato qualche decina di chilometri più su, a San Benedetto del Tronto, ha trascorso a Pescara gli anni spensierati della sua breve vita. Quelli della formazione. Approdato dalla provincia di Foggia per studiare al liceo artistico, è proprio qui che incontra persone e costruisce le basi del suo immenso successo come esponente della nona arte, quella del fumetto.

A trentacinque anni dalla morte, la città gli ha dedicato un museo: “CLAP Museum (Comics Lab Art Pescara), fortemente voluto e sostenuto dalla Fondazione Pescarabruzzo che ha ristrutturato l’edificio tutto vetri e acciaio e ha distribuito per i quattro piani, in tre sezioni, 350 opere della collezione permanente e molti prestiti di privati. Tra questi balza agli occhi un inedito ritratto su tavola (una vecchia anta di finestra) di Rita Fabiani, moglie di quel Giuseppe D’Emilio che fu tra i primi a esporre i lavori di un giovanissimo Pazienza nella galleria Convergenze. L’affascinante signora ha spaghetti al pomodoro al posto dei capelli e sfoggia ai lobi orecchini a cascata di plastica azzurra, tipici degli anni Settanta. «Andrea era ghiotto di pasta al sugo di vongole e aveva ribattezzato casa nostra Pensione da Rita perché, come studente fuorisede che alloggiava dai Gesuiti (fu proprio qui che conobbe Tanino Liberatore, ndr.), era invitato a pranzo e a cena. Gli volevamo bene», ricorda.

Poco più in là, un mirabolante autoritratto, decisamente ipnotico: «Avevo nove anni ed ero innamorata di Andrea. Questo quadro lo ha disegnato utilizzando un grande foglio rosa sul tavolo del nostro tinello. Lo guardavo rapita mentre facevo i compiti. Era un giovane adulto, coltissimo, capace di passare da un discorso all’altro. Indossava camicie di flanella oversize ma era chiaramente un Narciso», racconta Bianca Maria D’Emilio, figlia di Rita e Giuseppe.

A testimonianza dello spiccato narcisismo di Andrea Pazienza un’altra pescarese, Marisa Cardona Stella, che era titolare dell’omonima profumeria sul Corso Vittorio Emanuele, ricordava anni addietro: «Arrivava in negozio questo ragazzo alto, con tanti capelli, dal sorriso disarmante, educatissimo. Era appassionato di profumi e dopobarba ma allora non poteva permettersi di spendere molto. Così gli facevo grandi sconti e regalavo campioncini. Lui ricambiava la cortesia con disegni in cui si notava già la mano felice».

Sarà un caso ma il marito della signora Marisa, Francesco Stella, aveva lo stesso nome di uno dei personaggi più iconici che il disegnatore avrebbe creato: la prima avventura di Stella fu pubblicata nel 1979 sul numero 12 di “Cannibale”. Otto tavole strabordanti di colore - gli amati pennarelli - che narrano le vicende di un operaio napoletano in una fabbrica di salsa. Il suo sogno? Esportare pomodori pelati negli States. E qui ritorna l’ossessione per la pasta al sugo.

Nell’anno scolastico 1970-1971, Andrea Pazienza arriva al Liceo Artistico “Giuseppe Misticoni” di Pescara, sezione Accademia. «Un ragazzo dalle qualità indiscutibili, geniale, forse troppo sicuro di sé». Lo descrive così Albano Paolinelli, artista poliedrico, all’epoca giovane docente di discipline pittoriche dopo un’esperienza da scenografo a Roma. «Onnivoro, passava dai classici russi al Cabaret Voltaire, corteggiatissimo dalle ragazze, molto legato alla sua classe, figlio d’arte – il padre Enrico era un ottimo acquerellista – faceva caricature a tutti. Dal punto di vista tecnico aveva difficoltà a creare pieni e vuoti, riempiva i fogli all’inverosimile. Per questo lo rimproveravo spesso. Ed era guerra aperta. Altre volte ti costringeva per sfinimento a sperimentare tecniche filmiche e di animazione: in quel periodo producevo cinema d’artista e lui era molto interessato. Fu così che nacque un corto, “Narciso”, in cui Andrea oltre a realizzare i titoli di testa fu anche interprete. Un vero Narciso».

Tanti gli aneddoti goliardici legati ad Andrea Pazienza nel suo periodo pescarese: «Impilava gli sgabelli che usavamo per i cavalletti da disegno e si divertiva a fare il Condor. Zitto e muto», dice Nicoletta Di Gregorio, compagna di liceo, diventata poi editrice. Si diplomarono entrambi con il massimo dei voti. «Eravamo vicini di casa e andavamo a scuola in autobus.

A maggio, dopo le lezioni, si scappava al mare e, come tutti gli adolescenti della nostra generazione, dividevamo la stozza che consisteva in due panini, uno salato con carne o frittata, l’altro con la Nutella. Il suo cantante preferito? Fabrizio De André», ricorda.

Di recente, la poetessa Di Gregorio ha dedicato alcuni versi ad Andrea, indimenticato compagno di classe. L’Espresso li pubblica in anteprima: “Assecondo in un balzo il tuo essere Condor o Snoopy nella stanza di ornato condottiero giovane brandisci al vento un nero lapis e scudo fu il bianco foglio che attese il tuo gesto. Accompagnano i tuoi voli veri di fantasia anche ora che lo spazio e il tempo ti convergono nel tutto che resta che arresta il respiro e varca il sorriso del cuore”.