La novità non sta tanto nei temi trattati. Ma nel fatto che oggi venga considerato strumento di indagine maturo. Un esempio è “La mia vita da mistress”, in uscita per Fandango

«Una mistress è come un prete o un impiegato pubblico: la gente ci cerca. Andarci è un momento solenne. E spesso la gente viene in un periodo particolare della vita», spiega la protagonista di “Hinterhof”, graphic novel di Anna Rakhmanko e Mikkel Sommer. Dasa Hink è una donna con una una quotidianità come quella di tante - una relazione impegnata e monogama, un cane e il progetto di comprare casa - fino a quando non ha deciso di trasferirsi a Berlino, dove ha scoperto di poter vivere l’esistenza che sognava e si è reinventata musicista, regista, performer e dominatrice.

 

Incontra i suoi clienti e soddisfa i loro desideri reconditi, senza pregiudizi. Con rispetto per tutti i modi della sessualità, diventando una guru del Bdsm, sigla che identifica un ampio spettro di preferenze e pratiche spesso a carattere erotico. Nell’accezione classica si tratta di bondage e disciplina, dominazione e sottomissione, sadismo e masochismo.

 

Attraverso la sua storia e quella di sette clienti, Rakhmanko e Sommer raccontano un mondo per tanti alieno, fatto di desideri e piaceri, intimità e fiducia: «Conosciamo molte persone che lavorano nel campo della prostituzione, escort, dominatrici, attori porno. Ma devo ammettere che la prima volta in cui mi sono fermata a pensare che una mia amica fosse una prostituta mi sono resa conto di quanti pregiudizi avevo anche io nei confronti del mestiere ma anche a proposito del sesso in generale, e sui nostri corpi. Così “Hinterhof. La mia vita da mistress” è un graphic novel che documenta la realtà. Per fare in modo che la società faccia attenzione a questi temi, sia consapevole. Per eliminare lo stigma, per promuovere dignità e diritti per i lavoratori del settore, affinché siano legittimati i desideri dei singoli. È triste che molte persone non possano confidare ai partner le proprie fantasie sessuali e preferiscano raccontarle agli estranei».

 

Come spiega Rakhmanko, portare alla luce temi estremi è anche un modo per favorire il cambiamento sociale: «Ma in alcuni ambiti, come quando si parla di sesso, i passi in avanti sono pochi e lenti. Sono nata in Unione Sovietica, nessuno mi aveva mai detto che cos’è la masturbazione, non sapevo che il mio corpo potesse darmi piacere. Mi sembra che la società non sia cambiata molto dagli anni in cui ero bambina. E forse neppure dal periodo in cui erano piccoli i miei nonni».

Che il graphic novel sia un medium adatto a dare spazio all’innovazione lo afferma anche Sergio Brancato, docente di Sociologia dei media all’università Federico II di Napoli: «Porta alla luce argomenti fuori dagli schemi, che aprono il dibattito su questioni di grande impatto. Perché in maniera simile al romanzo e con costi molto più accessibili del cinema, si può sperimentare il nuovo. Il graphic novel si afferma tra gli anni ’70 e ’80 in concomitanza con il passaggio dalla società di massa a quella del web. Quando il fumetto smette di essere un oggetto di consumo veloce, da comprare in edicola, leggere e buttare. Per trovare, invece, posto in librerie e biblioteche domestiche. Così i contenuti si affrancano dal passato, escono dalla serialità, diventano storie a sé stanti, simili al romanzo, acquistano maggiore dignità».

 

Per Brancato il fatto che il graphic novel prenda forma nell’era della rete, mentre si diffondono i blog, diari sul web, spiega anche perché è frequente che le storie trattate siano di carattere autobiografico: «Testimonianze. Si parte dal vissuto personale per parlare del contesto, del mondo. Come in “Persepolis” di Marjane Satrapi, un racconto irriverente della vita a Teheran con lo sfondo di un Paese in rivolta».

 

Secondo Alberto Rigoni, coordinatore del team comics del Lucca Comics & Games, festival dedicato al fumetto, al gioco intelligente e alla cultura pop, è proprio del graphic novel farsi portatore di tematiche forti, estreme: «La novità non sta tanto nei temi che sono sempre esistiti, ma nel fatto che il fumetto oggi venga considerato uno strumento di indagine maturo. Sia quando si parla di analisi della realtà, come fa, ad esempio, Zerocalcare in “Kobane Calling”, un reportage dal Kurdistan, sia per i racconti intimi, molto spesso autobiografici. Come succede in “Mia sorella è pazza", in cui Iris Biasio descrive una storia familiare tortuosa e intensa. O in “Cinzia” di Leo Ortolani. Personaggio secondario nella saga di Rat-man che diventa protagonista di un nuovo romanzo grafico». E anche della sua trasposizione teatrale nel 2019 per il format Graphic novel theatre del Lucca comics, che ha aperto un interessante dibattito sulla transessualità.

 

«Pensiamo a Frigidaire, a Andrea Pazienza, a Milo Manara: le tematiche estreme sono presenti da anni. Il fumetto, caratterizzato da una forte componente di autoproduzione, è portavoce da sempre del discorso della controcultura, che riguarda sia l’aspetto politico sia quello della rivoluzione sessuale. Come ha fatto anche Fumettibrutti, Josephine Yole Signorelli, con la trilogia esplicita “P. La mia adolescenza trans”, graphic novel autobiografica in cui mette in primo piano la sua esperienza, senza mezzi termini», aggiunge Tito Faraci, curatore della collana Feltrinelli comics. «Il fumetto è una forma di arte molto vicina ai giovani. Che si diffonde facilmente anche attraverso i social, così si capisce subito se funziona o no. Grazie alla componente visiva e eversiva può portare alla luce argomenti scomodi, contro una visione perbenista della società».