Le tavole del fumettista per opporsi allo spirito del "Roma fa schifo" e la retorica del degrado

Se c’è uno che in questi ultimi anni si è opposto alla retorica del degrado, allo spirito del “Roma fa schifo” - e alla possibilità stessa di farne arte comoda - è stato Zerocalcare. L’eterna fedeltà all’area urbana di Rebibbia - un suo murale campeggia all’uscita dalla fermata della metro B (“Qui ci manca tutto, non ci serve niente”) - ha reso il fumettista cresciuto nei centri sociali il meno conformista fra i narratori dell’Urbe.

[[ge:espresso:visioni:1.314587:article:https://espresso.repubblica.it/visioni/2017/11/23/news/roma-la-grande-bruttezza-1.314587]]Un paio di anni fa, affidò alle pagine di “Repubblica” un’esemplare meditazione sui travisamenti dell’idea di senso civico. La religione, fin troppo dogmatica e poco empatica, del senso civico. La Città dei Puffi, ovvero Roma, «è piena zeppa di cose che non funzionano»: il luogo comune ha una buona parte di verità, e Zerocalcare partiva da lì, per illuminare i rischi della «produzione letteraria spontanea e popolare sterminata»che mette sempre e solo il dito sulla piaga. Che ce ne facciamo di un moralismo alla buona sullo sporco, sul cassonetto pieno, sul disperato che rovista, «in una città dove ci sono stati i pogrom contro i centri d’accoglienza a Corcolle. Dove un bengalese è stato ammazzato a calci e pugni in strada a Torpignattara. Dove un barbone è stato pestato a morte a Trastevere. Dove hanno assaltato il centro dei rifugiati a Tor Sapienza»? Che ce ne facciamo della falsa buona coscienza dei romani che parlano da non-romani? «Sono almeno quindici anni che ci dicono che tu campi demmerda perché ce so’ gli immigrati, ma non è vero, sono notizie completamente false. A Rebibbia nelle case popolari so’ tutti italiani. Ma le cose che oggi dice il candidato del centrosinistra, “aiutiamoli a casa loro”, quindici anni fa le diceva Forza Nuova, ma nessuno se lo ricorda».

Ancora: che cosa capiamo davvero di Roma, se ne riduciamo il racconto a Grande Bellezza da un lato e Suburra dall’altro? Contrapposte e unite nella finzione, nel culto, tutto sommato poco impegnativo, dell’Iperbole. Conta solo la verità del quotidiano. Rebibbia sarà pure “borgata amena” ma non è il Bronx, come viene di solito dipinta: quartiere con le casette basse e i giardinetti, non è ricco, «però non è che sia il quartiere del disagio».

Contano le strade lungo cui cammini, le storie e le facce di chi è davvero parte della tua vita: nelle pagine di “Macerie prime”, il suo nuovo libro appena uscito per Bao, ancora una volta Zerocalcare lo dice senza dirlo. Le storie che, mettendosi in gioco, racconta impediscono ogni incrostazione di sentito dire. La periferia non è che una (discutibile) posizione geografica. Dov’è davvero il centro, se al centro metti i sentimenti delle persone? In una striscia, un’amica di Zero si affaccia dal suo balcone, rimanendo sorpresa dal fatto che l’affaccio sia sul carcere. «Oh. Ma non mi avevi detto che casa tua affaccia sul carcere» dice lei. «Ah sì. Scordato. Vabbè dai. Come quelli che abitano di fronte al Colosseo. Mica dicono tutti i giorni ammazza quanto è bello» chiude il discorso.

Come prova a evitare di essere il simbolo di una generazione («racconto solo parte di me»), così Zerocalcare evita accuratamente di farsi interprete della città in cui vive. E in questo entra un principio di onestà del racconto, che mai adopera scenografie di cartapesta, e mai si fa inquinare dal sarcasmo. Se c’è ironia, è esercitata - prima che sugli altri - su di sé, con occhi pietosi e spietati insieme. Così, il suo romanissimo mondo - romano nel lessico, negli intercalari, nel paesaggio “mentale” - scavalca il Grande Raccordo Anulare. Al solito, più che intasato anche in “Macerie prime”. Di un personaggio (pendolare fra Grottaferrata e Roma) scrive: «Le tracce di quelle tre ore al giorno sul Grande Raccordo Anulare stanno ancora sulla sua fedina penale».