Il Tribunale di Torino ha posto fine alla vicenda giudiziaria per due dei cinque ragazzi che si sono battuti in Siria. Per gli altri tre la decisione è rimandata al 15 ottobre, per via di altri procedimenti penali in corso. Una questione che L'Espresso ha sollevato anche con il contributo di Zerocalcare

«Questa decisione è una vittoria delle Ypg e Ypj. Afferma esplicitamente che nessuna correlazione è possibile - per tutti noi cinque, e quindi per nessun altro - tra l’aver combattuto nelle forze curdo-arabe che hanno sconfitto l’Isis e l’applicazione di restrizioni della libertà».

Per due dei cinque ex combattenti contro Daesh questa storia è finita, per gli altri tre rimandata al 15 ottobre. Per Davide Grasso e Fabrizio Maniero (detto Jak) infatti il Tribunale di Torino il 20 giugno ha rigettato la richiesta di “sorveglianza speciale”. Mentre per Paolo Andolina, Jacopo Bindi e Maria Edgarda Marcucci (detta Eddi) solo congelato la decisione fino a ulteriori accertamenti in base ad altri procedimenti penali in corso, che nulla hanno a che vedere con la loro militanza in Siria.

I cinque fanno sapere attraverso un comunicato che «il primo obiettivo è stato la protezione della memoria delle migliaia di cadute e caduti nella lotta contro l’Isis e contro l’invasione turca in Siria attraverso la reputazione internazionale delle Ypg e della rivoluzione sociale, politica e culturale che esse difendono nella Siria del nord. Riteniamo di aver raggiunto questo risultato».

Impossibile non pensare poi in questi giorni in attesa della decisione, la scadenza posta infatti della giuria torinese era per il 25 giugno, a Lorenzo Orsetti, combattente delle Ypg caduto il 18 marzo. La sua morte e il suo sacrificio, come sottolineano i cinque, «ha indirettamente acceso su questa vicenda riflettori che, altrimenti, avrebbero continuato ad essere spenti». La salma di “Orso” è intanto giunta a Firenze dove si svolgerà domenica 24 giugno alle 10 una cerimonia funebre alle Porte Sante di San Miniato.

Aggiungo infine i giovani di Torino: «Un secondo risultato è che non è ammissibile applicare queste misure di prevenzione per via di idee politiche espresse in interviste, status sui social o sui libri. La nostra campagna ha ottenuto il risultato di difendere, in parte, la libertà di dissenso intellettuale e di espressione critica in questo paese».