Archivi, raccolte, documenti e ricette segrete. Sono sempre di più le aziende che scelgono di aprire le porte al pubblico e agli studenti e rievocare la loro storia. Trasformando saperi antichi in originali collezioni da visitare

Più di cento archivi custoditi nel cuore di aziende, istituzioni, banche, grandi teatri. Dal Piemonte alla Calabria, ma soprattutto in Lombardia, musei ospitati in fabbriche di penne stilografiche, motociclette, caramelle, in panifici come quello di Vito Forte, dove si trova l’antico forno medievale e il museo del pane di Altamura, vicino a Bari. E anche ippodromi: l’archivio storico Snai, a Milano, è l’ultimo ad aver aperto, qualche settimana fa, con 500 immagini, fotografie, disegni per ripercorrere 135 anni di storia tra corse di purosangue, trottatori, allevatori. E ancora, spazi espositivi in aziende vinicole, di design, moda, cibo, liquori come il museo Essenza dell’Amaro lucano a Pisticci, vicino a Matera, dove hanno sede il giardino aromatico con le trenta erbe e il retrobottega del biscottificio di famiglia in cui fu inventata la ricetta tuttora segreta del celebre amaro. Non solo: l’archivio storico Barilla, il Museo Salvatore Ferragamo, l’Archivio storico Birra Peroni, il Museo Piaggio. Tesori nascosti, snobbati, in molti casi penalizzati alla diffidenza generale. Peccato, perché questi luoghi, riuniti nell’Associazione italiana archivi e musei d’impresa, Museimpresa, fondata per iniziativa di Assolombarda e Confindustria, rappresentano un pezzo importante della storia d’Italia, raccontano – spesso senza retorica - il made in Italy. E sono aperti al pubblico.

«Per capire a cosa servono gli archivi bisogna recuperare la lezione degli storici dell’École des Annales sull’importanza delle culture materiali», afferma Antonio Calabrò, presidente di Museimpresa: «Come diceva Fernand Braudel “essere stati è una condizione per essere”. La nostra storia, la storia dell’industria, della fabbrica e del lavoro, sono la nostra ricchezza». A proposito di storia, per i melomani di tutto il mondo il Museo Teatrale alla Scala è un santuario dove ammirare il manifesto originale del “Nabucco” di Giuseppe Verdi, i manoscritti di opere complete tra cui il “Tancredi” di Gioacchino Rossini e la “Messa da Requiem” del celebre compositore di Roncole di Busseto. E, ancora, dove poter sfogliare gli oltre 150mila volumi e fogli sparsi firmati Ludwig van Beethoven e Wolfgang Amadeus Mozart.

Nel caso del Teatro alla Scala l’accesso è facile, mentre a volte non è scontato varcare la soglia di un’azienda o un’industria. «Le imprese scontano un pregiudizio forte da parte del pubblico. E invece le nostre fabbriche sono aperte: venite a visitare gli pneumatici Pirelli, gli arredi Molteni e gli oggetti Kartell. L’invito è rivolto anche a scrittori, fotografi, registi di cinema e teatro. Venite a vedere le fabbriche, sono una fonte inesauribile di ispirazione».

Calabrò ricorda quella volta che il compositore Francesco Fiore, qualche anno fa, ideò “Il canto della fabbrica” per il violino di Salvatore Accardo e per gli archi dell’Orchestra da Camera Italiana, per interpretare e rappresentare suoni e ritmi del Polo Pirelli di Settimo Torinese. Il brano è il frutto dell’incontro tra gli ingegneri, i tecnici, gli operai specializzati di un’industria digitale e i musicisti di un’orchestra. Un confronto originale di linguaggi, competenze, visioni. Il Canto della fabbrica fu eseguito nel 2017 per la prima volta davanti a un pubblico di mille persone, durante il Festival di musica classica MiTo. Resta il fatto che un tempo, ai primi del Novecento, c’erano i “quattro colpi di sirena” della Seconda sinfonia di Dmitrij Šostakovič per la fabbrica. Oggi, il violino di Salvatore Accardo interpreta i ritmi della manifattura digitale degli anni Duemila.

In attesa che nuovi cineasti, romanzieri e drammaturghi raccolgano l’appello di Calabrò, Museimpresa punta sugli studenti per aprirsi alla società. Si intitola “A scuola di impresa – L’Italia nei nostri musei e archivi di impresa” il progetto di Museimpresa che si svolgerà durante il prossimo anno scolastico, a partire da novembre, in collaborazione con Liuc Heritage Lab e l’Archivio del cinema industriale e della comunicazione di impresa. Nell’ambito dell’ex alternanza scuola-lavoro, studentesse e studenti del triennio della scuola secondaria di II grado entreranno nelle aziende per un breve periodo.

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La generazione Z alla scoperta delle imprese italiane, una full immersion nel Museo del Tartufo Urbani a Scheggino, in Umbria, dove realizzeranno piatti a base di tartufo con antiche ricette conservate nel museo, a cui farà seguito una mostra fotografica. A Biella, grazie alla Fondazione Fila Museum, daranno vita a un podcast per raccontare la storia dello storico marchio.

Nell’archivio storico Barilla, invece, metteranno a punto un museo virtuale, mentre nel Museo Teatrale alla Scala di Milano gireranno un video per raccontare la storia del melodramma e del teatro. In altre aziende i ragazzi cureranno per due settimane una campagna social per promuovere i prodotti, scegliendo materiali, documenti, foto. «Il progetto che coinvolge le scuole consente agli studenti di fare un’esperienza negli archivi e musei di impresa, con l’obiettivo di comprendere meglio la nostra storia contemporanea e il nesso tra impresa e società», afferma Lucia Nardi, vice presidente di Museimpresa e responsabile del progetto. In effetti, la storia delle aziende a scuola non si impara, questa iniziativa può servire a stimolare la curiosità dei ragazzi. «In classe questo tema è assente, praticamente un buco nero», conclude Nardi: «Con questo progetto abbiamo l’ambizione di entrare in relazione con le scuole del territorio. Mi vengono in mente il museo della pasta a Gragnano, gli acciai Dalmine, il museo Aboca dedicato al rapporto millenario dell’uomo con le piante. È un racconto straordinario del made in Italy».