Statue, porcellane, ceramiche, quadri. Trecento opere, dalle statue-stele del IV millennio a.C. alle scansioni digitali di Katerina Jebb. La retrospettiva “L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi”, a cura di Massimo Osanna

Una mostra con reperti straordinari ha dato il via all’estate archeologica della capitale. Nelle Terme di Diocleziano, “L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi”, a cura di Massimo Osanna, Stéphan Verger, Maria Luisa Catoni e Demetrios Athanasoulis, espone circa 300 capolavori che possono costituire di per sé un museo in un arco di tempo lunghissimo: dalle statue-stele del IV-III millennio a.C. alle scansioni digitali di Katerina Jebb (fino al 30 luglio, catalogo Electa).

 

Statue, porcellane, ceramiche, quadri, bronzi, affreschi e rarità, in un dinamico colloquio tra loro, intendono indagare i legami che collegano l’antichità classica ai nostri giorni. È quel filo rosso, ribadito da Osanna, capace di attraversare i secoli per valori condivisi, tradizioni letterarie, continuità linguistiche, fonte di ispirazione artistica, nella persistenza di tante realtà monumentali in ambito romano e greco. Si tratta di rapporti che si basano su ricerche, contaminazioni, ricostruzioni anche inesatte, copie, in grado però di trasmettere significati che si rivelano attuali. Sono tre le vaste Aule delle Terme, mai aperte al pubblico, che ospitano l’esposizione distinta in cinque sezioni, dove ogni singola opera attrae, fa riflettere e si collega ad altre. Come nello spazio dedicato alla fama degli eroi, al mito di cui sono protagonisti, che non cessa mai di essere indagato e appassionare. Possiamo infatti seguire le diverse riproposizioni dei principali personaggi omerici, a cominciare da Elena, causa della madre di tutte le guerre, quella di Troia. Nel corredo della Tomba di Pisticci (V sec. a.C.) compare la sua minuta figura in un piccolo uovo in calcare mentre si schiude: il frutto dell’unione tra la madre Leda e Zeus trasformato in cigno; un episodio che si ritrova anche nel dipinto cinquecentesco su cartone di Leonardo da Vinci. E poi suggestioni e figure del grande conflitto: scene belliche su vasi greci e Ulisse, prototipo di tutte le odissee umane, riconoscibile nei resti marmorei dei gruppi realizzati per la grotta dell’imperatore Tiberio a Sperlonga.

 

Se le Muse rappresentano la protezione della cultura e della memoria, non sorprende che sia Urania, legata all’astronomia, a indicare – tra diverse opere – il fluire delle ore nella preziosa manifattura del Settecento, dove la sua scultura in bronzo contrasta con il globo dorato dove si appoggia. Il tempo è anche la quotidianità nelle attività lavorative, nei riti religiosi, nelle esibizioni sociali, dove Pompei è ineguagliabile testimonianza, con i tanti dipinti murali e l’elegante carrozza cerimoniale, proveniente dalla vicina Civita Giuliana. Si pensa possa essere servita per delle nozze, come suggeriscono i tondi con scene erotiche.

 

Nell’ultima sala, dedicata a “Umani, Divini”, spicca una Kore (fanciulla) del VII sec. a. C. da Thera. Dall’alto dei suoi 2,48 metri, incanta con i suoi tratti schematici, bellissimi nella loro essenzialità, che richiamano opere di artisti moderni. Rimandi e re-invenzioni, si muovono nelle sale con i loro messaggi senza tempo. A rappresentare invece “l’istante”, il momento dell’opportunità che fugge via (kairos), sono il bassorilievo (II sec. d.C.) che ripete l’immagine definita dal famoso Lisippo sei secoli prima: un fanciullo con le ali sulle spalle e ai piedi, e due calchi umani provenienti da Civita Giuliana. Situati all’ingresso della mostra, restano testimoni del loro attimo fatale durante la più grande catastrofe naturale dell’antichità.