Nella città toscana si protesta contro l’impianto che dovrebbe essere messo in opera per fornire un’alternativa al gas russo. Ma non è chiaro quale sarà l’impatto ambientale. E non è vero che c’è carenza di fonti, l’allarmismo serve solo ad aggirare il consenso popolare

Lo scorso 11 marzo Piombino ha visto la presenza di migliaia di persone per manifestare contro il rigassificatore, cioè contro i combustibili fossili, le opere inutili e il piano del governo Meloni per rendere il territorio italiano un hub del gas europeo. Sono politiche che ci costringono per l’eternità a essere schiavi del fossile, costruendo un’infinità di strutture dedicate. Mentre – come dimostrano gli stessi dati ministeriali – è totalmente falsa la narrazione per la quale saremmo in emergenza per la mancanza di energia, visto, peraltro, il paradosso delle voluminose e speculative esportazioni di gas “italiano” verso il mercato europeo: nel 2022 s’è registrato un record del + 578 per cento (AltrEconomia).

Noto che si tende a considerare le forze che ci distruggono come invisibili, mentre spesso hanno strutture fisiche ingombranti. Anche se vengono delocalizzate e spostate dove chi le subisce sembra avere meno strumenti per ribellarsi. È il caso della Golar Tundra di Snam, la nave-rigassificatore da 5 miliardi di metri cubi di gas l’anno, ovvero il 6 per cento del fabbisogno nazionale. La Golar è un circuito aperto che preleverà acqua del mare per riscaldare il gas e riportarlo dallo stato liquido al gassoso e poi riemetterà nell’acqua 86 chilogrammi di ipoclorito di sodio al giorno. L’ipoclorito di sodio è il principale ingrediente della candeggina e l’impatto che avrà sull’ecosistema marittimo non è assolutamente chiaro. La Golar verrà affiancata, una volta a settimana, dalla metaniera che scarica il gas nel rigassificatore.

Il piano prevede che la nave rimanga due anni nel porto di Piombino, a 500 metri dalle abitazioni, e successivamente si sposti off-shore, quindi in mare aperto; tuttavia, la promessa è vaga e non vincolante. Il costo totale dell’opera è di 80 milioni di euro, che poi se ne spendano altrettanti per spostare la nave in mare è fuori dalla realtà e inefficiente dal punto di vista economico. Snam al momento non ha ancora prodotto il certificato definitivo sulla sicurezza: condizione essenziale affinché il Comitato tecnico regionale esprima un parere, necessario per far emettere l’eventuale Autorizzazione integrata ambientale e dunque per far funzionare la nave; motivo per cui il Tar del Lazio ha rinviato al 5 luglio la decisione sul ricorso del Comune contro la messa in opera dell’impianto.

Usb ha depositato una denuncia per reati ambientali contro ignoti per l’installazione del rigassificatore. Snam ha promesso più di 1.500 posti di lavoro, tuttavia Usb argomenta che l’opera porterebbe al massimo 50 nuovi posti ad alta specializzazione e senza vincoli di assunzione nel territorio. Il ricatto tra disoccupazione e salute pubblica è disgustoso e inaccettabile, anche perché Piombino ha già una zona industriale che in 25 anni non è mai stata bonificata.

L’anno scorso, quando il piano è stato approvato nella corsa del decreto Aiuti, si prometteva che l’unità navale sarebbe stata operativa dalla primavera del 2023 appunto per contrastare la «dipendenza» dal gas russo: quindi come misura emergenziale. Costruire una continua emergenzialità ha lo scopo di aggirare il consenso popolare, imprescindibile con opere di tale portata. La creazione delle condizioni di benessere ambientale, sociale ed economico che la sostenibilità richiede è antitetica al modello estrattivista in cui siamo immersi. Si alza la voce dei comitati, vale la pena ascoltarla o griderà più forte.