Roberto Andò firma la miniserie su Rai Uno con Isabella Ragonese: due puntate sulla vita e le battaglia della fotografa appena scomparsa (che ha collaborato alla sceneggiatura) in occasione del 30esimo anniversario della strage di Capaci

Nerina è seduta sulla poltrona, il braccio pende sul bracciolo, sembra dormire ma è morta. Era una prostituta, uccisa dalla mafia nel 1982 perché spacciava droga, senza il loro permesso. C’è una fotografia e sembra un quadro data la composizione, perfetta, del dramma: dietro l’obiettivo che scatta, e trema, c’è Letizia Battaglia. Inizia così “Solo per passione: Letizia Battaglia fotografa” una mini serie in due puntate diretta da Roberto Andò, che l’ha sceneggiata con Angelo Pasquini e Monica Zapelli, e che va in onda il 22 e il 23 maggio su Rai 1 in occasione del 30esimo anniversario della strage di Capaci, per ricordare chi, insieme al giudice Giovanni Falcone, ha creduto nella giustizia.

Letizia Battaglia appare nella prima scena negli anni in cui lavorava già per il giornale L’Ora di Palermo, interpretata da Isabella Ragonese, che riesce a rendere, in modo a tratti sorprendente, il carattere passionale e indomito, la caparbietà e l’ironia, anche solo nel modo in cui muove gli occhi, le mani, o serra la bocca.

E, subito dopo, appare Letizia Battaglia - che ha collaborato alla sceneggiatura -, per pochi minuti nei panni di se stessa, e dice: «La fotografia mi ha salvato la vita, è stato il mio modo di combattere». Appare quasi a voler fare una premessa, perché lei ha sempre voluto che anche se nella finzione il racconto fosse vero, che rendesse i sentimenti di quella bambina innocente che è stata e che ha tentato di ritrovare per tutta la vita.

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Non tradire mai il patto di onestà, fatto prima di tutto con se stessa, era la cosa che voleva di più, fino a quando se n’è andata, in un futuro che all’improvviso si è fermato, a 87 anni, senza che lei lo volesse, in una notte di aprile.

Ed è questo patto di verità che non tradisce mai Roberto Andò, palermitano anche lui, che Letizia Battaglia l’ha conosciuta bene, come solo un amico. Andò porta sul piccolo schermo un racconto autentico e appassionato, epico com’è stata la vita di una «persona», come Letizia Battaglia definiva se stessa, che alla fine degli anni Settanta ha deciso di riprendersi il diritto alla vita che voleva, di abnegare al ruolo sacrificale di madre che deve rinunciare a tutto per i figli, sapendo che avrebbe pagato un costo pesante, a livello personale e sociale, per voler essere una donna che cercava l’amore vero che è complicità, rispetto, sostengo e piacere.

La mini serie riprende seguendo la storia di Letizia Battaglia da quando è una bambina a cui il padre grida nervoso «che deve tenere gli occhi bassi quando cammina per la strada» mentre sua madre, che si era sposata a sedici anni, la guarda come chi già sa. Sa già che certi destini si ripetono, e così Letizia Battaglia si sposa a sedici anni, una fuitina come quella fatta dalla madre, con Franco Stagnitta, Paolo Briguglia sullo schermo, per essere libera. La storia sta per ripetersi, ma Letizia Battaglia a un certo punto la spezza. La spezza poco prima che la storia spezzasse lei, mentre la sua energia compressa stava per strangolarla, farla ammalare, farla portare nelle cliniche, come una pazza.

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È lo psicanalista Francesco Corrao, interpretato da Roberto De Francesco, a darle la consapevolezza di sé che le mancava. Ed è la macchina fotografica che la fa rinascere e che incontra per la prima volta nell’estate nel 1969 al giornale L’Ora di Palermo, dove era entrata un anno prima per essere intervistata dalla giornalista Giuliana Saladino, un’intensa Anna Bonaiuto, nell’ambito di un’inchiesta che stava conducendo sulle donne borghesi e infelici di Palermo. Quando si presenta al giornale, senza chiedere permesso, chiede al direttore Vittorio Nisticò di poter scrivere «di poveri, nomadi, circhi e pazzi».

Nel racconto di Andò la storia di Letizia Battaglia è la storia Palermo, «maledetta» dal sangue che scorreva e ne macchiava la coscienza, quando i suoi uomini giusti cadevano nella guerra contro la mafia, come il capo della Squadra Mobile di Palermo, lo “sceriffo buono” Boris Giuliano, e il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella fotografato da Letizia Battaglia tra le mani di suo fratello Sergio. Una mattanza, un archivio dell’orrore a cui lei non si rassegnerà mai, rifiutandosi di vedere morti Falcone e Borsellino e quindi di fotografare le stragi di Capaci e via D’Amelio.

Ne esce fuori il ritratto fedele di una persona che si è battuta con ogni mezzo, anche impegnandosi in politica per mettere fiori su una terra irrigata dal sangue.

La storia di Letizia Battaglia è anche quella di chi le è stato accanto, attratto da quel caschetto rosso che planava schietto e ottimista sulla vita, come la sua amica Marilù Balsamo, Roberta Caronia nella mini serie, che le ha dato la sua prima macchina fotografica, una casa quando non ce l’aveva, e soprattutto la comprensione che è l’ossigeno verso la libertà.

Ci sono i suoi compagni di vita e lavoro, prima il fotografo Santi Caleca, interpretato da Enrico Inserra, e poi Franco Zecchin, nello schermo Federico Brugnone, con cui dirige il servizio fotografico de L’Ora, entrato poi nella Magnum, che la sostiene, incoraggia e combatte con lei. Letizia Battaglia, nei panni di se stessa, torna alle fine, con i versi, punto di riferimento per lei, di Ezra Pound: «Quello che veramente ami rimane. Quello che veramente ami non ti sarà strappato». Roberto Andò rende un omaggio sincero e commovente a Letizia Battaglia che, come cita l’epigrafe: «ha amato e continuerà ad essere amata». E, per questo, non morirà mai.