L'esponente del Movimento 5 Stelle è il primo cittadino più amato d’Italia. Ma nella città che amministra spuntano ?non pochi problemi, tra tagli che colpiscono le periferie, concessioni edilizie non apprezzate dalla base e casi delicati emersi dal bilancio
«Vede questa riga del bilancio? Sono le risorse che possiamo spendere per le attività educative estive, come i laboratori nelle scuole per i ragazzi che restano in città. Vede la cifra? Con i tagli dello scorso luglio era stata portata a 5.404 euro, adesso è scesa a 1.303 euro. Secondo lei, che cosa possiamo farci con 1.303 euro?». A Torino la sede della Circoscrizione 5 occupa una vecchia conceria costruita a fine Ottocento in via Stradella, un mirabile edificio in mattoni rossi coronato da una torre con l’orologio, che segnava la voglia di affermazione sociale dei primi proprietari, la famiglia Durio.
Nei grandi uffici, incupiti dalla boiserie d’un tempo, il presidente Marco Novello sfoglia
l’elenco con i tagli decisi per il 2017 dalla sindaca Chiara Appendino. La cultura? Da 24.400 a 4.633 euro. Le iniziative sportive? Da 19.950 a 4.857 euro.
«Nella narrazione della nuova amministrazione, questi contributi sono stati tagliati con la scusa che finivano in marchette agli amici. Non era vero, e non poteva esserlo, perché tutto viene finanziato attraverso bandi pubblici. E in quartieri tormentati come questi, con tanti anziani, anche solo proiettare un film in piazza o aiutare le persone disabili a fare sport può essere d’aiuto», racconta Novello, una lunga esperienza nel Pci, i corsi di amministrazione alle Frattocchie, il viaggio nella sinistra fino alla simpatia per il movimento di Giuliano Pisapia. Chiede Novello: «Ma lo sa perché l’erba nelle aiuole non viene tagliata?».
Per comprendere la risposta a una domanda in apparenza semplice serve capire che
cos’è successo in questo primo anno di guida della città da parte del Movimento 5 Stelle. Un anno fa, alle elezioni comunali, i 125 mila abitanti dei quartieri raccolti nella Circoscrizione 5 - Madonna di Campagna, Vallette, Borgo Vittoria e altri ancora - erano stati decisivi per il successo di Appendino. Qui, al ballottaggio, la giovane sindaca aveva quasi doppiato Piero Fassino, ottenendo un vantaggio che il voto del centro non era riuscito a erodere e le aveva permesso di mettere fine a 23 anni di egemonia del centro-sinistra.
Da candidata,
Appendino aveva battuto a tappeto questi quartieri e, anche dopo le elezioni, non ha smesso di incontrare i residenti, per ascoltare le necessità di periferie dove la disoccupazione morde, gli spazi pubblici sono spesso abbandonati, l’immigrazione crea disagi e necessità. Nelle urne gli slogan sulla Torino delle code davanti alle mense dei poveri, contrapposta alla scintillante città del turismo, avevano fatto presa, ribaltando un pronostico che dava Fassino favorito.
Eppure, a distanza di un anno, se si interrogano i torinesi sui motivi del successo di Appendino - è
il sindaco più amato d’Italia, secondo il “Sole 24 Ore” - le sorprese non mancano. E disorientano parecchio, se si ripensa al voto di un anno fa, con Appendino vincente nelle periferie impoverite e Fassino arroccato nei quartieri tirati a lucido del centro.
Una risposta che si ascolta spesso sul perché la sindaca sta facendo bene, infatti, è legata alla sua
capacità di evitare contrapposizioni fratricide e di collaborare con i nemici di un tempo, come il padre-padrone del Pd torinese, Sergio Chiamparino, o come Francesco Profumo, ex rettore del Politecnico, ex ministro del governo di Mario Monti, oggi presidente della Compagnia di San Paolo, la ricca fondazione che custodisce la quota più cospicua (il 9,8 per cento) nel capitale della maggiore banca italiana, Intesa Sanpaolo.
Agli occhi di molti osservatori, è stato proprio questo atteggiamento concreto, non ideologico, a permetterle di portare a casa risultati come i
l boom del Salone del Libro, sopravvissuto alla fuga a Milano dei grandi editori e rilanciato affidandone la guida a un altro ex ministro, il dalemiano Massimo Bray. Lo stesso pragmatismo che le ha permesso di bussare alla porta delle due istituzioni che con i loro quattrini reggono la struttura culturale e sociale della città, la Compagnia di San Paolo e la Crt, l’altra fondazione bancaria torinese, socia di Unicredit, per chiedere sostegno a iniziative di varia natura. Il
saper rompere le righe rispetto ai diktat del suo partito, rappresentare gli umori più sociali del movimento, contrapposti al populismo di altri esponenti, l’intelligenza e il sapersi rivolgere con il sorriso ai cittadini le vengono riconosciuti in modo unanime.
Eppure, basta guardare oltre i bagliori del Salone per comprendere come
il successo personale della sindaca sia offuscato da infiniti problemi, grandi e piccoli. I piani di analisi sono almeno due. Il primo riguarda le aspettative che ne avevano accompagnato l’elezione, il secondo i conti del Comune, che in queste settimane appaiono più traballanti che mai e che la giunta ha affrontato travolgendo i princìpi con cui aveva vinto le elezioni. Partiamo dal primo. Una possibile lettura dei fatti, poco politica, riguarda l’ansia della città nei confronti del futuro. Sotto la guida degli ultimi sindaci, un’idea Torino l’aveva seguita, ed era creare nuove opportunità con il turismo, l’università e i centri di trasferimento tecnologico nati attorno al Politecnico. La strategia ha funzionato solo a metà, come certifica la drammatica disoccupazione giovanile, ma il punto è che la città si era abituata ad avere un piano d’azione, mentre la sindaca non è sembrata finora proporne uno nuovo.
Un piccolo esempio lo fa Marco Razzetti, presidente dell’Aniem Piemonte, associazione che raccoglie 80 aziende di costruzioni. A settembre era andato dall’assessore all’urbanistica Guido Montanari per presentare un’iniziativa chiamata Toc Toc. Racconta Razzetti: «Oggi c’è un elevato numero di persone che faticano a pagarsi un affitto ma che, con un piccolo sostegno, conservano tutte le possibilità di tornare pienamente nel ciclo lavorativo. Penso ai padri divorziati che ci hanno raccontato le cronache. Abbiamo deciso di lanciare un concorso per la ristrutturazione di un edificio in stato di degrado da destinare a abitazioni agevolate per queste persone, facendo un piano di fattibilità che prevede il contributo di team multidisciplinari. Credendo nei vantaggi del partenariato pubblico-privato, chiedevamo al Comune di contribuire con un immobile in disuso da anni, di circa 1.500 metri quadri: non per averlo definitivamente, sia chiaro, ma per sottoporlo come caso concreto ai progettisti. Non abbiamo avuto risposta e, alla fine, abbiamo deciso di procedere interamente con fondi privati».
Su scala più ampia, qualche segnale sul fatto che
Appendino fatichi a darsi obbiettivi di respiro più ampio arriva anche dall’associazione degli industriali di Torino, che per l’8 giugno ha convocato un forum per sottoporre alla sindaca riflessioni e proposte. Il presidente Dario Gallina, imprenditore plastico, dosa le parole: «Ci interessa poco la nostalgia del passato, vogliamo guardare avanti con proposte concrete, senza fermarci all’ovvia constatazione che i soldi non ci sono. Perché anche un tempo chiudere i bilanci non era facile e perché se il Comune non ha risorse, possiamo cercare di mobilitare i privati, dandoci una strategia di più lungo periodo». Quella strategia oggi manca? Gallina taglia corto: «
Vogliamo riprendere il percorso definito dai piani strategici».
Per comprendere, però, come la cogestione di Appendino con gli altri poteri cittadini non vada giù alla base basta leggere i messaggi su Facebook di Vittorio Bertola, il consigliere grillino che era con lei in Comune ai tempi puri dell’opposizione, poi scaricato. «A me la
strategia politica del sindaco sembra evidente: posizionarsi in quell’area moderata di piccolo progressismo borghese, condito da omaggi ai salotti eleganti e buone relazioni con i poteri economici cittadini, in cui negli ultimi vent’anni è stato il Pd; un’area che da sempre ha in mano la città e che può permettere al M5S e ai suoi eredi di rimanere in sella per i prossimi vent’anni», ha scritto Bertola a maggio.
La questione dei princìpi, in politica, non è di poco conto. E qui le ombre si infittiscono. Gabriele Ferraris, un giornalista che tiene un seguitissimo blog culturale, ha raccontato passo dopo passo le contorsioni della giunta sul tema della trasparenza sulle nomine. Arrivati al potere per sciogliere il coagulo di interessi che accusavano il Pd di alimentare,
i Cinque Stelle avevano sventolato la bandiera dei bandi aperti e dei curriculum inviati per mail. Promesse spesso tradite, con nomine fatte quando il curriculum del nominato era arrivato fuori tempo massimo, bandi mai lanciati e altri disattesi. In uno dei casi più importanti, quello per il nuovo direttore del Museo del Cinema, una procedura pubblica aveva portato all’individuazione di un candidato - Alessandro Bianchi - che la giunta ha ritenuto troppo vicino al Pd. Così lo scorso gennaio, mesi dopo l’inizio della procedura, l’assessore Francesca Leon si è presentata in consiglio per rimangiarsi il risultato, dicendo che lo statuto del Museo andava ripensato. E senza spiegare perché, allora, la gara era stata fatta.
Ma c’è di più, e qui si arriva al bilancio del Comune e al motivo per cui l’erba non viene tagliata. Durante la campagna elettorale, il Movimento aveva compattato il voto dei commercianti cavalcando la protesta contro i supermercati che fanno chiudere i piccoli negozi. Eppure
nel primo bilancio previsionale firmato da lei, quello per il 2017, sono previste entrate da oneri per urbanizzazione per 44 milioni di euro. «Una colata di cemento», l’ha definita La Stampa. Una larga fetta di questi oneri è legata a centri commerciali e supermercati.
L’elenco dettagliato ne prevede nove e due delle aree più grandi, in corso Bramante e verso il confine con Grugliasco, vedranno nascere due enormi centri - il primo realizzato da Esselunga, il secondo da Dimar - realizzati “in deroga”, e cioè senza una variante al piano regolatore e senza la cosiddetta “Valutazione ambientale strategica”. Perché la deroga? L’Espresso lo ha chiesto al sindaco, senza ottenere risposta.
Certamente
Appendino ha ereditato un bilancio non facile, come ammettono tutti, a causa dei debiti fatti in passato per gli investimenti che hanno cambiato il volto della città. Sta procedendo a una riorganizzazione, che non si sa quali risultati darà. Ma alcune scelte sorprendono.
Una parte consistente di questi oneri di urbanizzazione, 36,6 milioni, nel bilancio è previsto che copra spese correnti, di natura ordinaria: «Il fatto è che queste entrate non sono per nulla certe. Il giorno in cui è stato votato il bilancio, il 3 maggio, ne erano stati versati per 3,4 milioni. Facendo un parallelo con gli anni passati, temo che nell’intero anno non supereremo i 20-25 milioni», dice Stefano Lo Russo, capogruppo del Pd ed ex assessore all’urbanistica.
Le voci correnti che dovranno essere finanziate da queste entrate straordinarie sono varie, dal contratto di servizio con l’azienda elettrica alla manutenzione ordinaria di molti edifici, impianti sportivi, scuole. Ecco il motivo per cui nelle aree verdi di competenza delle circoscrizioni, i giardinetti più piccoli e le aiuole, l’erba non viene tagliata. Risponde alla sua domanda iniziale Marco Novello, il presidente della Circoscrizione 5: «I lavori sono già assegnati ma per iniziare serve la “determina di impegno di spesa”. Che senza copertura, non si può firmare».
Se il bilancio 2017 appare traballante, e le periferie rischiano di scontare il prezzo più pesante in termini di decoro e servizi, non è comunque detto che sia questo il guaio maggiore relativo ai quattrini legati alle aree vendute. L’autunno scorso, infatti, era emerso un caso spinoso, che ha portato addirittura a un esposto in Procura. Appendino aveva messo nel bilancio di assestamento del 2016 un’entrata di 19,7 milioni legata alla cessione a un nuovo compratore di un’area dove sorgeva la vecchia fabbrica Westinghouse, senza dire che 5 milioni - in realtà - dovevano essere risarciti a un primo compratore, che li aveva versati come caparra, per poi ritirarsi. Quel debito di 5 milioni, dunque, doveva essere iscritto a bilancio, cosa che non è avvenuta e ha spinto i revisori a sollevare una riserva.
Quando gli uffici finanziari del Comune fecero emergere la questione, si tentò di mettere una toppa: alla sindaca venne recapitata una lettera da parte del creditore dei 5 milioni, la società di gestione immobiliare Ream, controllata dalle fondazioni bancarie. La firmava il presidente di Ream, Giovanni Quaglia, che dava rassicurazioni sulla possibilità di una dilazione del versamento al 2017.
Anche nel bilancio previsionale di quest’anno, però, di questo vecchio debito non c’è traccia: una successiva lettera di Quaglia, recapitata il 21 aprile, rassicurava la sindaca di aver accettato un ulteriore rinvio del pagamento, al 2018.
Due osservazioni:
la dirigente del Comune che sollevò la questione dei debiti fuori bilancio è stata destinata ad altro ufficio. Perché? Anche a questa domanda dell’Espresso non è stato risposto. Intanto il primo febbraio scorso Quaglia è stato nominato all’unanimità presidente della Fondazione Crt, da un consiglio in cui siedono anche i rappresentanti del Comune. Quaglia è un politico di lungo corso, già consigliere di amministrazione di Unicredit e di una società del gruppo autostradale della famiglia Gavio, vicino al regista storico della Fondazione, Fabrizio Palenzona. Chi segue i fatti da vicino, sostiene che la nomina non sia stata pilotata da Appendino. La sindaca, però, su un incarico così “old style”, non ha avuto nulla da dire. Molto politico. Poco Cinque Stelle.