Tra una gaffe e l’altra, il nuovo governatore ligure evita ogni iniziativa rischiosa. E vara un piano casa che permetterà di costruire ovunque

Toccherebbe cominciare dal piano-casa, per raccontare i primi sette mesi di Giovanni Toti presidente della Regione Liguria, che rende eterno un incentivo congiunturale e promette un’iradiddio di cubature dove proprio non se ne sente il bisogno. O dall’assalto ai parchi naturali con una legge che ha fatto drizzare i capelli a sindaci di sinistra e di destra e scatenato la protesta. O magari dalle beghe dell’ultima ora, la sua presenza al Family Day al Circo Massimo con tanto di gonfalone della Liguria, la sua salita sul palco del Festival di Sanremo per la premiazione della sezione Giovani contro il parere dei direttori artistico Conti e di RaiUno Leone, il fatto che ancora non abbia scucito i soldi per i non più rinviabili prepensionamenti nelle aziende di trasporto pubblico.

Ma dell’uomo e del suo stile di governo dicono di più, se non le gaffes in sé (chi non ne fa?), il modo sornione in cui lui se le giostra, gioca e rimpalla. Inutile sbertucciarlo quando in Consiglio lancia un accorato appello per «i nostri tre marò» e tutti a chiedergli che sorte attende i quattro porcellini e gli otto nani: lui scoppia a ridere e appunta che «se non sai tenere il sorriso sulle labbra, se ti manca un tocco d’allegria, sei un paese depresso senza futuro, dove difficilmente vivrai bene e che non attrarrà persone da fuori. Come la Liguria del Pd e del mio predecessore Burlando».

Il 28 dicembre uno sperimentale “Padania Express” parte da Genova Piazza Principe alla volta di Milano, a bordo assessori, deputati, associazioni di categoria e stampa, in cabina di guida Toti e Roberto Maroni, tempo previsto di percorrenza (yes, we can!) un’ora e qualche minuto contro l’attuale scandalosa ora e mezza: ma i due governors arrivano in ritardo, il treno ci mette tre minuti più di uno scassato intercity, le foto postate su Facebook della successiva festa da Silvio e Dudù non salvano la giornata.

«E allora? Abbiamo verificato le criticità sulla linea, ora noi, la Lombardia e il governo centrale investiremo i soldi necessari a risolverle». In diretta tv Toti si annette Novi Ligure, che sta ahilui in provincia di Alessandria: ma pure Raffaella Paita, la candidata Pd da lui sconfitta, aveva ligurizzato Canelli, ahilei in provincia di Asti, sicché Toti sfoggia il suo sorriso a tutti denti e scherza che «sarebbe una bella strategia bypartisan per occupare il sud Piemonte».

La sua assessora a giovani e cultura Ilaria Cavo, giornalista, finisce in cronaca perché le si rompe un tacco, manda dal calzolaio una dipendente regionale, scontenta le impone di farlo rifare a sue spese: lui glissa via, «io porto le Tod’s». Alla prossima che gli scappa si dirà di lui come di Mike Bongiorno, le papere le fa apposta perché generano audience, simpatia e consenso, e vai con “l’orso Yoghi della politica italiana”, copyright Crozza.

Quadretto divertente, ma piuttosto impreciso. Dietro c’è invece una strategia di marketing politico, la convenienza a tenere bassi i toni del conflitto, l’accorto computo dei tempi di un’avventura istituzionale mirata a fare di Toti il candidato premier del centrodestra, l’anti-Renzi. Forte di un sondaggio Tecnè che gli dà un “indice di stima” al 35 per cento, uno sotto Meloni, due sotto Renzi, cinque sopra Salvini, con Berlusconi al palo al 15. «È evidente a chiunque che lui in Liguria è solo di passaggio, la Regione è il trampolino per Palazzo Chigi», fotografa Alice Salvatore, la leader 5 Stelle in Regione. Non che l’interessato ci metta l’anima a smentire. Dice che non vuole «scegliere la carta da parati prima di rifare dalle fondamenta il centrodestra». Che in Liguria pensa «di starci io 5 anni e 10 il centrodestra» (come dire, un mandato passi, due piantato qui scordatevelo). Che Salvini «dovrebbe candidarsi a sindaco di Milano, così acquisirebbe lo standing necessario ad amministrare il paese». Lui, Toti, non s’è candidato in Liguria per lo stesso motivo, soffiando il posto al leghista Edo Rixi ora suo assessore? «Ma io sono partito un anno prima di Salvini...»

Nel biennio che lo aspetta deve però, nell’ordine, badare a non inciampare in avvisi di garanzia e beghe giudiziarie, con persino il suo vice Rixi e il presidente leghista del consiglio regionale Bruzzone ora imputati per le spese pazze, quindi portare a casa qualche risultato almeno di facciata come amministratore, tenersi stretto il suo ruolo nazionale di gran manovratore di quanto resta di Forza Italia, tessere la tela di un’alleanza estesa, magari includendo Ncd come in Liguria. Primo test su questa via sarebbe, alle amministrative di primavera, la presentazione in vari comuni liguri di una unitaria e autonoma Lista Toti: lista che in Consiglio regionale continua a fare gruppo a sé, distinto da Forza Italia.

Primo: evitare passi falsi. Fare il governatore, dice, «è impegnativo e anche rischioso, con una pubblica amministrazione vischiosa come quella italiana». Dunque cominciamo a tagliare i rischi. I mancati allerta alluvione 2011 e 2014 hanno affondato il Pd in Regione e Comune, spedito sotto inchiesta l’ex-assessora regionale Paita e sotto processo l’ex-sindaco Marta Vincenzi? Toti fa subito una legge che gira la piena e unica responsabilità di lanciare l’allerta ai tecnici dell’Arpal, l’Agenzia regionale per l’ambiente. In Lazio Nicola Zingaretti finisce nella macina della legge Severino e viene sospeso tre mesi per una nomina considerata in conflitto di interessi? Toti di nomine controverse già ne ha fatte una mezza dozzina, così emana una norma che in una simile eventualità mette al riparo l’attività di giunta.

Quanto ai risultati, c’è modo e modo di portarli a casa. Talora facendo, talaltra non facendo. «Toti e la sua giunta sono completamente assenti da tutte le partite che determinano il destino di questa regione», lo attacca Raffaella Paita, capogruppo Pd: «dalla gronda autostradale, per cui io come assessore della giunta Burlando avevo fatto approvare il progetto definitivo, fino alla vicenda dell’Ilva di Cornigliano», sospesa tra volontà di sbaraccare tutto, accordi di programma per salvarla, scioperi, presìdi e insoddisfacenti integrazioni di stipendio ai lavoratori in contratto di solidarietà. A fare le spese del malcontento operaio e sindacale non è stato però “l’assente” Toti, ma il sindaco di centrosinistra di Genova Marco Doria, che s’è visto occupare il municipio, e il Pd, il cui segretario è stato in quell’occasione malamente sputacchiato dai manifestanti.

Toti a Doria riconosce coerenza intellettuale ma dice che «Genova non è affatto ben amministrata, s’è svuotata e impoverita, vorrei somigliasse a Dubai, non a una città del terzo mondo come forse ha in mente il sindaco». Ora però che con il decreto “Italia Sicura” sono arrivati 275 milioni per il terzo lotto della copertura del torrente Bisagno, quello che ha provocato le ultime alluvioni, è alla Stazione unica appaltante del Comune di Genova che Toti, nella sua qualità di commissario delegato, ha affidato la gestione dei lavori. Perché mai prendersi rogne e rischi e irritare gli avversari quando basta il bon ton tra enti locali? In Comune confermano che lui e Doria hanno «rapporti istituzionalmente corretti».

Avanti anche con il Blue Print, il disegno del nuovo waterfront genovese a levante tra la Fiera e le Riparazioni Navali, proseguimento della rivoluzione che nel ’92 rifece il volto della Superba: progetto gratis di Renzo Piano, 161 milioni necessari, investitori cencansi. Tattica del pesce in barile, quella di Toti? Tocca controbilanciare. Ecco allora che promette di «rivoltare come un calzino il sistema dei rifiuti (siamo tra le regioni più arretrate), la logistica (paurosamente inadeguata per il primo porto d’Italia), la sanità (la nostra riforma ha obiettivi ambiziosi, si vedranno presto)».

Non c’è da aspettare, sulla sanità è già guerra. «La fuga dagli ospedali liguri verso la Lombardia più Toscana e Piemonte ci costa circa 70 milioni l’anno», accusa Paita, «e invece di migliorare il nostro sistema sanitario Toti che fa? Chiede un piccolo sconto e firma un protocollo d’intesa con Maroni, si consegna inerme proprio a quei lombardi che più hanno da guadagnare dalla debolezza della sanità ligure. Suppongo che in cambio arriveranno presto a far affari da noi i colossi della sanità privata meneghina».

Altra guerra, il mattone. Con la legge Toti sul piano-casa, al posto di un immobile in zona rossa cioè alluvionabile puoi edificare altrove con cubatura maggiorata fino al 50 per cento, anche spezzettando le nuove costruzioni. «E i comuni, esautorati, sono tenuti a lasciartelo fare in quasi tutto il territorio, addirittura all’interno dei parchi naturali come quello di Portofino.

Orripilante e anticostituzionale», attacca Alice Salvatore, che per protesta con gli altri 5 Stelle gli ha rovesciato in aula consiliare un centinaio di mattoni, di polistirolo. Dunque, Toti? «Scommettiamo che i sindaci della canea contro il mio piano-casa saranno i primi ad applicarlo? Quanto ai parchi, sono diventati dopolavoro per ex politici da sistemare, entità burocratiche che taglieggiano con pratiche aggiuntive cittadini e imprese, freno allo sviluppo».

A inacidire il dibattito sulla cementificazione è lo stretto legame fra Toti e Gabriele Volpi, l’uomo da due miliardi di dollari di giro d’affari con decine di società in ogni paradiso fiscale del mondo, il gestore dei quattro principali porti nigeriani più uno in Angola e di tutta la collegata logistica del petrolio, il padrone dello Spezia Calcio e della Pro Recco campione d’Europa di pallanuoto: vari e grandiosi sono infatti i progetti immobiliari di Volpi in Liguria, dal nuovo porto di Santa Margherita Ligure, centro sportivo e hotel a Recco, resort a Rapallo.

Morbido e accomodante, Toti, quando serve l’orso Yoghi tira fuori le zanne. Spende il decuplo del suo predecessore: «Ma per Burlando il mondo finiva a Sestri, io tutti i mercoledì sono a Roma come vicepresidente della Conferenza delle Regioni», e pazienza se 99 italiani su 100 ne ignorano persino l’esistenza e col nuovo Senato potrebbe sparire senza rimpianti. Strapaga consulenze, 140 mila euro alla “Robi” Ferraro ex-segretaria di Emilio Fede, 11 mila a Davide Marselli dello stabilimento balneare di Sarzana dove nuotano lui e il suo giovane assessore alla protezione civile Giacomo Zampedrone: «Pago il giusto le professionalità, il resto è demagogia». Ha rifiutato di tagliare gli 8.500 euro di emolumento dei consiglieri regionali, come affermato in campagna elettorale, allineandoli con quello di un sindaco di grande città: «Mai detto che li avrei tagliati» (ricorda male, disse «credo possano essere limati sui 4.500 euro», il video sta su Sky.it), «comunque aumenterei quello di un sindaco».

Ogni tanto, mentre parliamo, riceve una telefonata: sì, certo che Bertolaso a Roma, no, oggi Berlusconi ha visto solo sfaccendati in ordine sparso... C’è in Forza Italia una commissione che tratta e decide su scala nazionale candidature e alleanze del centrodestra alle comunali di primavera. Cinque persone. Ma è Toti l’uomo chiave. Il consigliere politico. L’uomo della tv. Il candidato.