I grandi cargo pieni di merci per i nostri negozi rimasti aperti. Il transatlantico dei crocieristi malati che entra in porto. E un immenso cielo muto che dice: nessun luogo ormai è remoto

Il sole sta tramontando. La via è deserta, muta, spazzata dai raggi obliqui del crepuscolo. Segni di umanità provengono dal mare. Oltre l’Aurelia, l’immensa stazza della Costa Luminosa avanza lentamente fino all’approdo. I palazzi vibrano al rombo penetrante dei suoi giganteschi motori Diesel. Non si direbbe, a osservarne la corazza bianca e le cabine chiuse, che all’interno della nave siano custodite più di mille persone a rischio Covid-19, alcune già contagiate. Se mi volto di pochi gradi a Levante, vedo l’ospedale San Paolo di Savona, dove sono stati ricoverati urgentemente i casi più gravi. Tutti di nazionalità diversa, provengono dai quattro angoli del pianeta. Olanda, Israele, Australia e Cile, secondo “Il Secolo XIX”. Europa, Medio Oriente, Oceania, America. La pandemia nei pochi metri quadrati di un reparto ospedaliero. E sono ancora più disparate le origini dei crocieristi che si cerca di rimpatriare in fretta e furia, e dell’equipaggio ancora a bordo; 49 marittimi sono positivi secondo l’Ansa.

Il mare ti insegna non solo che il mondo non ha confini, ma che tutto il mondo si rispecchia in ogni luogo. Navi battenti bandiere europee, africane, americane, asiatiche, sfilano ogni giorno salutando la città, scaricando merci che hanno percorso migliaia di chilometri sull’oceano fino al Mediterraneo, e ti impediscono di pensare che sul pianeta esistano luoghi remoti, che non possano venire a contatto con te. A volte mi chiedo se l’unico luogo remoto non sia invece quello dove vivo io, un invisibile cantuccio di provincia abbarbicato su un alto promontorio, su cui le nuvole si posano eteree nei giorni di pioggia. I marinai non si accorgeranno delle nostre finestre, mentre lavorano fra container e minerali. La Costa Luminosa deve cambiare ormeggio. La grande nave da crociera scivola cupa fra i cargo bianchi e blu del gruppo Grimaldi, lasciandosi dietro una scia di acque smosse e fumo acre. I motori delle navi sono gli unici disertori del nuovo silenzio, un battere e levare incessante e lamentoso, cavernoso, automatico, come se nel porto dormisse un drago con la tachicardia.

La luce del tramonto è insopportabilmente dorata. Sembra che sia questo giallo puro, arido e privo di calore a desertificare la via. Sento urlare un bambino. Sta parlando con qualcuno: adulti, signori di mezza età. «Andate via!», grida il bambino. Gli adulti borbottano parole che non comprendo. «Andate via! Andate a casa!». Ancora un pigro bofonchiare. Il bambino esita; crede che gli adulti siano qui per ammirare gli animali da cortile di un residente della zona. «Va bene, restate un po’ a guardare gli animali. Sono belli. Ma poi andate via, è pericoloso! Dovete andare a casa!» Dopo, il silenzio. Solo i motori delle navi.

unafinestrasulporto@gmail.com