Mentre si fa la conta dei danni del terremoto, ricorre l'anniversario della catastrofe che mise in ginocchio la città di Michelangelo. Non ancora fuori pericolo, come tanti altri nostri capoluoghi. E sull'Espresso in edicola da domenica l'approfondimento su tutti i rischi del nostro territorio

Il Crofisso di Cimabue sommerso dal fango nel cenacolo della basilica di Santa Croce e le altre opere d'arte danneggiate dalle acque dell'Arno. Simboli della città spazzata via dalla piena, soccorsa dagli angeli del fango. Cinquant'anni dopo tornano in mente le immagini dell'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, mentre oggi si fa la conta dei danni devastanti inferti dal terremoto al patrimonio storico e artistico di Lazio, Marche e Umbria.

Allora il Crocifisso di Cimabue e adesso la Basilica di San Benedetto a Norcia ridotta a un cumulo di macerie: emblemi di un'Italia ricca di capolavori ma fragile, sotto la minaccia costante di sismi, frane, inondazioni, abusivismo edilizio.
 
TRENTAMILA BENI CULTURALI A RISCHIO
La mappa qui sotto parla chiaro: sono migliaia i beni culturali a rischio alluvione a Roma, Napoli, Genova, Milano e altre città d'arte, con il picco significativo di Venezia. In tutto, sono 12mila i beni culturali in pericolo nello scenario più grave (con una probabilità di ritorno del fenomeno ogni 20-50 anni), che diventano quasi 30mila nello scenario di pericolosità media (tempo di ritorno ogni 100-200 anni), secondo il Rapporto Ispra 2015 sul dissesto idrogeologico in Italia.

Ma cosa succederebbe oggi nel caso di una piena dell'Arno simile a quella di mezzo secolo fa? «Nella zona ovest di Firenze negli ultimi 50 anni ha avuto luogo una urbanizzazione significativa. Sotto questo aspetto, il rischio rispetto ad allora è aumentato», spiega il geologo Alessandro Trigila, che fa parte del gruppo di ricercatori dell'Ispra che ha elaborato lo studio. «Nel frattempo, tuttavia, sono state realizzate alcune opere che hanno contribuito a mitigare il pericolo, tra cui la diga del Bilancino, ultimata nel 1995, utilizzata per regolare le piene», aggiunge. La diga e la prima cassa di espansione di Figline possono contenere in totale 19 milioni di metri cubi d'acqua, contro i 100 milioni fuoriusciti nel 1966. 



All'orizzonte, intanto, ci sono le opere strutturali previste dal piano nazionale 2015-2020 per la messa in sicurezza delle città metropolitane contro il dissesto idrogeologico, con 654 milioni di euro deliberati dal Cipe nel 2015 per i lavori nelle principali città. Soldi che servono, tra l'altro, a finanziare per l'Arno la costruzione di quattro casse di espansione nell'area di Figline e l'innalzamento di 9 metri delle spallette della diga di Levane, che saranno in grado di contenere a monte dei centri abitati 60 milioni di metri cubi di acqua di piena. Secondo i piani, i lavori dovrebbero concludersi entro il 2021. «Quando le opere verranno completate e collaudate, buona parte del rischio idraulico per Firenze verrà scongiurato. Oggi, però, la situazione resta critica», conclude Trigila. 

DA VENEZIA A PISA, CITTÀ D'ARTE IN PERICOLO
In base al Rapporto Ispra 2015, tra i comuni con più elevato numero di beni culturali a rischio alluvioni (nello scenario di pericolosità media) figurano città d'arte importanti: Venezia, Ferrara, Firenze, Ravenna e Pisa. Solo nel comune del capoluogo toscano sono 1.258 i beni a rischio idraulico, tra cui la Basilica di Santa Croce, la Biblioteca Nazionale, il Battistero e la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, già duramente colpiti durante l'alluvione del 1966.

Per la salvaguardia del patrimonio culturale di Firenze, inoltre, sono già state messe in campo altre misure non strutturali: la prefettura della provincia, in collaborazione con l'Autorità di Bacino dell'Arno, dal 2007 ha avviato la schedatura degli edifici che per la loro ubicazione potrebbero essere danneggiati in caso di alluvione: chiese, biblioteche, musei, immobili di pregio storico-architettonico.



E ANCHE ROMA SI SCOPRE FRAGILE
C'è poi il caso Roma, che si aggiunge all'elenco delle città a rischio inondazioni se si considera lo scenario a pericolosità bassa, con un tempo di ritorno tra i 300 e i 500 anni. In questo scenario, i beni culturali a rischio sono 2.190 e l'area inondata includerebbe anche il centro storico con Piazza Navona, Piazza del Popolo e Pantheon.

Nella Città Eterna, comunque, la maggior parte dei beni culturali si trova in una zona a bassa probabilità di accadimento. «Questo non vuol dire che il fenomeno vada trascurato», sottolinea il ricercatore dell'Ispra: «In una città come Roma, così come nelle altre città d'arte, il patrimonio appartiene a tutta l'umanità: un eventuale danno sarebbe irreversibile, non si tratta di ricostruire una casa o un centro commerciale. L'obiettivo ottimale sarebbe mettere in sicurezza tutti i beni culturali ipotizzando lo scenario peggiore».