"Non sono un critico, non sono un esperto, non sono uno storico". Ciò nonostante l'ex sindaco della meravigliosa città riempie lo schermo per quattro puntate

«Il bordello è l’unica istituzione italiana dove la competenza è premiata e il merito riconosciuto», diceva Indro Montanelli, per spiegare ai più che la (brutta) parola “meritocrazia” funziona solo in teoria ma che al dunque, chi fa non è quasi mai chi dovrebbe fare. Il che si adatta al metodo televisivo come un guanto di seta su una fanciulla all’opera. Perché mentre in alcuni campi si percepisce ancora quel vago buon senso che porta all’essere non dico restii quanto animati da un briciolo di prudenza, in tv ci si sente autorizzati a impossessarsi delle inquadrature senza porsi minimamente il problema dell’imbarazzo, del «non lo so fare» quindi magari mi metto in punta di piedi. Eppure, anche per entrare in quella piccola scatola sarebbe, e il condizionale è d’obbligo, carino saperne qualcosa.

E no, la passione non basta. Per questo l’interminabile produzione “Firenze secondo me” non è un buon regalo di Natale per gli spettatori. Perché l’innegabile devozione di Matteo Renzi per la sua città, oltre al piacere che si sia trovato ad amministrare un luogo che amava, non è sufficiente e non lo sarebbe stato per nessun altro in un ideale provino di selezione. «Scusi lei perché vuole condurre? Perché amo il tema. Ah ok, preso». Questa non è la tv normale di un Paese nomale.

Così Renzi nonostante dichiari: «Non sono un esperto», si prende la scena di per sé pregevole, per quattro lunghe puntate. E quando parla passando di stanza ?in stanza, indicando e spalancando le braccia viene da chiedersi: per quale motivo proprio lui? Insomma il problema non ?è il documentario sulla meravigliosa ?città ma il fatto che diventi il suo documentario, in cui si butta a corpo morto, tra un Vasari e un ricordo personale, stretto in una camicia bianca impietosamente di una misura troppo piccola. Seduto su una barchetta, o in sella a una bici, con le palpebre strette per non farsi accecare dal sole. E alla fine passa quello strano messaggio per cui ?è plausibile che un ex premier salti dalle slide della legge di Bilancio al racconto dei retroscena dell’arte fiorentina solo per amore. E se avesse amato la danza classica? Si sarebbe infilato in una calzamaglia? Un’assurdità. ?Un po’ come se a un comico venisse ?in mente di buttarsi in politica.

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SEMAFORO VERDE
In un buio momento in cui c’è una madre che urla “il mio bambino meglio sporco di pipì che vestito di rosa” è doveroso guardare “Butterfly” (Fox Life), miniserie inglese su Max che si sente Maxine. Una storia delicata e potente di una famiglia con un figlio transgender. Che affronta la questione, il dolore e i pregiudizi. Bravi tutti.

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SEMAFORO ROSSO
“Fai anche tu un appunto moralista aila brutta musica che ascoltano i ragazzi” è il gioco di fine anno. A cui non si sottrae neppure Chi l’ha visto: «L’artista non ?è responsabile se qualcuno va con lo spray al peperoncino in discoteca. ?Però è responsabile dei suoi messaggi culturali come nella compilation che ?vi facciamo sentire».