Khan a Londra, Hidalgo a Parigi, la sfida delle capitali dell’Est contro i sovranisti. I primi cittadini non sono comparse della politica nazionale, ma portatori di una strategia politica

Dopo l’estate in Italia si voterà per i sindaci e i consigli comunali di oltre 1000 comuni, tra cui le 4 città più popolose del Paese: Roma, Milano, Napoli e Torino, a cui va aggiunta Bologna, altro capoluogo di regione.
Queste 5 città metropolitane rappresentano, tutte insieme, 14 milioni di abitanti, quasi un quarto del Pil del Paese. Sono in molti a dire che non si tratterà di una semplice elezione di interesse locale, ma di un test politico di livello nazionale per tutte le forze politiche. Ciò non solo per l’evidente situazione in cui ci troveremo all’inizio del prossimo autunno, tra campagna vaccinale da concludere e ripresa economica da avviare, bensì anche per il ruolo che le città hanno assunto in questi mesi di emergenza pandemica e che, più in generale, vanno assumendo in questi anni in Europa.


Le città hanno rappresentato in Italia la prima linea dell’emergenza sanitaria, che in pochi mesi si è trasformata in emergenza economica e sociale, evidenziando così un paradosso: i sindaci si ritrovano ad essere ancora una volta il punto di riferimento di ansie, bisogni, proteste di cittadini, lavoratori e imprese, senza tuttavia avere le risorse economiche e soprattutto le competenze formali per dare risposte dirette.


Questo concetto fa comprendere come sia indispensabile ripartire dal governo locale per dare ordine ad un programma strategico e ordinato di ripartenza. Lo ha ricordato da ultimo anche il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, che nel discorso alle Camere in occasione della presentazione del Piano di Ripresa e Resilienza ha voluto sottolineare l’importanza degli enti locali come soggetti attuatori del Piano.
Se volgiamo lo sguardo all’Europa ci accorgiamo che ben prima della pandemia i sindaci delle grandi città si sono imposti come leader politici innovativi, i più consapevoli dei cambiamenti globali in atto e delle sfide poste di fronte alla società contemporanea. I sindaci europei, a tutti i livelli, sono stati i pionieri delle politiche pubbliche in questi campi, sperimentando nuove forme di mobilità sostenibile, concentrando gli investimenti sul trasporto pubblico, avanzando modelli specifici e innovativi di inclusione sociale. Senza l’azione delle città, infatti, ogni ambizioso obiettivo globale, dalla lotta al cambiamento climatico all’inclusione sociale dei migranti, rischia di fallire.


I sindaci del resto parlano lo stesso linguaggio e hanno ovunque lo stesso modo di rimboccarsi le maniche ed è questa loro prossimità naturale alla persona che li rende le figure politiche generalmente più rispettate dall’opinione pubblica in ogni paese. Dopo la disfatta dei laburisti alle ultime elezioni il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha preso di fatto le redini di ciò che resta della sinistra inglese, ponendosi come unico vero contraltare al premier Boris Johnson attraverso un nuovo modello di multiculturalità e inclusione sociale riassunto nell’ormai celebre slogan “London is open”. Nell’area socialista francese emerge con sempre più evidenza la leadership della sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, di recente confermata per la seconda volta, coraggiosa e determinata nelle politiche ambientali. Nell’est, i sindaci delle quattro capitali dei Paesi Visegrad (Varsavia, Praga, Bratislava e Budapest) hanno lanciato il “Pact of Free Cities” in sfida ai leaders sovranisti antieuropei. Sempre ad oriente si fa largo la sfida tra il presidente turco Erdogan e il sindaco democratico e filo-europeo di Istanbul, il cinquantenne Ekrem Imamoglu.


Le storie dei sindaci europei sono la dimostrazione plastica di come i primi cittadini non siano affatto comparse della politica nazionale, ma veri e propri leader portatori di una strategia politica sui temi globali corroborata da una solida esperienza “sul campo” la cui qualità si misura proprio sulla capacità di cambiare la vita dei loro cittadini. Amministrazione locale e visione globale sono due valori che si alimentano vicendevolmente nell’azione quotidiana dei leader di queste grandi città, i quali agiscono allo stesso tempo come artigiani e visionari. Il sindaco deve pensare alla pace nel mondo e a cambiare le lampadine, ammoniva Giorgio La Pira.


Dopo la pandemia ci sarà bisogno di luoghi di convivenza, di decisione e partecipazione alla quale le città, con le loro municipalità, dovranno corrispondere ripensando il modello di prossimità. Ed è quella capacità unica di lavorare con “ago e filo” (di cui ha parlato Walter Veltroni, memore della sua straordinaria esperienza di sindaco di Roma) che fa dei primi cittadini i principali depositari del vaccino contro l’antipolitica.


Lo ha capito bene Enrico Letta, neo segretario del Pd, che nel suo discorso di insediamento di fronte all’assemblea nazionale non ha mancato di sottolineare il ruolo fondamentale dei sindaci democratici, portando un linguaggio nuovo («la politica fatta di anima e cacciavite») nel clima sfilacciato e stanco del partito.


Anche a Bruxelles la voce dei sindaci comincia ad arrivare con più forza che in passato, a testimoniare la volontà dei primi cittadini di ottenere un posto ai tavoli dove si decidono le strategie europee. Per la prima volta nella storia dell’Unione, infatti, la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, e il Presidente del Parlamento, David Sassoli, hanno pianificato un vertice, previsto per l’inizio di luglio, con la più importante associazione europea di sindaci, Eurocities, di cui sono presidente dal 2020, un network che conta più di 200 sindaci di città con più di 250 mila abitanti. La vicenda delle città ha infatti preso corpo particolarmente in questi mesi in occasione della discussione sul Next generation Eu, nella quale a più riprese è emersa in seno alla Commissione e al Consiglio dell’Ue la necessità di legare gli ingenti finanziamenti del Piano ai territori con progetti concreti e verificabili e con il coinvolgimento dei governi locali.


Dove porterà questo fenomeno dei primi cittadini protagonisti, soprattutto nel campo riformista europeo, è ancora presto da prevedere. Ma le potenzialità di una vera e propria rete dei sindaci europei sono sotto gli occhi di tutti e i leader politici nazionali cominciano a rendersene conto, individuandoli come temibili avversari o, al contrario, preziosi alleati. In tutto il continente i sindaci delle grandi città sono ormai attori fondamentali e insostituibili della vita politica dei vari paesi e si avviano a giocare un ruolo decisivo nel futuro politico di tutti i partiti e movimenti europeisti.


*Dario Nardella è il sindaco di Firenze e presidente di Eurocities