Il commento pubblicato da L’Espresso il 4 dicembre 1966, dopo l’alluvione che aveva devastato Firenze, racconta un Paese disinteressato alla difesa del suo territorio. Non sembra cambiato molto

Nel gran dibattito che si è aperto dopo i recenti disastri nazionali, nel coro di allarmi, denunce, critiche, autodifese e proclamati impegni, di una cosa si è assai raramente parlato: cioè dell’esigenza di impostare anche in Italia un’azione sistematica di “conservazione della natura”. (…) Una disciplina complessa che studia nel suo insieme, unitariamente, l’ambiente in cui viviamo, e che, insegnandoci a non alterare insensatamente il prezioso equilibrio delle forze organiche e inorganiche, tende a evitare che l’uomo, come disse Julian Huxley, diventi il «cancro dell’universo», con le disastrose conseguenze che sappiamo.

 

Conservazione della natura: è una cosa che di regola ha sempre interessato assai poco politici, benpensanti e direttori di giornali, normalmente occupati in fatti più “urgenti” o più ”attuali”.(…) Che poi in Svizzera si spenda un miliardo in più per deviare il tracciato di una nuova strada, allo scopo di salvare certe felci scomparse nel resto d’Europa, questo farebbe addirittura cascar per terra dalle risa i responsabili della nostra economia.

 

In realtà, la conservazione della natura noi non sappiamo nemmeno che cosa sia. Siamo i più arretrati del mondo anche in questo campo(…). Non ci sarà da meravigliarsi se il Parco Nazionale d’Abruzzo, una volta considerato tra i più preziosi “santuari della natura” in Europa, sia stato massacrato dalle lottizzazioni, col beneplacito dei forestali e con i fondi della Cassa del Mezzogiorno. (…)

 

Tutto o quasi è stato detto sulla funzione dei boschi per quanto riguarda consolidamento del suolo, contenimento delle precipitazioni atmosferiche, regolazione dei corsi d’acqua, eccetera; giova invece riportare alcuni dati sulle conseguenze dell’erosione, dovuta principalmente all’assenza di un sufficiente manto forestale o al disboscamento.

 

Alcuni studiosi calcolano che il Po riversa nell’Adriatico ogni anno 380 milioni di quintali di terra. Il professor Mario Pavan dell’Università di Pavia scrive che cinque milioni di ettari di territorio soprattutto appenninico siano preda o sotto minaccia dell’erosione: l’Arno convoglierebbe al mare ogni anno ventisei milioni di quintali di terra. Altri calcola che le acque selvagge (non trattenute cioè dalla vegetazione) trasportino al mare da 3.500 a 4.000 metri cubi di materiale solido per chilometro quadrato di bacino imbrifero, equivalente alla perdita di produzione di circa 300.000 ettari, con un danno che può essere valutato in 250-300 miliardi di lire all’anno. È una situazione che interessa particolarmente la montagna appenninica ligure-tosco-emiliana, quella meridionale e l’interno della Sicilia. (...)

 

Di che entità dovrebbe essere il rimboschimento nei prossimi anni in Italia, lo ha dichiarato il direttore generale delle Foreste, Antonio Pizzigallo. Occorre rimboschire 60.000 ettari l’anno, con una spesa di 30 miliardi all’anno: in totale 1.500 miliardi da spendere in 50 anni. Con ciò si rimboschirebbero i tre milioni di ettari abbandonati dall’agricoltura, destinando il resto al miglioramento dei pascoli.

 

Il rimboschimento sarebbe insufficiente se non si provvedesse contemporaneamente alla sistemazione dei torrenti nei territori montani: per questo si dovrebbero impiegare 20 miliardi l’anno (mille miliardi in cinquant’anni), e si avrebbe così un totale di 2.500 miliardi per il prossimo mezzo secolo, con cui sanare il dissesto idrogeologico della nostra montagna. C’è da chiedersi in che cosa sono stati impiegati in questi ultimi dodici anni quei circa duecento miliardi che il piano dei fiumi del 1952 prevedeva a carico del ministero Agricoltura e Foreste per opere idraulico-forestali: pare che per il rimboschimento siano stati impiegati sei miliardi. E gli altri, a quali opere hanno servito?

 

È uno dei tanti misteri, in questi tempi calamitosi, in cui spesso si fanno opere pubbliche per scopi che poco hanno a che fare con l’interesse generale. (…)