La morte di Papi è anche colpa dell’inadeguata pianificazione del reinserimento della fauna. Uccidere un orso non risolve nulla

Il “Progetto Life Ursus”, finanziato dall’Ue, iniziato nel 1999 e concluso nel 2004, aveva l’obiettivo di riportare nelle Alpi del Nord Italia gli orsi bruni. Sono stati quindi rapiti, dalle foreste slovene, 9 individui: 3 maschi e 6 femmine, scelti appositamente per ripopolare con minimo 50 individui in circa 30 anni. Le aree individuate come idonee coprivano oltre 1.700 km2 e comprendevano la parte occidentale del Trentino e le province di Bolzano, Brescia, Sondrio e Verona.

 

Con il passare degli anni, mentre gli orsi continuavano a nascere, lo sfruttamento delle regioni montane si è intensificato. Questo ha fatto sì che molti individui entrassero in stretto contatto con la popolazione umana locale. Nella stragrande maggioranza dei casi, gli incontri sono stati tanto pacifici quanto rari, in quanto riguardavano principalmente animali lasciati incustoditi in montagna dai loro allevatori.

 

La giunta Dallai ha tolto la gestione degli orsi al Parco Adamello per darla all’assessorato Agricoltura, mentre nel 2018, la giunta Fugatti ha varato una legge per estromettere lo Stato dalle decisioni sugli orsi per poter sistematicamente deportare e imprigionare gli orsi liberi in zoo o nella struttura “Casteller”, vicino a Trento. Realizzata nel 2008, la struttura, meno di un ettaro, è stata costruita con la consulenza dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica e la condivisione, anche finanziaria, del ministero dell’Ambiente, con lo scopo di accogliere, provvisoriamente, gli orsi, per esempio quelli feriti, e non per la cattività permanente. Prima di essere trasferita in un recinto di 10 ettari che condivide con altri 5 orsi e 3 lupi, in Germania, la prigionia dell’orsa DJ3, è stata di dieci anni, a seguito della predazione di una pecora. In 150 anni, i conflitti con gli essere umani sono stati sporadici, letali solo nel caso di Andrea Papi, e sempre per proteggere la prole. Inoltre, a ridosso della stagione turistica, quando una ciclista aveva avvistato e segnalato la presenza ravvicinata dell’orsa Gaia, la notizia non è uscita. Sarebbe stato il momento giusto per allertare e preparare la zona di Caldes, dato che l’incidente con Papi sarebbe poi avvenuto a 4 chilometri di distanza.

 

Molti fallimenti hanno a che fare con la mancata pianificazione del progetto stesso, che si è concentrato soprattutto sulla creazione di un nuovo turismo naturalistico, senza prestare attenzione alle potenziali questioni che oggi riguardano gli orsi, come la loro scarsa diversità genetica e la tendenza a rimanere all'interno di un territorio a causa di barriere naturali o artificiali. Per rispondere ai fallimenti del progetto, molti attivisti di tutta Italia si sono uniti per creare la campagna #StopCasteller, il cui obiettivo è impedire l'uccisione o la detenzione di altri orsi.

 

Domenica 21 maggio in piazza Dante a Trento è stata chiamata una mobilitazione davanti alla Provincia in vista della decisione del Tar, il 25 maggio, sull’uccisione di JJ4 e MJ5. Qualsiasi sia l’esito del Tar, l’Ordine dei Veterinari trentini ha dichiarato che non effettuerà l’eutanasia su due esemplari sani di una specie protetta. Oltre l’epopea mediatica e la narrazione da sceriffo di Fugatti, è chiaro che la gestione della convivenza con gli orsi debba tornare a Parco e ai tecnici, non alla Provincia autonoma di Trento e alla protezione civile, come se gli orsi fossero una calamità e non una specie autoctona estinta dall’uomo, poi re-inserita e perseguitata in vista delle prossime elezioni.