Quella dei commentatori e degli intellettuali del piccolo schermo è la lobby più potente in Italia. Un circolo per pochi eletti. Per entrarci, infatti, bisogna seguire talune regole di comportamento

Altro che poteri forti, la lobby più potente in Italia è quella degli opinionisti tv, gli influencer degli over 45. Un po’ giornalisti, un po’ agitatori, sono loro l’ariete per far breccia nelle menti degli italiani. Trattasi di un’élite di pochissimi, con agenti che si occupano dei loro cachet (il gettone di presenza che ne monetizza il titolo, come in una Borsa della cultura). Gli opinionisti sono in grado di spostare più voti di un politico poiché non devono fare, ma commentare. Per essere tra queste poche decine di eletti si deve anzitutto avere una presenza che «buca» lo schermo con concetti rapidi e chiari. Siamo nell’era del pensiero polarizzato, conta più come si dice una cosa di quello che si dice.

 

Ma che cosa serve per diventare un intellettuale tv in Italia?

 

Urlare. In tv se non urli non hai senso. Quando il dibattito sta morendo in tecnicismi e vicoli ciechi, il vero opinionista, il fuoriclasse s’inalbera in una sonora incazzatura che sfoga urlando. La risposta urlata, o molto piccata in stile Francesco Borgonovo, serve a non far annoiare il pubblico e a sottomettere l’avversario, per cui dev’essere un flusso verbale continuo: non si può interrompere per ascoltare argomentazioni o repliche.

 

Look. Devi essere riconoscibilissimo, avere la tua divisa. Esempi: Mauro Corona vestito da scalata nel bosco, Giampiero Mughini con gli occhialini, Vittorio Sgarbi con il suo ciuffo che si sposta sempre (quando non sta al cellulare), le cravatte di Antonio Caprarica, Selvaggia Lucarelli con un look stile Lana Del Rey, Massimo Cacciari e l’outfit da prof di filosofia, ecc.

 

Mood preso male. Guai a sembrare una persona allegra, devi essere intriso di dramma, diventare un totem di sofferenza e contenere nei tuoi discorsi tutti i problemi del mondo come se non li stessi raccontando pagato da uno studio televisivo, ma se li stessi vivendo. Attiverai così il transfert nel pubblico, che, preso dal senso di colpa per il suo privilegio, sentirà di aver espletato i suoi dieci minuti al giorno di interesse civico.

 

Rispondere alle domande con i tuoi slogan. Se ti fai imbrigliare in un dibattito vero e proprio sei finito perché non ci sarà mai il tempo di spiegare un concetto per intero in tv («è leeeento, non funzionaaa», letto con la voce di David Parenzo che imita Carlo Freccero). Il conduttore esperto, che sia Massimo Giletti o Barbara Palombelli, appena nota che la tua risposta non è adrenalinica cerca di tagliarti per evitare che lo spettatore cambi canale. Quindi, a ogni domanda scomoda si risponde con una tesi che non è una risposta in tema, ma un teorema nuovo in cui crediamo profondamente e che serve a sostenere una causa più importante: noi. Sviato il discorso, al telespettatore rimarrà il cookie del nostro concetto e l’avversario resterà allibito dal nostro dribbling.

 

Lasciare lo studio. Un colpo di teatro solamente per i veri king, ma quando ci si arriva deve dare una gran soddisfazione.

 

Manifestare superiorità. Qui i maestri sono Andrea Scanzi e Marco Travaglio. Questa tecnica, che manda letteralmente in panne gli avversari, consiste nel fissare l’interlocutore con un sorrisetto sardonico e poi schernirlo lasciandosi scappare commenti a bassa voce come se l’altro non potesse sentire.

 

Ecco un consiglio utile a tutti i frequentanti dei master in Giornalismo. Potrete vincere tutti i premi che volete e firmare importanti inchieste, ma niente darà mai una spinta alla vostra carriera come prendersi uno schiaffo da Roberto D’Agostino.