Siamo bombardati di notizie e ci crediamo esperti su tutto. Senza mai approfondire la verità

«Io penso invece che il giornalismo e in genere la rapidità di diffusione delle notizie inutili e mostruose è il danno maggiore che l’umanità sopporta in questo secolo. Si sa tutto di tutto. Che noia. E che tristezza». Ennio Flaiano, “Diario degli errori” (1958), Adelphi.

 

Se mangi cioccolata ogni cinque minuti per mesi di fila, ti fa sicuramente male. Idem, se fumi a quei ritmi. Se ti masturbi in continuazione, se passi ore su un videogioco o alla tv, se bevi troppi caffè, se assumi troppi zuccheri. Ogni cosa fatta «troppo» fa male. Adesso quindi ci sarebbe da parlare del nostro rapporto con le notizie, forse la storia d’amore più tossica degli ultimi anni. Da quando ci svegliamo e per tutto l’arco della giornata, non facciamo che ricevere sul telefono avvisi di notizie che accadono nel mondo. Se non è il telefono, sono la radio, la tv, i discorsi degli amici o dei passeggeri della metro. Le notizie ti targettizzano e t’infilzano come frecce invisibili, ti stanano ovunque.

 

Ed è tutto un assedio di breaking news, un’Ans(i)a, uno «shock»: una nuova crisi sul fronte di guerra, l’aumento del costo della vita, missili sul Pacifico, il clima impazzito, omicidi, monnezza a Roma, corruzione, scandali ecc. Notizie importantissime che un minuto dopo sono sostituite da altre più importanti, perché di base la notizia ha una vita brevissima. Ogni titolo è un’apocalisse e di solito la maggior parte delle persone si ferma a quello. Per i pochi che vanno oltre e leggono l’articolo intero (sempre che venga da una fonte affidabile e non dal tweet di un complottista o da una fake news), per i pochissimi disposti a pagare un quotidiano online, a volte c’è un po’ di conforto: le cose non sono poi come sembravano, ci sono sempre delle spiegazioni, un briciolo di speranza magari. Allora come mai il titolo è caricato ad arte? Così l’utente ci clicca sopra e il sito genera traffico e ricavi. Ogni tanto qualcuno c’ha provato a fare dei quotidiani di sole buone notizie, ma sono durati poco. Non erano appetibili. Il pubblico vuole il sangue, diceva Carmelo Bene.

 

Travestito da un’urgenza esasperata eppure così poco duraturo, questo bolo di discorsi introiettato dai nostri occhi si radica nell’inconscio facendoci vivere in un costante stato di ansia. Siamo iper-informati, ma spesso con una conoscenza solo superficiale degli argomenti, visto che approfondirne anche uno solo al giorno sarebbe uno sforzo enorme.

 

Ogni scelta di un governo, che sia una manovra finanziaria o una proposta di legge, ogni avvenimento su cui esprimiamo giudizi netti dopo la sola lettura di un titolo chiederebbe ore di studio da parte di legali ed esperti. E anche dopo tale studio è probabile che pure loro vorrebbero confrontarsi con altri esperti. Noi no. Noi siamo categorici su tutto. Non siamo solo un popolo di commissari tecnici, ma anche di opinionisti.

 

Quindi, tra un allarme e l’altro, tra una notifica ansiogena e il commento del tuo vicino d’ombrellone che «l’ha letto su Facebook», devi crearti un mantra di autocontrollo: ti calmi, cominci a cercare e verifichi su più fonti quello che sta succedendo. Nel mentre, attento a non sconcentrarti perché qualcuno ti chiederà un parere sui Rolex spariti a Francesco Totti e scoprirai che, nonostante non te ne freghi niente, ne eri a conoscenza e senza manco saperlo avevi pure un’opinione a riguardo. Pazzesco.