La politica ha paura di decidere su temi come questi, così come sulle adozioni gay. Ma i diritti civili non sono alternativi alle questioni sociali

Dicembre 2016, passeggiavo tra i viali fantasma di Cinecittà mentre mi raccontavano di Fabiano Antoniani, dj Fabo. Fabiano era un uomo pieno di vita fino a un incidente stradale che lo aveva reso tetraplegico e cieco. A febbraio 2017 avrebbe compiuto 40 anni, voleva dare una festa e salutare tutti gli amici. Voleva congedarsi da una vita che non riusciva più a considerare vita.

Quando per la prima volta Fabiano Antoniani incontra Marco Cappato, gli dice: «Avevo una vita bellissima, la più bella del mondo, la più bella che potessi desiderare. Fino all’incidente. Ora ho dolori insopportabili e sono immobile e, siccome io la vita la misuro in qualità e non in quantità, ho deciso che così non voglio più viverla».

Quando mi spiegarono ciò che stavano vivendo Fabiano e le persone che gli erano accanto - la sua compagna Valeria e sua madre Carmen - mi chiesero di sostenere la sua battaglia, una battaglia che Fabiano stava ancora decidendo se combattere o meno. Immaginate i dubbi, i ripensamenti, le paure: per quanto una vita possa essere insopportabile, è sempre vita e non è facile decidere di separarsene. Non è facile per nessuno.

Forse vale la pena partire da questo, per capire che tutto ciò che viene dopo la decisione è un atto di amore, di amore profondo. Fu un atto di amore quello tra Mina e Piergiorgio Welby. Fu un atto di amore profondo, paterno, immenso, quello di Beppino Englaro che decise di rispettare il desiderio di sua figlia Eluana, che mai avrebbe tollerato di vivere come un vegetale. Ha senso chiedersi come fossero le vite di Fabiano Antoniani e di Eluana Englaro prima dell’incidente? Come quelle di Piero Welby e Dominique Velati prima della malattia? Forse sì, ha senso, perché ci renderemmo conto che le loro vite erano uguali alle nostre, vite bellissime perché imperfette, reali, vite piene anche di sofferenza. Ma esiste un limite tra una vita che possiamo vivere e una vita che ci toglie tutto?

Vita significa cercare un lavoro e trovarne uno che magari ti rende infelice, significa non trovare più il senso in una storia d’amore, significa provare rancore verso i propri genitori, rancore e amore insieme. Vita è uscire con gli amici per una birra, litigare, tradirsi e dimenticare. Vita è portare il cane giù a pisciare, vita è abbracciarsi sotto le coperte, vita è il silenzio, vita è la complicità, le battute, gli scherzi. Vita è dare una festa per i propri 40 anni per salutare tutti e congedarsi dalla vita.

Su anni di disobbedienza civile e su un lavoro costante, titanico, eroico dell’Associazione Luca Coscioni e dei tanti amici che hanno sempre sostenuto Marco Cappato, Filomena Gallo, Mina Welby e tutti gli attivisti, si innesta la pronuncia della Corte Costituzionale che ha stabilito che chi si trova nella condizioni di dj Fabo ha diritto a essere aiutato, che l’aiuto a una morte dignitosa, in determinate condizioni, non è reato. L’Associazione Luca Coscioni, da quando è nata, non si è spesa solo per aiutare chi legittimamente decide di voler interrompere una vita di sofferenza e immobilità, tenuta in piedi artificialmente, ma si occupa di sostenere il progresso scientifico per la procreazione assistita che alle nostre latitudini resta incredibilmente ancora un tabù. L’Associazione Luca Coscioni è accanto alle migliaia di coppie che non riescono ad avere figli, quindi non morte ma vita, e vita dignitosa.

E ora - qualcuno si chiederà - dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che cosa dovrebbe accadere? In un Paese dove la politica lavora davvero, ci si aspetterebbe una legge e ci si aspetterebbe coraggio. Il coraggio che è mancato, e manca ancora, nel votare lo ius soli/ius culturae, che è mancato nel varare i decreti attuativi che avrebbero dato concretezza alla riforma delle carceri, che è mancato sulle adozioni per coppie gay. Che manca ogni qual volta ci sono decisioni che si possono posticipare con la scusa che non si tratta di pane, lavoro e tasse.

Sì, perché spero che una cosa sia chiara a voi che state leggendo queste mie righe e a chi ci governa: i diritti civili non sono alternativi ai diritti sociali. I governi si devono occupare di tasse e di lavoro ma tasse e lavoro non possono essere un paravento per smettere di occuparsi del resto.