L’incertezza sui tempi della transizione green, il dilemma se investire in strade o ferrovie, le divisioni nella coalizione di governo. A Berlino i principali dossier sono in stallo e gli industriali si lamentano

Otto mesi. Tanto breve è stata la messa in opera del primo rigassificatore a Wilhelmshaven in Germania, inaugurato a dicembre. Un tempo così rapido che il cancelliere Olaf Scholz con orgoglio aveva parlato di «un nuovo ritmo Germania». Ma le cose stanno davvero così? È questo lo standard tedesco? «La costruzione veloce del terminal Gnl è stata un’eccezione, anche se importante», hanno scritto in una dichiarazione congiunta lo scorso 10 marzo la confindustria tedesca Bdi, l’associazione dei datori di lavoro Bda, la Confcommercio e la Confartigianato tedesca.

 

«La quotidianità è fatta di procedure complicate» e «per avere veramente successo, la politica dovrebbe rivedere radicalmente le condizioni di autorizzazione per tutti i settori economici a livello nazionale e comunitario», dicono le associazioni di categoria. Solo una chiara e forte direzione politica è stata in grado di abbattere il Moloch della burocrazia che terrorizza gli attori economici, in Germania come in Italia.

 

Ma quanto è facile da raggiungere questa volontà politica? La domanda è volutamente retorica. Nel caso dei rigassificatori del Baltico la posta in gioco era alta. La presenza di un nemico alle porte e lo spettro della dipendenza energetica dal gas russo hanno reso facile stringere le fila tra alleati di governo. Nella quotidianità è diverso. In almeno due macro ambiti il governo di Berlino è in stallo - mobilità e transizione energetica - bloccato dai veti incrociati di liberali e verdi. La coalizione del Progresso - come si autodefinisce - si è incagliata in settori chiave per l’economia europea e i nodi, continuamente rimandati, sono arrivati al pettine: anche la presentazione dei punti chiave della legge di bilancio 2024, prevista per il 15 marzo e spostata a data da destinarsi. Su questo, come sul resto, le posizioni tra i partiti di governo sono diverse. Verdi e Socialdemocratici sono favorevoli ad aumentare l’imposizione fiscale e/o allentare le regole sul freno al debito per sostenere gli investimenti. I Liberali non ne vogliono sentir parlare.

 

L’impasse politica della Germania si è riflessa nel veto tedesco a Bruxelles sui motori termici. Dopo aver approvato nei mesi precedenti il testo sullo stop alla vendita di auto a combustione a partire dal 2035, la Germania, spinta dal ministro liberale dei Trasporti Volker Wissing, ha fatto dietro front. A Berlino si vuole la garanzia che dopo il 2035 possano circolare anche le auto a biocarburante. Il leader dei Liberali, il ministro delle Finanze Christian Lindner, del resto, la scorsa estate era stato al centro di una polemica proprio su questo. Secondo le indiscrezioni emerse, il numero uno di Porsche Oliver Blume si sarebbe attribuito il merito di aver fatto inserire nel contratto di coalizione - dove si concordava lo stop dei motori termici dal 2035 - una clausola di “salvataggio” che prevedeva l’eccezione per le auto a biocombustibile, nota inserita proprio da Lindner. Non è una notizia che i Liberali, titolari di Finanze e Trasporti, rappresentino gli interessi del settore dell’auto in Germania, ma certo il dettaglio aveva suscitato più di un sopracciglio alzato. Nell’automotive tedesca, tuttavia, non c’è una posizione di univoca resistenza allo stop del 2035. Al contrario, il Ceo di Audi Markus Duesmann, su Spiegel, ha messo in guardia da una marcia indietro sui motori termici. «Nel dibattito politico vediamo il rischio di rimettere in discussione la decisione netta sull’uscita dal motore a combustione nel 2035», e «questo comporta il rischio di un gioco al rialzo, fatale per l’industria». Alle aziende servono tempi certi e prevedibili e Audi, come altre aziende del settore, avevano da tempo adottato piani industriali in base alle scelte politiche avallate da Verdi e Fdp.

 

L’impasse politica tra i due partiti sta bloccando anche l’avvio di macro interventi pubblici. Posta la decennale mancanza di investimenti nelle infrastrutture, a chi dare la priorità tra autostrade e ferrovie? «I tedeschi si aspettano giustamente che le nostre strade siano in buone condizioni», ha detto il ministro dei Trasporti. E per dare sostegno alla sua tesi ai primi di marzo è stato pubblicato uno studio dove si prevede che entro il 2051 il traffico delle merci su strada raddoppierà, mentre quello su ferrovia crescerà solo di un terzo. Conclusione: «anche se non a tutti piace: sulle strade tedesche ci sarà più traffico e noi dobbiamo affrontarlo», ha detto il ministro liberale. «Le previsioni non sono fatti», e «più autostrade vuol dire meno nuove tratte ferroviarie», gli ha risposto il presidente dell’associazione del trasporto pubblico, Martin Burkert. Basta uno sguardo ai costi per capirlo. In un documento interno al governo, si fa riferimento a spese di costruzione da capogiro: quasi 400.000 euro a chilometro per le autostrade, su una rete autostradale di 13.000 km. Ma anche le ferrovie necessitano di investimenti e nessuno ha dubbi in proposito. La Germania, assieme all’Italia, è agli ultimi posti in Europa per spesa pro-capite nella rete ferroviaria. Nel 2021 era al nono posto e l’Italia al decimo, rispettivamente con una spesa di 124 e 103 euro a persona. Quindi a chi dare la priorità?

 

Un altro ambito di discordia riguarda l’efficientamento energetico degli immobili. In una bozza di legge del ministero dell’Economia guidato dal verde Robert Habeck nei palazzi di nuova costruzione dal 2024 il 65% del riscaldamento dovrà provenire da fonti rinnovabili. Cioè pompe di calore, gas verde, biomasse. Il ministro delle Finanze Lindner ha replicato che le «idee attuali per riscaldare in modo sostenibile non sono realistiche» e che una «svolta climatica non si realizza con uno schiocco di dita del governo». Anche su questo, lo stallo è una certezza.