Il caso dei nuovi carri armati che non funzionano è stato una figuraccia mondiale. Ma è solo l’ultimo dei fallimenti

Mancano pochi giorni alla fine dell’anno. Solo due settimane al passaggio di consegne dalla Francia alla Germania nel comando della Task force congiunta della Nato (Vjtf), l’unità di intervento rapido creata al vertice Nato del 2014 in Galles in risposta all’occupazione russa della Crimea. Il 18 dicembre scorso i vertici dell’esercito e il ministero della Difesa a Berlino hanno ricevuto una lettera dai contenuti esplosivi a firma del generale della decima divisione corazzata Ruprecht von Butler. Nel corso delle esercitazioni di Münster con i panzer Puma, i 18 mezzi corazzati da combattimento per la fanteria hanno raggiunto un’operatività pari a zero, un «fallimento totale», riferisce il generale di divisione. «La capacità operativa dei veicoli è una lotteria, mi spiace doverlo dire così duramente», conclude il generale, consapevole che i mezzi corazzati sarebbero dovuti entrare in azione nella missione Nato Vjtf di lì a poco.

 

La notizia della miseria in cui versa l’esercito tedesco rischia di valicare le frontiere e diventare un ennesimo caso internazionale e tutto questo a 10 mesi dalla Zeitenwende, la «svolta epocale» che destinava 100 miliardi alla Difesa annunciata dal cancelliere Olaf Scholz. La titolare del dicastero Christine Lambrecht corre ai ripari, decide di sospendere l’entrata in azione dei panzer Puma nella missione Nato e di rimettere in funzione i «vecchi ma buoni» Marder, i cingolati in dotazione all’esercito tedesco dal 1970. La vicenda viene sintetizzata dalla stampa tedesca come «il fallimento totale dei Puma», il veicolo frutto della partecipazione congiunta di due grandi marchi dell’industria della difesa tedesca, Rheinmetall Landsysteme e Krauss-Maffei-Wegmann (Kmw). Il ministero sospende anche l’acquisto di un altro lotto dei cingolati mentre l’amministratore di Rheinmetall, Armin Papperger, liquida la vicenda come «una tempesta in un bicchier d’acqua» e in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine am Sonntag parla di «lievi difetti» che si possono sistemare in due-tre settimane.

 

La vicenda getta luce su una questione aperta. Cosa è lecito aspettarsi dalla Bundeswehr nel 2023? Qual è il livello delle sue prestazioni? Ha ancora senso parlare di Bundeswehr avendo in mente la Wehrmacht e la sua potenza di fuoco? Sono queste le domande da cui partire per ragionare sul ruolo della Germania nella difesa europea, sul suo coinvolgimento a sostegno dell’Ucraina e sul contributo nella Nato. In sintesi, per parlare del suo ruolo di potenza o di impotenza militare nel cuore del continente.

 

La storia dei Puma non è che l’ultimo episodio di una lunga serie di fallimenti della Difesa tedesca. Il penultimo ha riguardato il caso della dotazione insufficiente di munizioni. A fine novembre la Bundeswehrverband, l’associazione di categoria dei militari, ha annunciato che le Forze armate avrebbero avuto bisogno di munizioni per l’equivalente di 20 miliardi e in fretta. In caso contrario, le munizioni sarebbero state sufficienti a coprire appena tre giorni di combattimento e non i trenta previsti dagli accordi Nato.

 

La richiesta ha un ordine di grandezza che è tutt’altro rispetto a quanto previsto dal bilancio dello Stato negli ultimi anni. Nel 2015 per le munizioni erano stati previsti 296 milioni, saliti progressivamente a 700 milioni nel 2021 e a 1,125 miliardi nel 2023. «Il tema della carenza è noto da anni», ha detto il presidente dell’associazione dei militari André Wuestner, «e adesso bisogna finalmente far partire gli ordini», che in ogni caso non saranno evasi prima di uno-due anni. Manca ogni tipo di munizioni per qualsiasi tipo di sistema di difesa, ha specificato il portavoce del governo Steffen Hebestreit. Per questa ragione si è tenuto in cancelleria un vertice “informativo” tra il cancelliere Scholz e gli esponenti dell’industria delle armi. Ma l’ordine di grandezza dei 20 miliardi resta, segno inequivocabile di una valutazione poco azzeccata nel corso del tempo.

 

«Per anni le nostre truppe sono state trascurate e mandate in rovina e questo ha lasciato tracce visibili», si difende la ministra della Difesa Lambrecht, ormai bersaglio di un quotidiano tiro al piccione dopo 13 mesi in carica. Le radici della questione affondano in effetti nella riunificazione della Germania, che prevedeva tra le sue precondizioni la conferma di un profilo defilato nel campo militare. A partire dal 1990, quando il bilancio della Difesa superava il 2,4 per cento sul Pil, la curva delle spese è andata progressivamente a scendere fino a toccare il minimo nel 2014.

 

«Se dal 1990 al 2014 il bilancio della Bundeswehr è andato progressivamente a ridursi, è naturale che oggi sia più facile vedere rompersi qualcosa, mentre ricostruire è più difficile», ha detto la presidente della Commissione Difesa Marie-Agnes Strack-Zimmermann, in un colloquio con la stampa estera a Berlino. Da nove anni a questa parte, però, il bilancio della Difesa tedesca è risalito e quasi raddoppiato, passando dai 32,44 miliardi del 2014 ai 50,2 del 2022, se si esclude il «bilancio speciale» da 100 miliardi annunciato dopo l’aggressione in Ucraina. Da parte degli osservatori - continua Strack-Zimmermann, esponente liberale della coalizione di governo tedesca - «c’è eccessiva impazienza» perché si pensa che con 100 miliardi si possa risolvere tutto, ma «con 100 miliardi non si va semplicemente al supermercato a fare acquisti di armi».

 

Eppure, nonostante il lento e progressivo crescere del bilancio della Difesa l’equipaggiamento e le dotazioni per i 260 mila militari delle forze armate tedesche negli ultimi quattro anni hanno fatto passi avanti minimi, stando ai report annuali degli incaricati del Parlamento per le Forze armate succedutisi negli ultimi anni, da Hans-Peter Bartels a Eva Hoegl. E questo dato inizia a essere oggetto di confronti. «In termini di tecnologia radio i soldati tedeschi sono molto indietro rispetto ai contingenti Nato degli Stati baltici», commenta Peter Carstens, esperto di politica militare della Frankfurter Allgemeine Zeitung.

 

La ministra Lambrecht al Bundestag ha confermato l’impegno tedesco di voler raggiungere l’obiettivo del 2 per cento sul Pil alla Difesa, come previsto dagli accordi Nato del 2014, ma non più entro l’anno come annunciato il 27 febbraio scorso da Scholz bensì nei prossimi 5 anni. Una decisione che rimane nel solco delle scelte dell’ex cancelliera Angela Merkel, che ha sempre detto di volersi progressivamente avvicinare a quella soglia, senza annunciare svolte epocali che non avrebbe potuto mantenere.

 

Sul contributo tedesco alla Nato, anche da parte degli Stati Uniti circolano dubbi e perplessità. Secondo un generale Usa di stanza in Europa, «il dibattito senza fine sulla ricostruzione dell’esercito tedesco e il suo deficit di cultura strategica» diminuiscono l’utilità della Germania come alleato della Nato, anche se rimane comunque fondamentale dal punto di vista logistico per le sue basi. Il sostegno formale alla Germania invece non è mai mancato. Sul caso dei Puma e del comando tedesco alla guida della missione Nato dal primo gennaio il segretario dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg si è detto «assolutamente ottimista che la Germania sarà un eccellente Paese-guida del Vjtf», la Very High Readiness Joint Task Force che vedrà impegnati 12 mila soldati, di cui circa 8.000 tedeschi, la maggior parte dei quali provenienti dalla 37^ brigata di fanteria meccanizzata “Sassonia”.

 

Berlino inoltre ha mobilitato le sue forze anche nell’ambito del rafforzamento del fianco orientale della Nato in vista di una possibile minaccia di aggressione russa nel Baltico. Da settembre circa 5.600 soldati tedeschi della brigata Pomerania anteriore 41 sono dispiegati nella base lituana di Rukla nell’operazione Nato di attività rafforzata di vigilanza Eva (Enhanced vigilance activity).

 

Infine c’è l’impegno militare tedesco in Ucraina. È ancora lecito parlare di partner riluttante nel sostenere la causa contro l’aggressione russa? Sempre meno. È vero che il governo di Berlino fa resistenza alla consegna di alcune categorie di armi, come i cingolati Marder o i Leopard 2, richiesti esplicitamente da Kiev. Ma è altrettanto vero che la lista di dispositivi militari inviati e quelli in corso di autorizzazione è lunga e dettagliata, è pubblica e viene aggiornata settimanalmente. Sul sito del governo si può anche leggere che dall’inizio del 2022 Berlino ha autorizzato la fornitura di armi in Ucraina per oltre 2,25 miliardi di euro. La questione su quale sistema di difesa sia opportuno inviare rientra invece nell’ambito di cosa è giusto fare per evitare una escalation del conflitto, un dibattito interno al governo tedesco ma che riflette discussioni analoghe in tutti i Paesi europei.

 

In sintesi, l’esercito tedesco più che riluttante è sguarnito e non solo per motivi storici. Le ragioni sono le stesse che hanno portato il precedente governo a dipendere dalle risorse energetiche della Russia. Dopo la riunificazione l’opzione di una guerra alle porte di casa era uscita dai radar.