Il governo afghano formalmente reagisce ma la componente jihadista è da tempo una spina nel fianco per chi ha stretto gli accordi di Doha e incassato la smobilitazione americana dal Paese. Il sospetto di talpe che abbiano agevolato il lavoro dei droni che hanno eliminato Ayman al-Zawahiri

Ayman al-Zawahiri, il medico egiziano a capo dell’organizzazione terroristica al-Qaeda, è stato ucciso domenica 31 luglio, intorno alle 4 del mattino ora italiana, da un attacco aereo della Cia: due missili Hellfire sparati da un drone sul balcone di un edificio di Shirpur, quartiere residenziale nel cuore di Kabul, la capitale dell’Afghanistan controllato dai Talebani.

«Giustizia è fatta». Con le stesse parole usate nel maggio 2011 dal presidente Usa Barack Obama per celebrare l’uccisione di Osama bin Laden, ieri Joe Biden ha rivendicato quella del successore dello sceicco saudita: “sabato, dietro mio ordine, gli Stati Uniti hanno condotto con successo un attacco aereo a Kabul, in Afghanistan, che ha ucciso l’emiro di al-Qaeda: Ayman al-Zawahiri”.

Alla guida di al-Qaeda dal maggio 2011, quando Bin Laden è stato ucciso da un raid dei Navy Seals nel suo compound ad Abbottabad, in Pakistan, in una cittadina simbolo dell’establishment militare, al-Zawahiri ha alle spalle una lunga militanza nell’islamismo radicale e poi jihadista. Nato nel 1951 al Cairo da una famiglia colta e ricca, la sua “carriera” inizia quando aveva soltanto 15 anni.

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È il 1966: Sayyid Qutb – ideologo e pedagogista autore di testi cruciali per l’islamismo radicale e amico intimo di uno zio materno di Ayman – viene impiccato. Ayman al-Zawahiri dà vita a una cellula clandestina per rovesciare il governo egiziano. Sogna di realizzare quell’“avanguardia dei pionieri” descritta nei testi rivoluzionari di Qutb. La stessa idea, dopo molti anni di battaglie e di sermoni, lo porterà a Peshawar, in Pakistan, dove arriva come medico e dove negli anni Novanta consolida il rapporto con il saudita Osama bin Laden, promotore della guerriglia anti-sovietica e poi fondatore di al-Qaeda. Sarà a lui che Bin Laden, con la sua morte, lascia in eredità un’organizzazione che molti, negli anni successivi, avrebbero dato per spacciata. E che invece, proprio grazie ad al-Zawahiri, è riuscita a sopravvivere fino a oggi.

Sul breve termine, la sua uccisione è un successo per il presidente Biden. Che ieri ha rivendicato la capacità degli Usa “di difendere gli americani da chi cerca di danneggiarli”. Per i terroristi, ha dichiarato enfaticamente Biden, non c’è scampo: “non importa quanto ci vuole, non importa dove provate a nascondervi, vi troveremo”.

L’operazione della Cia rafforza in effetti la pretesa dell’amministrazione Biden di poter condurre operazioni di contro-terrorismo senza una presenza sul campo. E per il presidente è una piccola rivincita personale, rispetto alla debacle dell’agosto 2021, quando le ultime fasi del ritiro dall’Afghanistan, con i Talebani già in controllo di Kabul e dell’intero Paese, inficiarono le sue previsioni di stabilità e la sua immagine di comandante in capo delle forze armate degli Usa. Rivincita parziale, perché i Repubblicani già lo accusano: il nostro ritiro ha rafforzato al-Qaeda in Afghanistan, sostengono.

Al-Zawahiri è stato trovato, ed eliminato, in quartiere centrale di Kabul, Shirpur, dove dallo scorso agosto vivono molti dei leader dei Talebani. A ridosso del quartiere diplomatico di Wazir Akhbar Khan, per gli afghani che vivono a Kabul Shirpur è il simbolo di molti dei mali che hanno portato al collasso della Repubblica islamica: l’avidità delle classi dirigenti e dei politici, la speculazione edilizia, l’atteggiamento predatorio e cleptocratico delle elite al potere. Un quartiere fatto, almeno per metà, di grandi edifici a più piani, ville di ricchezza pacchiana ed esibita, in passato erano appannaggio dei membri più alti del ministero della Difesa e della politica afghana e che poi i Talebani hanno occupato.

Secondo alcune ricostruzioni, l’edificio in cui viveva al-Zawahiri – a lungo vissuto in clandestinità nel confinante Pakistan e poi nelle aree di confine tra i due Paesi – era controllato dagli Haqqani, una delle anime del movimento dei Talebani. E quella che tradizionalmente più e meglio ha coltivato i rapporti con i jihadisti dalla vocazione globale, come al-Qaeda. Una strategia del fondatore del gruppo, Jalaluddin, poi fatta propria anche dal successore, il figlio Sirajuddin, che è anche il ministro degli Interni dell’Emirato islamico e che, secondo alcune fonti, avrebbe lasciato Kabul, dopo l’attacco aereo.

La presenza del numero uno di al-Qaeda a Kabul, in pieno centro, solleva molti interrogativi sul rapporto tra i Talebani e al-Qaeda. Già nelle settimane scorse, gli analisti dell’Onu sottolineavano come la maggiore libertà di comunicazione da parte di al-Zawahiri coincidesse con il ritorno al potere degli eredi di mullah Omar. Che ieri hanno condannato l’operazione militare degli Stati Uniti.

“L’Emirato islamico d’Afghanistan condanna fortemente questo attacco e lo denuncia come una chiara violazione dei principi internazionali e dell’accordo di Doha. Tali azioni sono una ripetizione delle esperienze fallimentari degli scorsi anni e sono contro gli interessi degli Stati Uniti, dell’Afghanistan e della regione. La ripetizione di tali azioni danneggerà le esistenti opportunità”. Così il comunicato reso pubblico da Zabihullah Mujahid, portavoce dell’Emirato e viceministro della Cultura.

Per i Talebani, l’attacco aereo avrebbe violato l’accordo di Doha, il patto fortemente voluto dal presidente Donald Trump e firmato nella capitale del Qatar nel febbraio 2020. Presentato come un accordo di pace, quel patto serviva a garantire il ritiro delle truppe americane in sicurezza in cambio dell’impegno dei Talebani nel controterrorismo. Oltre che della disponibilità generica a sedersi al tavolo negoziale con altri politici afghani.

Oggi i Talebani accusano dunque Washington di aver violato l’accordo di Doha, violando la sovranità territoriale afghana. Washington accusa i Talebani di aver violato l’accordo di Doha, dando ospitalità al leader di al-Qaeda. Ma i toni formali e pubblici potrebbero nascondere una diversa realtà. Il movimento dei Talebani è un movimento policentrico. Il rapporto con al-Qaeda è sempre stato vissuto con fastidio da una componente dei Talebani. Tanto più ora che i Talebani sono al governo e che hanno bisogno di rafforzare i rapporti diplomatici, per uscire dall’isolamento in cui si sono ficcati con la conquista militare del potere.

Per una componente dei Talebani, aiutare segretamente gli Stati Uniti a eliminare al-Zawahiri avrebbe un doppio vantaggio: indebolire la componente pro-qaedista e accreditarsi agli occhi di Washington e della comunità euro-atlantica. Una strategia che comporta però il rischio di alimentare le divisioni all’interno dei Talebani proprio alla vigilia dei festeggiamenti per il primo anno dalla loro ri-conquista di Kabul.