L'attacco jihadista all'hotel di Bamako è la dimostrazione di un avvicinamento tra ciò che resta di al Qaeda e il sedicente califfo al-Baghdadi. Obiettivo: colpire la Francia. Ma anche intimorire gli alleati ai quali ha chiesto aiuto

L'attacco all'albergo di Bamako in Mali, di cui si devono ancora definire i contorni, ci ricorda però che, così come le democrazie si organizzano per il mutuo soccorso davanti all'aggressione dell'Isis, esiste una multinazionale del terrore che sembra agire in cooperazione.

Va ancora provato, ma certo è forte la suggestione che possa essersi trattato di una risposta alla volontà espressa da Parigi di essere sostituita o affiancata da militari di altri Paesi in Mali (e Centrafricana e Libano) per poter concentrare gli sforzi sulla Siria, dove sono stati concepiti gli attacchi del 13 novembre nella ville Lumiere.

La probabile firma del gruppo jihadista al-Mourabitoun, vicino ad al Qaeda, sarebbe, in questo quadro, la dimostrazione di un avvicinamento di ciò che resta del network fondamentalista che fu di Osama bin Laden con il sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi. E del resto, al netto delle invidie personali, l'obiettivo di al Qaeda e dello Stato Islamico è lo stesso: la nascita del califfato universale, lo Stato dove riunire tutti i credenti nell'Islam.

Raqqa e Bamako sono i luoghi delle due guerre di Hollande (la campagna di Libia fu avviata da Sarkozy). I terroristi dell'hotel Radisson volevano prendere ostaggi. Sapevano con certezza di trovare francesi perché il Mali è piena “Francafrique”, quell'area di interessi mai venuti meno anche dopo la decolonizzazione e riaffermati con l'offensiva per strappare il Paese ai fanatici che lo avevano occupato a metà nel 2013.

Dunque, oltre il fragile governo locale, si vede chiaramente l'obiettivo reale dell'azione: ancora una volta una Francia già scossa e ora ulteriormente destabilizzata. Non c'è luogo sicuro per i suoi citoyen, né in patria né altrove. E sarà più arduo adesso per il governo chiedere aiuto a quegli alleati che già si erano mostrati riluttanti a sostituire, del tutto o parzialmente, l'Armée in Africa (il premier Matteo Renzi si è distinto fra gli scettici).

Impedire al nemico francese di potersi concentrare su un fronte solo è una strategia che il califfo vorrà perseguire in Mali e altrove prima che la guerra, annunciata dal presidente Hollande come massiccia, possa svilupparsi appieno una volta risolti i problemi della logistica.

C'è un'altra lezione che arriva da Bamako e che deve indurre a riflettere tutti coloro che si impegneranno nella campagna anti-Is. Anche quando si vince una guerra, come quella del Mali, esiste la coda lunga di un dopoguerra da gestire. Se possibile avendo le idee chiare su partner,  interlocutori, ricostruzione, stabilità politica. Per questo diventa essenziale evitare una replica dell'Iraq 2003 di George W. Bush di cui ancora portiamo le conseguenze.