Minacce neonazi, hacker russi, sondaggi ballerini, gaffe e pronostici da fantapolitica. La campagna del dopo Merkel è una giostra impazzita

Sono rimasti a bocca aperta, i Verdi di Zwickau, quando hanno visto i manifesti che degli sconosciuti avevano appeso nottetempo di fronte al loro quartier generale: «Impiccate i verdi», c’era scritto, a caratteri cubitali. E sotto un’altra scritta in una grafia che ricordava gli anni Trenta: «Votate tedesco». Autori dell’iniziativa, i militanti del piccolo partito di estrema destra Der III Weg (la terza via), considerato ai limiti del neonazismo. Altri manifesti identici sono poi apparsi a Plauen, Auerbach, Werdau e Lipsia e persino a Monaco di Baviera, dove la polizia ha provveduto immediatamente a staccarli. Le autorità della Sassonia, invece, in un primo momento sono rimaste interdette: come riferito dai giornali, un portavoce della procura di Zwickau spiegava imbarazzato che dato che «non è chiaro chi sia il destinatario del messaggio» non sarebbe evidente «una concreta situazione di minaccia». Dopo la reazione indignata di media e di gran parte del mondo politico, le autorità si sono corrette: quei manifesti indegni vanno eliminati.


Che succede nella Germania di questo sfibrante e lunghissimo addio merkeliano? La notizia dei poster che inneggiano all’impiccagione arriva nel momento in cui le prospettive delle elezioni tedesche, le più sorprendenti dal dopoguerra ad oggi, sicuramente quelle dall’esito più incerto, sembrano essersi del tutto capovolte: l’unione formata da cristiano-democratici e cristiano-sociali bavaresi che da sedici anni governa il Paese nel segno di Angela Merkel è precipitata, rispetto all’inizio dell’anno, di sedici punti al 20 per cento dei consensi, laddove i socialdemocratici, che erano considerati ormai solo un’ombra dell’orgoglioso partito di massa che fu di Willy Brandt e di Helmut Schmidt, si ritrovano stupefatti ad essere le superstar della campagna elettorale, recuperando in modo spettacolare dieci punti in meno di tre settimane. Questo mentre i Verdi, già perduto lo status appena conquistato di deus ex machina degli equilibri politici tedeschi, sembrano ormai rassegnati al terzo posto. «Nessun dubbio, questa è la più strana campagna elettorale di tutti i tempi», scrive Bernd Ulrich, una delle firme più prestigiose della Zeit.

 

«Lo si vede anche dal fatto che i sondaggi sono da mesi un ottovolante. Se non fossimo ben informati, dovremmo chiederci, a fronte dei picchi e degli abissi che si sono seguiti ad un ritmo mozzafiato: forse i tedeschi sono impazziti?».

 


I paradossi, in effetti, non mancano: Armin Laschet, il candidato dell’unione Cdu/Csu, che in teoria avrebbe potuto intestarsi il bonus Merkel (la popolarità della cancelliera uscente è ancora altissima), sembra essere il protagonista di quello che lo Spiegel (in un immenso servizio intitolato “Uuuups!”, a significare il fragore della sua caduta) chiama «un dramma politico», che consiste nell’erosione a tempo record di «un partito di massa rimpicciolito al 20 per cento». In un capovolgimento dei ruoli, è l’avversario, il socialdemocratico Scholz, a intestarsi l’eredità dell’ex ragazza dell’est: con i ritratti fotografici in cui mima la caratteristica posa delle mani a rombo e con lo slogan «sa fare la cancelliera», il ministro alle Finanze in pratica afferma «Merkel c’est moi». Nondimeno, è sempre lo Spiegel a chiederselo, la domanda è come Scholz, «considerato finora il prototipo della noia in politica, sia riuscito a diventare una sorta di star in confronto a Laschet».


L’Europa, in tutto questo, assiste stupita e preoccupata: che ne sarà della solidità della locomotiva tedesca dopo l’addio della cancelliera? Per quanto riguarda Laschet, la gaffe della risata sguaiata sui luoghi delle catastrofiche inondazioni della Renania (è da lì che che il calo di consensi è diventato precipizio) è diventata l’emblema di quello che i media tedeschi non esitano a chiamare «il disastro Cdu», partito che ormai sembra «privo di idee e di soluzioni», come dice ancora lo Spiegel: forse anche perché ormai «svuotato» della sua identità, come vanno ripetendo i commentatori della corrente conservatrice del partito, dopo tanti anni di post-ideologia merkeliana, fatta di fughe in avanti e svolte improvvise che hanno così spesso spiazzato il corpaccione dell’unione Cdu/Csu, dall’uscita dal nucleare dopo Fukushima, ai diritti civili passando, ovviamente, dalla «politica delle porte aperte» quando oltre un milione di migranti varcò i confini della Germania, nel 2015.


Oggi lo spiazzamento, qualcuno dice il panico, si palesa clamorosamente in questa campagna elettorale da maionese impazzita: come quando Paul Ziemiak, il segretario generale della Cdu, arriva ad evocare una mezza apocalisse, affermando che l’arrivo di Scholz alla cancelleria finirebbe «per spaccare l’Unione europea»: cosa bizzarra da dire dell’attuale ministro alle Finanze nonché vice cancelliere nel Merkel IV. Laschet, intanto, si è fatto notare per il suo silenzio rumorosissimo, quando un noto neonazista ha deciso di sostenere la candidatura, già di per sé controversa, di Hans-Georg Maassen, l’ex capo dei servizi segreti interni tedeschi, il quale tre anni fa perse il posto proprio perché sospettato di eccessive simpatie verso il mondo dell’estrema destra. Come se non bastasse, Laschet, sempre più disperato, va all’attacco contro l’avversario Scholz affermando al congresso dei fratelli bavaresi della Csu che «l’Spd nei momenti decisivi è sempre stata dalla parte della Storia»: con l’effetto che i social media vengono invasi da tweet socialdemocratici con il “the best of” dell’Spd nel Novecento, al primo posto le immagini di Willy Brandt che si inginocchia davanti al memoriale del ghetto di Varsavia, momento culminante della Ostpolitik. «Indecenti e indegne», definisce le parole del capo Cdu la vicepresidente del Parlamento europeo, Katarina Barley. Commenta un deputato Spd: «Pessima idea quella di mettersi sinanche contro Brandt».


Sì, un’atmosfera strana aleggia sulla Germania a pochi giorni dal voto. Dalla procura generale federale di Karlsruhe arriva la notizia di un’offensiva in grande stile lanciata da hacker russi con l’obiettivo di destabilizzare il voto tedesco: cyber-attacchi messi in atto da un gruppo chiamato Ghostwriter per violare gli account email di parlamentari del Bundestag e di deputati dei Laender (soprattutto cristiano-democratici e socialdemocratici). I burattinai dell’offensiva, questa la convinzione degli inquirenti, sarebbero i servizi segreti militari russi del Gru, tanto che il governo tedesco parla di «un pericolo per la sicurezza della Repubblica federale e per il processo di formazione della volontà democratica tedesca». E ancora: il network dei diritti civili Avaaz ha elaborato un dossier sulle fake news che si sono riversate in questi mesi sulla politica tedesca, dal quale emerge che «l’obiettivo principale» di quella che viene definita una «campagna di disinformazione di grandi dimensioni» è la candidata cancelliera dei Verdi, Annalena Baerbock, seguita dalla stessa Angela Merkel e poi da Laschet, ennesimo terzo.


In tutta questa confusione, al Paese che vede nella stabilità il massimo totem della coesione civile e politica, oggi sembra mancare il terreno sotto i piedi, con l’addio a molte antiche certezze: «Non è automatico che la Cdu/Csu conquisti la cancelleria», è la voce dal sen sfuggita della stessa Angela Merkel, per lo sgomento dei suoi compagni di partito. E così, alla luce del panico da imminente perdita del potere (scenario creduto impensabile fino a poche settimane fa), in diversi palazzi della politica di Berlino si fanno strada gli scenari più sorprendenti. Un Sudoku da capogiro, con trame quasi all’italiana, volte ad intorpidire il frenetico entusiasmo dei socialdemocratici, ad oggi considerati i vincitori annunciati del 26 settembre. Ed ecco il più spettacolare di questi scenari: che saranno gli sconfitti a formare il governo, in barba all’Spd di Scholz. Un coup de théâtre in tre atti: primo, i negoziati post-voto si rileveranno intricatissimi, dato che, se le urne dovessero confermare i sondaggi, i partiti presenteranno risultati tutto sommato abbastanza vicini tra loro, rendendo possibili sulla carta almeno cinque diverse coalizioni di governo. Secondo, i veti incrociati tra Spd, Linke, liberali e Verdi porteranno rapidamente all’affossamento sia della cosiddetta alleanza semaforo (Spd-Verdi-Fdp, la più gettonata) sia, a maggior ragione, di una maggioranza rosso-rosso-verde (Spd-Linke-Verdi, eletta a spauracchio universale da Laschet & co). Terzo atto: a quel punto i liberali di Christian Lindner provocano quello che alle nostre latitudini chiameremmo il ribaltone, facendo pesare, forti di un consenso elettorale tra il 10 e il 13 per cento, il proprio ruolo di ago della bilancia e puntando tutto su una coalizione Giamaica (Cdu/Csu, più Verdi e Fdp, alleanza da loro stessi affossata quattro anni fa), con l’effetto di rimettere al centro dei giochi la Cdu/Csu nonostante la clamorosa sconfitta alle urne. Addirittura, giurano molti commentatori con l’aria di chi la sa lunga, da questo gioco di scatole cinesi potrebbe uscire la più clamorosa delle sorprese: con un Armin Laschet battuto nelle urne, in una ipotetica costellazione Giamaica potrebbe approdare alla cancelleria un uomo politico che non si è neanche candidato, il governatore bavarese Markus Soeder. Fantapolitica, forse. Ma tra «impiccati» in salsa nazista, fake news, hacker russi e sondaggi ottovolante le sorprese sembrano non finire mai, in questo infinito crepuscolo merkeliano.