L’Spd è in vertiginosa rimonta secondo i sondaggi. Merito del vice di Angela, che da ministro delle finanze ha governato la crisi. E promette una nuova stabilità

Olaf Scholz in elegante bianco e nero sorride divertito verso la macchina fotografica - giacca stretta, camicia bianca e niente cravatta, come sempre – e tiene le mani in una delle pose più significative della politica tedesca: il triangolo rovesciato. Sì: la classica, iconica, posa di Angela Merkel. L’immagine che fa parte di una intervista «senza parole» del magazine della Sueddeutsche Zeitung al candidato cancelliere dei socialdemocratici, ha circolato vorticosamente sui social media in Germania, in un profluvio di interpretazioni: voleva semplicemente dire che sarà lui a prendere il posto della cancelliera? Oppure intendeva significare quanto gli mancherà l’ex «ragazza dell’est», la quale ha deciso di non candidarsi dopo ben 16 anni ininterrotti di governo?

A seconda dei punti di vista, i malevoli per un verso, i fan della continuità per un altro, prevale l’interpretazione per cui l’attuale vicecancelliere è il più solido garante della stabilità, che è da sempre l’assoluto totem della politica tedesca.

Stabilità che oggi pare come minimo evanescente, tanto da spiazzare germaniche previsioni, certezze, abitudini: mai si sono visti sondaggi tanto volatili, nella storia della Repubblica federale, mai si sono accavallati tanti colpi di scena in una campagna elettorale tedesca, con l’Europa a fare da spettatrice sempre più stupita. A sorpresa, nelle ultime settimane i rilevamenti fotografano una rimonta dei socialdemocratici di Scholz impensabile solo poche settimane fa, tanto da gettare nel panico gli inquilini della Konrad-Adenauer-Haus, il quartier generale della Cdu di Armin Laschet: ebbene sì, l’orgogliosa e ultracentenaria Spd, che da anni non si schiodava da un plateau di consensi intorno al 15-16 per cento, improvvisamente ha preso a superare l’unione formata da cristiano-democratici e cristiano-sociali bavaresi che guida tutti i governi tedeschi dal 2005 ad oggi. In alcuni sondaggi le due formazioni corrono appaiate, con risultati intorno al 22-23 per cento: per l’Spd, così afferma l’istituto demoscopico Forsa, sarebbe il miglior risultato dal 2006, per Cdu/Csu il peggiore da quando esistono i sondaggi.

Un quadro che rappresenta una mezza apocalisse per Cdu/Csu in caduta libera (ad inizio anno, sull’onda dell’apprezzamento dei tedeschi verso la gestione merkeliana della pandemia, aveva raggiunto il 36 per cento), ma anche un’opzione-trionfo per il partito che fu di Brandt e di Schmidt. Nonché, se confermato alle urne, il capovolgimento di quello che sembrava oramai il paradigma stilizzato della crisi-standard dei progressisti ai quattro angoli del pianeta. «L’Spd è ancora viva», concede meravigliato lo Spiegel.

Uno scenario considerato fantascientifico solo poco tempo fa, quando l’Spd era la Cenerentola della corsa al voto 2021, superata stabilmente anche dai Verdi, considerati più al passo dei tempi e guidati da una leader ben più giovane e fotogenica, Annalena Baerbock, intenta ad allargare la lotta per il clima ai «temi della libertà, della democrazia e della sostenibilità industriale», come la candidata alla cancelleria ama ripetere nelle interviste televisive, tanto da convincere persino alcune frange dell’élite economica tedesca. Cosa è successo?

Improvvisamente il «sobrio, efficace, pragmatico e serio» Scholz, per dirla con le parole del politologo Ulrich von Alemann, svetta sul podio delle preferenze dei tedeschi tra i tre candidati alla cancelleria: il 34 per cento degli interpellati di un sondaggio dell’istituto Insa punta sul candidato socialdemocratico. Di contro Laschet, passato di gaffe in gaffe e incapace di scrollarsi di dosso l’immagine polverosa di moderato distante anni luce da un Paese profondamente sempre più inquieto, viene superato finanche dalla verde Baerbock, alla quale tuttavia è mancato il colpo d’ala necessario per ribattere alle polemiche sui presunti plagi e le correzioni al suo curriculum vitae.

Così, i socialdemocratici continuano a ripeterti che loro l’avevano sempre detto che la svolta in loro favore era solo questione di tempo, sin da quando incontravano i sorrisi di sufficienza della prima fase della campagna elettorale, quando la candidatura di Scholz veniva accolta con malcelati risolini e quando il duello tra Cdu/Csu e Verdi si prendeva tutta la scena. «L’Spd riesce a monetizzare l’avvitamento su se stesso di Laschet e del mondo conservatore», ci assicura a microfoni spenti un parlamentare Spd al Bundestag. In altre parole: mentre lo scontento verso la performance di Laschet tocca i vertici della Cdu con deputati che arrivano ad evocare il bunker hitleriano di maggio ’45 per dire del clima che c’è nel partito, mentre gli analisti mettono in causa il cosiddetto «bonus Merkel» che viene meno via via che ci si avvicina all’apertura delle urne e mentre finanche Markus Soeder, capo dei cristiano-sociali bavaresi, ad evento elettorale quasi finito grida «non ho nessuna voglia di andare all’opposizione», l’inevitabile fuga di voti che ne scaturisce incontra la rassicurante figura di Olaf Scholz.

Il solido vicecancelliere sempre fedele a Frau Merkel, l’efficace ministro alle Finanze perfettamente a suo agio nei grandi vertici internazionali, l’uomo che ha assicurato ai tedeschi miliardi da capogiro quando la tempesta della pandemia batteva l’onda più alta, il socialdemocratico d’altri tempi che ha governato Amburgo come borgomastro dalla mano sicura ma che oggi riesce a far approvare all’esecutivo un nuovo piano per la lotta climatica, mettendosi in scena come l’uomo in grado di coniugare «senso di responsabilità» e impegno ambientale in barba ai Verdi.

Hai voglia a gridare al rischio di un pericoloso scivolamento della Germania a sinistra, come fa sgolandosi Laschet, il quale, tra un inciampo e l’altro, evoca lo spettro di un governo rosso-rosso-verde (Spd più Verdi e Linke) a cui credono in pochi. Di contro, senza battere ciglio, fino ad oggi la strategia del sessantatreenne Scholz è stata soprattutto quella di «non fare errori» (quelli dei suoi antagonisti), puntando tutto sulla sua solidità di esperto uomo di governo. In più, è stato in qualche modo capace di far dimenticare all’elettorato che la base del partito nella corsa alla sua leadership gli preferì la coppia massimalista formata da Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken (oggi opportunamente defilata). Infine, se prevale un voto «contro Laschet» questo favorisce la Spd piuttosto che i Verdi, per la semplice ragione che oggi è nel campo socialdemocratico che sembrano concentrarsi le maggiori possibilità di battere il candidato della Cdu/Csu.

Ovviamente il mese che ci separa dal voto è un’immensità in politica. Tanto che il guru dei sondaggisti tedeschi, il capo dell’istituto Forsa Manfred Guellner, non manca di allertare gli entusiasti socialdemocratici: «Molti voterebbero volentieri Scholz, ma all’ultimo tuffo finiranno per non farlo, perché non hanno gran stima della Spd, che gli rimane attaccata ai piedi». E qui pesa proprio l’esperienza nella Grosse Koalition dell’infinita traversata merkeliana: non c’è esponente socialdemocratico che non ammetta che i nipotini di Brandt hanno sempre avuto immense difficoltà ad intestarsene i meriti (quelli vanno tutti alla cancelliera), incassandone invece sistematicamente i demeriti.

Dunque l’appuntamento è con la grande partita che si aprirà dopo il 26 settembre: con la cabala dei numeri che rende possibili ben quattro diverse coalizioni, se dalle urne uscirà una Cdu/Csu debole, con la Spd e i Verdi a pochi punti di distanza, sarà molto forte, dopo sedici anni di merkelismo, la tentazione di formare un governo che escluda del tutto l’unione conservatrice, complice l’apporto dei liberali dell’Fdp. Quando glielo fai notare, ai socialdemocratici risorti sull’onda dell’improvvisa «onda Scholz», gli brillano gli occhi, mentre in casa Cdu/Csu si mettono le mani nei capelli. «La casa brucia!», titola terrorizzata la Bild di fronte allo scivolamento del blocco conservatore.

L’inaspettata rinascita di Scholz «ha tre motivi», scrive Ines Schwerdtner sul settimanale “Der Freitag” in un pezzo titolato “Il terzo che ride”: da una parte è una «forma di autosuggestione» che sta dando frutti, dall’altra il suo ruolo nella pandemia e la debolezza degli avversari. «Come ministro alle Finanze, con i pacchetti di salvataggio, è riuscito a modificare l’immagine di freddo tecnocrate a favore di quella dell’uomo capace di governare le crisi, idem dopo le inondazioni in Renania. Il messaggio che l’Spd intende trasmettere agli elettori: solo Scholz è il degno erede del merkelismo». Un paradosso? Forse no, in questi tempi di politica ibrida. O, se non altro, è quel che fa intendere lo stesso Olaf, con le mani giunte a triangolo rovesciato in onore di Angela Merkel, tutt’oggi la più amata dei politici tedeschi.