Non gli basterà presentarsi come il meno peggio. Ma dovranno affrontare le questioni economiche e sociali che non toccano solo i “barbari” 

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Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria, diceva un famoso Manifesto - e pare proprio che questo oggi si ripeta. Quale fantasia avrebbe immaginato un assalto al Campidoglio dell’Impero? O gli equilibri economici, finanziari, politici planetari stravolti da un virus? Ma, prima ancora, non dovremmo ricordare l’11 settembre, le guerre e le rivoluzioni conseguenti? Siamo una zattera nel mare in tempesta e di nocchieri neppure l’ombra? Nulla aiuta meno in frangenti simili delle consolanti retoriche ricucite sulle idee del secolo scorso.

«Arrivano i barbari» - questa la reazione del “benpensante” di fronte al macabro carnevale di Washington. Oppure eccolo a pensare a un intervallo di follia, da chiudere al più presto, nel destinato progresso della nostra “civiltà”. Ciò che ci appare alieno si deride, si piange, si detesta - tutto appunto fuorché cercare di conoscerlo. E conoscere un fenomeno non significa giustificarlo ma indagarne le cause, e magari proprio per combatterlo con efficacia. Un “manipolo di barbari” all’assalto? Pure, la loro lingua è ben comprensibile - è quella del razzismo e dell’omofobia ancora vivi e vegeti nel cuore dell’Impero - ma anche quella, ancora più diffusa, parte integrante della “religione americana”, della fede che i propri valori siano gerarchicamente i supremi e capaci di portare i popoli della terra in “unum ovile”. Barbari indigeni, dunque, allevati e bene armati in casa. E allevati anzitutto attraverso le “cure” con cui le nostre democrazie hanno affrontato le grandi crisi economico-sociali dell’ultimo ventennio. È questo che ha reso cattivo un popolo già formato da quei “valori”, che l’establishment democratica non ha mai saputo combattere alla radice, tantomeno estirpare. Nessun senso moralistico al termine. Quella parte del popolo americano - poiché, piaccia o no, tale è - si sente prigioniera, captiva, di una situazione che ha visto crollare il suo status sociale, prigioniera di un indebitamento che la stritola, e ora si trova sul fronte più esposto alle conseguenze della pandemia. Il popolo non è populista - populisti sono i politici che fanno leva sul risentimento, sulla paura, incitando all’odio per l’avversario politico e suscitando oggettivamente una violenza che poi non sanno in alcun modo governare.

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I populisti possono essere più o meno facilmente mandati a casa. Quando il popolo cui si appellavano tocca con mano che il loro cervello è più vuoto delle proprie tasche, finisce col licenziarli. Ma questo non risolve alcun problema. E i non-populisti vinceranno una elezione, mai la guerra, se ripeteranno semplicemente di essere il meno peggio, moderando il gioco delle promesse con linguaggi più politicamente corretti. La crisi sta già avendo ripercussioni straordinarie sugli assetti politici e istituzionali delle nostre democrazie, ben oltre ancora i suoi drammatici effetti sul piano economico e sociale. La sua “naturale” tendenza è all’ulteriore crescita di disuguaglianze e ingiustizie. Esiste la volontà di approntare politiche fiscali e dei redditi in grado di combatterla? La crisi modificherà drasticamente la gerarchia tra settori produttivi, determinando la relativa caduta di quelli a più forte intensità di lavoro. Quale politica dell’occupazione si può mettere in campo, quale strategia di investimenti pubblici? E da dove trarre le risorse necessarie? Sono risposte a queste domande quelle che, alla fine, anche i “barbari” esigono.

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E di pari passo vanno i problemi riguardanti gli assetti istituzionali. La perdita di rappresentatività delle nostre assemblee legislative è evidente. La loro “desacralizzazione”, salutata un tempo come benefico prodotto della secolarizzazione, sta trasformandosi in crisi di legittimità. È una deriva che ci si ostina a non voler considerare nel mentre la si percorre come ciechi guidati da altri ciechi. Gli Stati vedranno certamente crescere il peso dei propri interventi. Ma quale direzione questi prenderanno? Neutrale, “a pioggia”, non potranno esserlo comunque. Obbediranno alla logica dei grandi gruppi multinazionali che già vedono moltiplicare i propri profitti? Quei gruppi sulla cui bandiera sta scritto “ubi pecunia ibi patria”, motto, piaccia o no, esecrato dal “popolo sovrano”. Fino a qualche anno fa esistevano capitalisti che si proclamavano orgogliosi di avere “in patria” il centro delle proprie attività. Nessuna nostalgia per costoro? Bene - ma molto desiderio di una politica che sappia confrontarsi con le grandi potenze economico-finanziarie e ottenere anche da loro le risorse necessarie alla innovazione della propria base produttiva. Profonda nostalgia di una politica che comprenda quale sciagura per l’idea stessa di democrazia rappresenta il fatto che una grande impresa privata multinazionale possa ormai decidere come e quando un politico, chiunque egli sia, qualunque cosa dica, possa usare dei mezzi fondamentali con i quali è oggi costretto, gli piaccia o no, a svolgere il suo mestiere. Soltanto una autorità politica dovrebbe poterlo stabilire, in base a criteri sanciti dalla costituzione del suo Paese. Che su un principio di questa forza si possa procedere occasionalmente, in base a chi viene “sanzionato” dal tribunale delle multinazionali della comunicazione, la dice più lunga di mille analisi “scientifiche” sulla crisi delle nostre democrazie.

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Questa crisi viene inseguita, curata quando va bene a tastoni e a tamponi. Come nel caso della pandemia in atto manca qualsiasi capacità di prevenzione. Non c’era nessun piano, non solo da noi, per affrontare la sua minaccia, nonostante asiatiche, sars, ecc. E continua a non esserci, malgrado una peste suina faccia abbattere in Asia 400 milioni di capi e il “salto” all’uomo possa avvenire in ogni istante. Sappiamo perfettamente che gli scriteriati metodi di allevamento in molti Paesi, le coltivazioni intensive, i massicci disboscamenti con la trasformazione dell’habitat animale, sono la prima causa del pericolo crescente di pandemie. Ma i nostri democratici governi (come i loro concorrenti) pensano soltanto al vaccino (cui pensano peraltro gli scienziati). Così come ora a sostenere in qualche modo chi sta andando in malora per la crisi, mentre un piano di rilancio, un new deal economico, che solo creerebbe alla lunga le risorse necessarie per la stessa assistenza, non prende ancora forma. Veniamo sempre post festum, alla fine del giorno, e almanacchiamo su quanto durerà la notte, invece di cercare di evitarla.