Un commando armato ha fatto irruzione nella scuola all'alba. Esplosioni e scontro a fuoco con le forze di sicurezza. L'azione rivendicata da al-Shabaab. Un gruppo di studenti cristiani preso in ostaggio. Ecco perché l'Africa è diventata territorio di conquista per bande

Studenti. Cristiani. Rapiti. Un'operazione drammatica e spettacolare, buona per guadagnarsi le aperture dei notiziari di tutto il mondo. Succede nel nord-est del Kenya, nel college di Garissa, ad opera dei qaedisti di Al Shabaab. Era successo nell'aprile del 2014 a Chibok, in Nigeria, ad opera di Boko Haram. Cambia la firma, con Al Shabaab da sempre legata a Al Qaeda e Boko Haram che ora ha giurato fedeltà ai “rivali” dell'Is, lo Stato Islamico. Non cambia la natura jihadista dell'operazione: colpire gli infedeli e l'istruzione, così come fanno anche i talebani in Afghanistan.

Non si può certo dire che sorprenda, l'attacco in Kenya. Giusto una settimana fa il governo britannico aveva avvertito i propri connazionali di evitare i resort sulla costa keniota. E certo, anche se Garissa è a oltre 300 km dalla costa, questo attacco avrà dure conseguenze sul turismo del Paese, a pochi giorni dalle vacanze di Pasqua e con l'avvicinarsi di quelle estive (a luglio sarebbe prevista la visita di Obama: ci ripenserà?).

Al Shabaab, in arabo “Giovinezza”, è un gruppo jihadista che nel 2012 ha giurato fedeltà a Al Qaeda. Nato e sviluppatosi in Somalia dopo il 2006, comincia però a espandersi e a puntare il vicino Kenya nel febbraio 2010, quando dichiara il jihad contro Nairobi per punirla dell'aiuto militare fornito alla Somalia contro il terrorismo. Il Kenya però non si fa spaventare: prima i suoi elicotteri aiutano la Somalia a recuperare la città di Dhobley, poi, nell'ottobre del 2011, le sue truppe superano direttamente il confine.

Al Shabaab replica uccidendo 4 persone a Nairobi nel marzo 2012, e poi, soprattutto, compiendo la famosa strage del centro commerciale Westgate, sempre nella capitale keniota, il 21 settembre del 2013: 62 i morti e oltre 120 i feriti. A metà giugno del 2014 rivendica l'omicidio di altre 60 persone vicino Mpeketoni, sulla costa keniota (anche se la polizia non è sicura che dietro ci siano veramente i jihadisti), mentre a dicembre tocca a 36 lavoratori cristiani del nord del Paese.

Quello che appare evidente è che i movimenti jihadisti, ironicamente proprio nello spirito della globalizzazione, non riconoscono confini. Al Qaeda si muove da anni tra Afghanistan e Pakistan. Boko Haram tra Nigeria, Camerun, Chad e Niger. L'Is dalla Siria all'Iraq fino all'Egitto. E Al Shabaab tra Somalia, Kenya e anche Uganda, dove il 30 marzo hanno ucciso il procuratore capo che stava indagando su 13 jihadisti accusati di aver ucciso 76 persone nel 2010 a Kampala, mentre guardavano la finale dei Mondiali di calcio.

Non ha confini la “umma”, la comunità musulmana, e non può averne il jihad, tanto più che quei confini tra un Paese e l'altro sono stati perlopiù disegnati dagli occidentali. Ormai l'Africa è un territorio di conquista per bande jihadiste. A nord Al Qaeda nel Maghreb e lo Stato Islamico, come ci ha ricordato l'attacco al museo Bardo di Tunisi. A Occidente Boko Haram. A Oriente Al Shabaab, che oltre il Corno d'Africa, al di là del golfo di Aden, vede la guerra civile diffondersi in quello Yemen in cui è attiva Aqip, Al Qaeda nella Penisola arabica.

La natura regionale più che nazionale offe loro più di un vantaggio. Quando una guerra va male in un Paese, ad esempio, ci si può focalizzare su un altro. È quanto è successo più di una volta all'Is, che prima si è concentrato in Siria quando le tribù sunnite irachene hanno stretto alleanza con gli Usa, poi sono tornate ad attaccare l'Iraq lo scorso anno, e ora, dopo le sconfitte patite a opera dei curdi e dell'esercito iracheno anche per colpa dei bombardamenti occidentali, sembra stiano tornando ad avanzare in Siria, se è vero che stanno conquistando il campo profughi palestinese Yarmouk, a sud di Damasco.

Lo stesso si potrebbe dire di Al Shabaab, che in questi mesi ha dovuto soffrire ulteriori perdite in Somalia, dove, nonostante l'attacco all'hotel Maka Al-Mukarramah a Mogadiscio il 27 marzo, un drone americano ha ucciso il 12 marzo il leader Adan Gatar, tra i responsabili della strage al centro commerciale Westgate.

Al Shabaab prova a rialzare la testa, e la battaglia è aperta. Il governo keniota sta progettando un muro per chiudere la frontiera con la Somalia. Per quanto orribile l'idea sia, umanamente e esteticamente, in Israele ha effettivamente ridotto gli attentati. Ma non è l'unico modo con cui si sconfigge il terrorismo. Pochi giorni fa, sul “Guardian”, il giornalista keniota John Githongo scriveva che «la corruzione ha aperto le porte a Al Shabaab in Kenya», citando lo scandalo Anglo Leasing che ha coinvolto ministri e uomini d'affari, con al centro contratti per la sicurezza gonfiati e giustificati con la scusa della guerra al terrore, dopo che nel 1998 Al Qaeda aveva colpito l'ambasciata americana a Nairobi.

“Foreign Policy”, l'anno scorso, aveva invece fatto notare come le misure antiterrorismo del governo si traducessero spesso in omicidi da parte della polizia e nell'arresto arbitrario di cittadini di origine somala nelle strade di Nairobi. E un reportage della Bbc ha raccontato come la popolarità dei jihadisti sia in crescita tra i giovani disperati degli slum, che guardano con sospetto la polizia.

In un Paese in cui la corruzione e l'impunità dei potenti sono la norma, in cui i soldati rubano cellulari e telecamere nel centro commerciale Westgate subito dopo la fine dell'assedio, il muro di cui più si dovrebbe preoccupare il governo è quello che allontana ogni giorno di più i cittadini dal suo stesso Stato. È la migliore propaganda possibile per Al Shabaab.