Per il ditattore era «un figlio», ma poi divenne un nemico da uccidere. Così il generale finì due decenni in Virginia, a collaborare con i servizi segreti americani. E ora è l'anziano golpista con cui l'Egitto spera di sconfiggere l'Isis

C'è chi lo chiama “il nuovo Gheddafi”. Perché come il Colonnello è un militare che vuole prendersi la Libia con la forza. E perché del dittatore è stato amico e fedele servitore. Ma è molto più complessa la storia del generale Khalifa Haftar, il libico che è oggi in prima fila insieme all'Egitto nella lotta contro l'Isis e il cui esercito controlla gran parte dell'Est della Libia. 

Del baffuto generale Khalifa Haftar, 72 anni, il mondo ha cominciato a interessarsi davvero il 16 maggio scorso, quando con la “Operazione Dignità” ha provato con un colpo di Stato a risolvere il caos libico, finendo forse per ingarbugliarlo ancora di più. Un'avventura finita senza successo, ma che ha innalzato Haftar a punto di riferimento di tutto quel mondo - laico, militare, anche nostalgico del Colonello - che si oppone all'avanzata delle forze di ispirazione religiosa nel Paese, sia quelle legate al movimento dei Fratelli Musulmani sia quelle invece jihadiste, a cui oggi sembra aggiungersi anche l'Isis del “califfo” al Baghdadi. 

Quel mondo anti-islamico è sembrato a tal punto sconfitto negli ultimi mesi, soprattutto dopo l'arrivo dell'Isis, che l'Egitto ha deciso di intervenire. Non solo perché lo Stato Islamico aveva rapito e ucciso 21 copti. Ma anche - e forse soprattutto - perché il presidente egiziano al Sisi vuole combattere in Libia la stessa battaglia che sta conducendo con forza in patria, quella contro i Fratelli Musulmani, il movimento del suo predecessore Morsi di cui sono stati condannati a morte recentemente ben 183 sostenitori.
 
E siccome l'obiettivo di al Sisi e Haftar coincide, ecco che l'anziano generale libico, che sogna di diventare il nuovo Gheddafi pur non avendo le physique du rôle, ha di nuovo la sua chance. 

Ma chi è, esattamente, Khalifa Haftar? Nato nel 1943 nell'est della Libia, come militare prende parte al colpo di Stato che porta al potere Gheddafi nel 1969. È ottimo il rapporto con il Colonnello, che un giorno ha detto di lui: «Era un figlio per me. E io ero il suo padre spirituale». Gheddafi gli fa fare carriera e gli dà le chiavi della guerra con il Chad. Che però si rivela un disastro. Haftar viene fatto prigioniero in Chad nel 1987, e il rapporto con Gheddafi si tramuta in aperta inimicizia. Nel 1990 viene rilasciato grazie a un accordo con gli Stati Uniti, e così se ne vola in America, dove prende la cittadinanza e rimane quasi 20 anni, mentre in patria viene condannato a morte.
 
Gli Stati Uniti lo portano nei sobborghi del nord della Virginia, non lontano da Washington, ma soprattutto vicino a Langley e dunque alla sede della Cia, con cui infatti in tutti questi anni collabora.

Nel 2011 Haftar è di nuovo in Libia, per prendere parte alla rivolta anti-Gheddafi. Torna poi in Virginia «a godersi i nipotini», ma poi rieccolo appunto in patria nel 2014, perché i suoi amici, ha raccontato, continuavano a ripetergli di avere bisogno di «un salvatore». Nel parlamento libico intanto avviene una specie di ribaltone. Le forze filo-islamiche si impongono e vogliono un nuovo premier. Per Haftar arriva l'ora delle decisioni irrevocabili. Il 14 febbraio appare in un messaggio televisivo in cui dichiara unilateralmente dissolto il parlamento. Ma non è in grado di imporsi con la forza, e infatti il primo ministro Ali Zeidan definisce «ridicolo» il suo tentativo.

A maggio ci riprova, stavolta con aerei e carri armati, e sostenuto dall'Egitto di Al-Sisi: con l'“Operazione Dignità”, partendo da Bengasi, vuole far piazza pulita delle milizie islamiche, e dei Fratelli Musulmani. Il risultato principale è quello di portare il Paese a nuove elezioni a giugno. Vincono i laici, ma non in tutta la Libia si è votato, il nuovo Parlamento non viene riconosciuto dagli islamici e il caos aumenta. Mentre le milizie di tutti i tipi si fanno la guerra a vicenda, arriva l'Isis, e gli occidentali scappano.
 
Ora ci sono due parlamenti, due governi, due capitali. Semplificando al massimo: da una parte i filo-islamici (Libya Dawn) e dall'altra i filo-militari, da una parte i Fratelli Musulmani e le milizie islamiche e dall'altra Haftar, i laici, i nostalgici di Gheddafi. Ogni gruppo definisce “terrorista” l'altro. Con i primi stanno Turchia e Qatar, con i secondi Egitto, Arabia Saudita e Emirati. Libya Dawn controlla Tripoli, Misurata e Sirte, mentre Haftar - che intanto è scampato a un attentato - guadagna campo a Est, ma né a Derna né a Bengasi, dove si combatte, e intanto il Sud desertico è fuori controllo. La mappa del Paese è variamente colorata, non c'è più uno Stato, è più una guerra tra bande. L'elettricità scarseggia, come i proventi del petrolio. E quasi un terzo della popolazione sarebbe sconfinata in Tunisia.

«Sembra più un insegnante in pensione che il tiranno sostenuto dagli americani di cui parlano i suoi nemici», scrive il “New Yorker” nel suo ultimo numero in una lunga intervista-profilo a Haftar in cui un rappresentante dell'amministrazione Obama prende nettamente le distanze da lui («Il governo americano non ha niente a che fare con il generale. Haftar uccide le persone. Dice di mirare ai terroristi, ma usa una definizione troppo ampia. È un “vendicatore”, e non farà che unire i suoi rivali»).
 
L'escalation egiziana potrebbe però aiutare Haftar - che sicuramente non è un democratico, ma che è il più lontano dalle posizioni jihadiste - a fermare l'avanzata dell'Isis. Al momento, però, la sua priorità sembrano essere i Fratelli Musulmani, al cui interno ci sono tanti moderati.
 
Ora, secondo alcune voci, potrebbe anche diventare capo dell'esercito regolare, ma in realtà sogna un futuro da presidente, da nuovo Gheddafi. Per il momento però è soprattutto lo specchio di un fronte anti-islamista disorganizzato e avventuriero. Un'altra faccia del tragico caos libico.

Su l'Espresso in edicola venerdì 20 febbraio un ampio dossier sulla Libia