I naufragi nel Mare Nostrum si susseguono. Mentre i superstiti che sbarcano in Italia vengono rinchiusi negli hotspot, come quello di Lampedusa. Il governo, in linea con l’Ue, tratta con la Tunisia e con la Cirenaica di Haftar, promettendo soldi in cambio di confini blindati

«Quest’inverno ero sul peschereccio con mio zio e per quante reti tiravamo su tante parti di corpi trovavamo in mezzo ai pesci. All’inizio, per l’orrore, ributtavamo a mare ogni cosa ma succedeva così spesso che avremmo fatto fallire l’attività. E così abbiamo cominciato a fare la cernita». Cristian parla sulla strada per il vecchio camposanto di Lampedusa, dove sono sepolti alcuni dei migranti morti nel naufragio del 3 ottobre 2013: 368 morti e chissà quanti dispersi. Tra le tombe dei locali, ci sono quelle anonime di uomini e donne annegati tra le onde mentre cercavano di raggiungere la salvezza. «Ma il vero cimitero è nel mare», dice Cristian. E ora lì ci sono anche i corpi di chi è morto nell’ultima strage al largo del Peloponneso.

Mentre le autorità continuano a rimpallarsi le responsabilità, all’appello mancano ancora centinaia di corpi, che probabilmente non riemergeranno mai più dagli abissi. «Molti dei migranti morti al largo della Grecia erano su un barcone che, lo scorso 23 maggio, era stato respinto in Libia in acque Sar maltesi. Ci hanno riprovato e sono affogati», ha raccontato l’attivista Nawal Soufi. Il numero reale delle vittime in mare è approssimativo, più di millequattrocento in questi sei mesi del 2023 ma quanti sono i dispersi, i morti di cui nessuno ha tenuto traccia? E poi ci sono coloro che, fortunatamente, riescono ad arrivare.

Da trent’anni ormai, Lampedusa è il primo approdo per migliaia di migranti e anche in questi giorni gli sbarchi sono continui. Ma gli isolani non li vedono più. «All’inizio tutti noi portavamo acqua e coperte», racconta don Carmelo, parroco di Lampedusa. «La chiesa era aperta giorno e notte e i ragazzi trovavano conforto in un sorriso, in una mano tesa. Poi all’improvviso ci hanno vietato di avere rapporti e i ragazzi sono spariti alla vista». È così. A mano a mano che le politiche securitarie dei governi si sono infittite, uomini, donne e bambini sono diventati sempre più ombre: sagome indistinte portate via in fretta, a pochi metri dalla spiaggia della Guitgia e dai ristoranti pieni di turisti, e velocemente rinchiuse nell’hotspot

Le condizioni del centro di contrada Imbriacola, peraltro, erano diventate disastrose negli ultimi anni. Da inizio giugno, però, la Croce Rossa ne ha preso la gestione e ha assicurato alti standard di accoglienza, ripristinando bagni, fognature, una mensa. Un primissimo e minimo luogo dove sentirsi al sicuro, giusto il tempo di una dormita prima di rimettersi in movimento. Valerio Valenti, commissario delegato per lo stato di emergenza, infatti, ha stabilito trasferimenti quotidiani da Lampedusa verso la terra ferma. Almeno 400 al giorno, dal 10 giugno, con navi appositamente noleggiate dal governo.

L’obiettivo è rendere i migranti invisibili e attivare politiche sempre più rigide; eppure, molto meno sicure e rispettose della dignità umana. In questi ultimi 20 anni, da un lato le politiche nazionali hanno progressivamente indebolito il sistema di accoglienza, fino quasi a smantellarlo ora, con il decreto Cutro. Dall’altro, l’Italia, in linea con l’Europa, ha lavorato per esternalizzare i confini delegandone la protezione ai Paesi del Nord Africa. Ne è un esempio l’accordo dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti con la cosiddetta guardia costiera libica, che con soldi e mezzi italiani respinge i migranti e li riporta nei lager di Tripoli, Misurata, Bengasi.

Anche il governo Meloni sta andando in questa direzione. Di recente, la presidente del Consiglio è stata due volte in pochi giorni in Tunisia per provare a convincere il presidente Kais Saied a bloccare le partenze dalle coste di Sfax. Assieme alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e al primo ministro dei Paesi Bassi Mark Rutte ha messo sul piatto quasi un miliardo di euro, per sbloccare la crisi economica interna, in cambio di uno stop alle partenze.

Ma pare sia stato un flop. «No ai migranti in cambio di soldi», ha detto Saied, perché in effetti il tentativo era fin troppo evidente e mal celato dal desiderio europeo di aiutare economicamente la Tunisia. Non ci credeva nessuno e il governo di Tunisi, infatti, per ora ha ribadito che il Paese non si trasformerà in guardia di frontiera delle coste europee. D’altro canto, anche ventisei associazioni e Ong hanno sottoscritto un comunicato in cui chiedono alla Tunisia di garantire i diritti umani dei migranti e di interrompere le campagne razziste nei confronti dei sub-sahariani. L’obiettivo dell’Europa è di trasformare la Tunisia in una nuova Libia, con centri di detenzione per migranti e una guardia costiera pagata per respingere i barconi.

Se Saied rifiutasse l’offerta, potrebbe avanzarne una nuova di zecca il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Il barcone con 650 persone a bordo naufragato davanti alle coste greche era partito proprio da Tobruk, da dove stanno partendo più persone negli ultimi mesi. Il governo Meloni potrebbe chiudere a breve un nuovo memorandum libico, questa volta con il capo della Cirenaica. Non a caso a inizio maggio Kalifa Haftar è arrivato a Roma proprio per discutere con la premier della questione migratoria. Penserebbe lui a fermare le partenze in cambio di un contributo economico. Da inizio giugno le truppe dell’esercito nazionale libico (Lna) stanno mostrando una insolita attività di rastrellamento e arresto di migranti, per dimostrare all’Ue di meritare il sostanzioso bonus economico.

Peccato, però, che siano proprio i figli del generale Haftar a fare affari con i clan che manovrano i fili del traffico di esseri umani. Secondo fonti locali, riceverebbero dai contrabbandieri parte dei soldi estorti con sangue e violenza a chi cerca di trovare la strada per una vita migliore. Ma la propaganda del governo contro gli scafisti, gli accordi milionari con Paesi terzi e gli occhi chiusi di fronte alle migliaia di morti non possono essere la soluzione al problema delle migrazioni. Se non la ricetta per ulteriori lutti e altrettanti fallimenti.