Oggi solo il 32 per cento dell’energia proviene da vento e sole, come 11 anni fa. E le autorizzazioni per parchi eolici e fotovoltaici vengono osteggiate dalla Soprintendenza alle Belle Arti, dalle Regioni, dai Comuni, dalle associazioni locali e dalle lobby del fossile (che sussurra al governo di investire ancora sul gas)

L’Italia investirà 19 miliardi del RePowerEu, il fondo europeo studiato per mitigare gli effetti negativi della guerra in Ucraina sul fronte energetico, per sostenere soprattutto il Piano Mattei, ovvero per favorire l’afflusso di gas dal Mediterraneo – dai giacimenti africani e del Medio Oriente – in Italia e poi verso il Nord Europa, con l’obiettivo di fare del paese l’hub europeo del gas. Per le rinnovabili, invece, c’è molto poco: un credito d’imposta da 1,5 miliardi a sostegno dell’autoconsumo di rinnovabili per ridurre costi energetici connessi all’attività produttiva a una nuova “Sabatini Green” riservata a micro, piccole e medie imprese per l’autoproduzione di energia pulita. Zero per favorire grandi impianti di eolico e fotovoltaico. 

 

Un vero autogol rispetto alla possibilità di rendere l’Italia indipendente dalle fonti fossili, quando il paese potrebbe alimentare le proprie reti elettriche con sole e vento. L’Espresso ha compiuto un viaggio nel mondo delle rinnovabili rimaste al palo. 

 

Sorge al largo del porto di Taranto il primo parco eolico marino d'Italia. Si chiama Beleolico, è nato nel 2022, dopo 14 anni di vicissitudini amministrative e giudiziarie. Ha dieci pale un po' nere, un po' grigie e un po' rosse. La soluzione arlecchina è servita a mettere d'accordo la Soprintendenza, che per prima ha richiesto di dipingere le pale di grigio – un colore «armonico» -, l'Enac, che successivamente ha imposto strisce rosse per evitare incidenti aerei, e una prescrizione regionale arrivata a pochi giorni dall'installazione in mare: s'intimava lo stop qualora le pale non fossero state dipinte di nero. La società Renexia, per mettere d'accordo tutti, ha optato per la soluzione policromatica: grigie, nere e rosse. La vicenda fa sorridere, ma Nicola P., 27 anni, bresciano, ingegnere ambientale e dipendente di una delle maggiori imprese di parchi eolici ride meno: «È una battaglia quotidiana contro comitati locali arrabbiati, sindaci terrorizzati, amministrazioni pubbliche respingenti, dipartimenti regionali e sovrintendenze allergici alla transizione energetica. Sono sommerso da tonnellate di carta. Pensavo di lavorare contro le fonti fossili, invece mi domando se davvero sto dalla parte giusta della storia».

La scarsa linearità del sistema, l'interferenza delle lobby, le lungaggini della burocrazia, i fenomeni Nimby – not in my backyard – e Nimto – not in my terms of office –, un'intera declinazione di critiche mosse da chi pensa al paesaggio e non al riscaldamento della Terra, farebbero vacillare chiunque. Le posizioni, del resto, sono quanto mai ondivaghe: sono volati gli stracci fra associazioni ambientaliste per la decisione dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) di annoverare il fotovoltaico a terra tra le forme di consumo di suolo. E mentre i paladini dell'ambiente litigano, l'industria fossile brucia oro nero a go go: a giugno Shell ha ridimensionato i suoi impegni sul clima a favore di un aumento delle remunerazioni agli azionisti, mentre Eni prevede di andare a tutto gas per il decennio. Con il benestare di Giorgia Meloni, che all’insediamento di ottobre aveva definito il Mezzogiorno «il paradiso delle rinnovabili», ma a gennaio, di fronte agli stessi deputati, ha definito l'Italia l'hub europeo del gas: una virata a 180 gradi dalle rinnovabili al metano, apprezzata dal Cane a sei zampe.

Ci ha messo del suo anche il ministero dell'Ambiente, guidato da Gilberto Pichetto Fratin, che ha inviato a Bruxelles una revisione del Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) che modifica al ribasso gli obiettivi di transizione ecologica: sulle rinnovabili elettriche l'ambizione è arrivare al 65 per cento nel 2030, quando Elettricità Futura, cioè la Confindustria dell'energia elettrica green, ha dichiarato a portata di mano l'obiettivo dell'80 per cento entro i prossimi sette anni. Oggi siamo fermi al 32 per cento da rinnovabili, come 11 anni fa. Il nuovo Pniec parla di 74 Gw da fotovoltaico ed eolico al 2030, mentre Elettricità Futura punta a raggiungerne 85, con relativi 540mila posti di lavoro, 320 miliardi di investimenti e meno 270 milioni di tonnellate di Co2. Gli industriali fanno sul serio, se si considera che a Terna sono giunte 5.054 richieste di connessione che, se fossero tutte approvate, produrrebbero 317,77 Gw (tre volte tanto l'obiettivo del 2030), di cui 133 Gw da pannelli solari, 87 da impianti eolici a terra e 96 per l'eolico off-shore, per lo più in Puglia, Sicilia, Sardegna, Basilicata ovvero nei territori che più necessitano di risorse.

Tuttavia, dice l'indagine Legambiente “Scacco matto alle rinnovabili”, l'iter è così lungo e tortuoso che nel 2022 l'uno per cento delle istanze per il fotovoltaico ha ricevuto il via libera (erano il 41 per cento nel 2019), zero per l'eolico. Energia Futura calcola che l'eccesso di burocrazia blocca il 50 per cento dei progetti, mentre l'altra metà verrà realizzata con sette anni di ritardo, anche se per legge l’iter dovrebbe concludersi entro un anno. «La troppa burocrazia, l'attitudine dei decisori pubblici a rimandare l'ok ai progetti dopo il loro mandato e l'opposizione locale agli impianti è un mix di fattori che ha reso l'Italia il Paese europeo con i tempi più lunghi e i costi più alti per un'autorizzazione.

Non stupisce quindi che nel 2022 l'Italia abbia installato solo 3 Gw di rinnovabili, mentre la Germania 11, la Spagna sei e la Francia cinque», commenta Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura che, a proposito dei timidi obiettivi del piano energia, afferma: «I target vanno rivisti al rialzo per aumentare l'indipendenza e la sicurezza energetica del Paese, oltre a ridurre davvero le emissioni di Co2». Al contrario, la strategia governativa è mettere al sicuro il Paese ricorrendo al gas, da calmierare, nei suoi effetti ambientali negativi, con la cattura della Co2, una tecnica sperimentale su cui Eni sta investendo. L'Italia punterà quindi su nuove pipeline Sud-Nord, perforazioni e giacimenti per stoccare la Co2 liberata dall'utilizzo di gas, sempre che la sperimentazione avrà successo. Altrimenti? Verrà dispersa nell'aria, con buona pace del riscaldamento climatico.

E le pale eoliche? Restano al palo. In Umbria l'impianto di Fossato di Vico è fermo dal 1999. In Puglia 15 progetti eolico on-shore sono stati sbloccati dal consiglio dei Ministri ma, tornati in Regione per l'Autorizzazione unica, sono stati nuovamente stoppati. E sono fermi «dopo un anno dal via libera governativo», commenta Stefano Ciafani, presidente di Legambiente. In Sicilia è sfumato un investimento fotovoltaico da 228 milioni di euro perché la Soprintendenza per i beni culturali sospetta un ricco contesto archeologico: il Tar di Catania ha dichiarato illegittimo lo stop, ma tutto resta bloccato.

 

I più avversati sono gli impianti offshore: quattro sono stati impallinati alle battute iniziali in Sardegna, mentre al largo del Porto industriale di Marghera latita il progetto Zoe. In Puglia il polo eolico Odra Energia - a 13 chilometri dalla costa - è stato ostracizzato per impatto paesaggistico. Nel Sin di Brindisi si attende dal 2007 un analisi dei rischi da parte del ministero dell'Ambiente per installare un parco fotovoltaico e spegnere la centrale termoelettrica Enel di Cerano. In dirittura d'arrivo dopo quattro anni l'impianto eolico di Monte Giogo di Villore, sull'Appennino tosco emiliano, passato attraverso 64 richiese di integrazione e le forche caudine della Soprintendenza. Tuttavia manca il via libera dei proprietari dei terreni su cui passerà la strada.

A livello governativo, il ministero dell'Ambiente ha raddoppiato il numero dei commissari della Commissione Via Vas per velocizzare le autorizzazioni, mentre non ci sono passi in avanti da parte della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio, che fa capo al ministero della Cultura e che, stando agli ultimi dati di Legambiente, continua a bloccare la gran parte dei progetti, con maggiore solerzia da quando è in carica il sottosegretario Vittorio Sgarbi, secondo cui fotovoltaico ed eolico «deturpano il paesaggio».

Venti mesi fa veniva pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge sulle comunità energetiche, che consentirebbe la diffusione del fotovoltaico sui tetti delle città, ma ancora mancano i decreti attuativi. A febbraio, Fratin ha promesso 20mila comunità energetiche rinnovabili, ma non c'è traccia dei decreti attuativi. Mentre il ministero dell'Ambiente ha effettivamente trasmesso il decreto Aree idonee alla Conferenza unificata, una norma che doveva essere pronta un anno e mezzo fa e serve a favorire una ripartizione regionale degli 80 Gw di rinnovabili da installare, così da spronare le amministrazioni locali a individuare i terreni su cui si può produrre energia. Ma sostiene Agostino Re Rebaudengo: «La bozza contiene dettagli troppo stringenti che rendono impossibile la realizzazione di molti impianti».

A livello territoriale, 13 regioni hanno deliberato normative ad hoc contro la proliferazione delle rinnovabili: «La Campania ha un veloce sistema autorizzativo, le altre remano contro», dice Ciafani. «Se la transizione ecologica va lentamente – spiega – chi estrae e distribuisce gas, petrolio e carbone si avvantaggia. A cominciare dall’Eni, che ha un piano decennale improntato sul gas». Claudio Descalzi, dal suo primo insediamento alla guida del colosso di San Donato, ha dato alla società una forte connotazione esplorativa e in questi anni ne sta raccogliendo i frutti in Mozambico, Egitto e nel Mediterraneo: «Ancora oggi per ogni euro investito nelle rinnovabili, Eni ne punta undici sulle nuove esplorazioni. Segnale che il gas continuerà a rappresentare il core business per diversi anni», conferma Alessandro Runci di Recommon.

Eppure Eni dal 1985 possiede un avanzato centro di ricerche a San Donato che consentirebbe di viaggiare speditamente verso l’innovazione attraverso tre ambiti di ricerca su rinnovabili e nuove energie, soluzioni per la decarbonizzazzione, prodotti circolari e bio. Intanto però il core business e la strategia di investimenti continua a essere quella di fare dell'Italia l’hub del gas. È questo, in sostanza il piano Mattei per l'Africa, che sarà finanziato anche attraverso Pnrr e RePowerEu. E il surriscaldamento globale? Può attendere. O forse no.