Paghe da fame, turni pesanti, lavoro precario in cooperative finte e subappalti selvaggi: è quello che succede a vigilanti privati. Ora la magistratura mette nel mirino Sicuritalia e Mondialpol. E scatta il sequestro a carico di Esselunga per i servizi esternalizzati

La sveglia suona alle 2,15. Il tempo di ruzzolare giù dal letto, indossare la divisa, infilare la pistola nella fondina e Matteo Locatelli, 48 anni, è in servizio al controllo bagagli del più grande aeroporto del Nord Ovest. Domanda di slacciare cinture e togliere le scarpe. Controlla ai raggi X i bagagli di ciascuno dei circa 5mila viaggiatori quotidiani. «Alzi le braccia. Può andare», non sempre il dialogo è cordiale, capita di imbattersi in passeggeri irritati dalla levataccia.

 

Matteo invece è abituato a una vita senza orari: «È complicato avere relazioni umane quando non si hanno tempi di vita conciliabili con il resto della società», dice. Anche Kevin Costner, nel film “The Bodyguard”, era un lupo solitario che proteggeva Whitney Huston, ma di sicuro guadagnava più di 6 euro l’ora.

 

Già, per contratto Matteo lavora per 173 ore spalmate su 27 giorni al mese, con 4 giornate di riposo e la garanzia (si fa per dire) di otto domeniche libere l’anno. Lo stipendio è di 1.120 euro netti «al massimo della carriera, con 26 anni di lavoro alle spalle. Ma i colleghi più giovani non arrivano a 700». Matteo ha esplorato tutti i settori della vigilanza armata: ispezioni notturne, servizi al tribunale, trasporto valori, controllo di centrale operativa, pattugliamento, vigilanza al pronto soccorso, che definisce «Il più pericoloso di tutti, perché non sai mai quando puoi intervenire». E in tutti questi lavori è sempre stato accompagnato dal miserabile contratto collettivo della vigilanza privata e dei servizi fiduciari, noto per le sue retribuzioni «al di sotto della soglia di povertà», come sancito da diversi tribunali - si va da un minimo orario di 3,90 euro netti a un massimo di 6 - ma applicato a oltre 150mila persone. È un regime che si diffonde a macchia d’olio: lo utilizzano anche i Musei Civici lombardi per la sorveglianza delle sale e molte imprese lo preferiscono all’altrettanto povero contratto multiservizi (7 euro lordi).

 

Per otto anni si è attesa una svolta dal rinnovo contrattuale, che è arrivata il 30 maggio, quando Cgil, Cisl e stavolta anche la Uil hanno raggiunto un’ipotesi di accordo con la controparte: un aumento di 140 euro in quattro anni. I sindacati hanno partorito un topolino. «L’ipotesi prevede che, quando verrà erogata la prima tranche da 50 euro, quindi in teoria a giugno se i lavoratori accetteranno, vengano meno 20 euro di indennità contrattuale. Quindi in quattro anni l’aumento è di 120 euro lordi, ovvero 0,69 centesimi al mese», spiega Vincenzo Lauricella, segretario Usb. Con un’azione maquillage il nuovo accordo fa sparire il livello F, il più misero da 797 euro lordi al mese, ma estende la permanenza nel precedente scalino E a oltre un anno e mezzo, prima di approdare nel D: «In realtà tutti i tre livelli sono stati giudicati al di sotto della soglia di povertà dai tribunali del lavoro», puntualizza Lauricella.

 

I lavoratori del settore sono sul piede di guerra: «Considerando gli otto anni di mancato rinnovo, gli scioperi e le spese, abbiamo perso mille euro per arrivare a un rinnovo indecente», commenta Matteo Locatelli, che aggiunge: «Per l’ennesima volta non si è considerata l’opzione di riformare il servizio delle guardie giurate, come si era fatto per quelle penitenziarie». Il cortocircuito nasce infatti dalla confusione fra guardie giurate, che svolgono una sorveglianza armata, e addetti ai servizi fiduciari, che non hanno armi. Per altro, con sempre maggiore frequenza l’Ispettorato del Lavoro segnala «una sostanziale identità delle mansioni», ovvero che molte ditte utilizzano gli addetti ai servizi fiduciari - che sono pagati ancora meno delle guardie giurate - per attività di vigilanza armata.

 

«Nonostante gli aumenti, restano intatte le criticità evidenziate dalle sentenze dei tribunali per la violazione dell’articolo 36 della Costituzione, che riconosce a ogni lavoratore il diritto a una vita libera e dignitosa», argomenta il giuslavorista Biagio Cartillone. L’aumento, infatti, non consentirà di superare la soglia di povertà - fissata dall’Istat a 839 euro - neppure al livello D del contratto, che arriverà a 750 euro netti al mese. «Siccome la contrattazione collettiva è il perno del sistema retributivo italiano, approvare un simile accordo significa minare alla base l’intero impianto delle retribuzioni», spiega l’avvocato: «È una grande tentazione per qualsiasi imprenditore, che può utilizzarlo in ogni settore. È un pericolo per tutti i lavoratori che, all’atto dell’assunzione, si dovessero veder applicare quel contratto. È una minaccia per la tenuta degli istituti previdenziali ed è un danno per le imprese leali».

 

Tutto questo allontana l’Italia dall’obiettivo del salario minimo, adottato nella stragrande maggioranza dei Paesi avanzati: 12 euro in Germania, 11 in Francia, 5,45 in Spagna. Per l'Italia si è più volte ventilata la possibilità di porre l’asticella a 9 euro orari. Ciò porterebbe i lavoratori dei servizi fiduciari a guadagnare non meno di 1.557 euro. Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, è da sempre scettico sul salario minimo, sostenendo la necessità di vincolarlo alla contrattazione collettiva. Ma ora è proprio questa a prevedere paghe da fame.

 

La verità è che alzare queste retribuzioni significherebbe intaccare un sistema collaudato, potente e poco trasparente, che fa dello sfruttamento del lavoro il proprio core business. Ora la magistratura sta contrastando questo modello con inchieste penali, commissariamenti di aziende e sequestri giudiziari anche a carico delle imprese più importanti e conosciute. Nelle scorse ore la procura di Milano ha messo a segno un maxi sequestro da 48 milioni di euro per Esselunga che per ridurre i costi della sicurezza avrebbe fatto uso di cooperative schermo per ridurre i costi. E, sempre nelle stesse ore a Como è stata commissariata una delle società di vigilanza privata con l’accusa di caporalato, che fa capo a Sicuritalia.  Un altro esempio è l'indagine della Procura di Milano che ha coinvolto Mondialpol, il secondo gruppo italiano di vigilanza, fondato nel 1927 da un ex carabiniere, tuttora controllato dai suoi eredi, che respingono ogni accusa. L’istruttoria nasce a Lecco nel 2020 da uno dei tanti controlli della Guardia di Finanza sulle aziende autorizzate a lavorare in piena emergenza Covid, in particolare nei centri commerciali.

 

La verifica riguarda una cooperativa, Cosmo Nord, che fornisce guardie e custodi ai supermercati. L’indagine rivela che in realtà fa parte di una «micro-galassia» di 17 cooperative e srl, che fanno capo a due consorzi, Servizi Fiduciari a Milano e San Diodato a Roma, fornitori esterni di Mondialpol. Ora il Giudice delle Indagini, che a fine aprile ha autorizzato le prime misure patrimoniali, definisce questo sistema «un collaudato meccanismo fraudolento, finalizzato all’evasione fiscale e allo sfruttamento illecito della manodopera» con metodi da «caporalato». I titolari dei consorzi avrebbero evaso l’Iva per un totale di 25 milioni di euro, tagliato i salari, minimizzato i contributi, ma «il dominus unico» del sistema sarebbe il gruppo Mondialpol, interessato a offrire alle banche e ai centri commerciali «prezzi bassissimi, fuori mercato», mettendo in crisi la concorrenza.

 

I padroni dei consorzi, sempre secondo l’accusa, hanno intascato almeno 2 milioni e mezzo in cinque anni, attraverso una finta società di consulenza. Mentre i dipendenti lavoravano sotto minaccia di trasferimento, licenziamento o chiusura della finta cooperativa. Le loro testimonianze sono allucinanti: «Ho lavorato anche 15 ore al giorno, ma per gli straordinari mi pagavano 60 centesimi lordi l’ora». «Le cooperative avevano nomi inventati: sulla divisa avevamo il logo Mondialpol». «Ci facevano fare anche i turni di notte al posto dei dipendenti dei centri commerciali, con gestione delle telecamere interne e allarmi».

 

Gli avvocati di Mondialpol hanno fatto ricorso al tribunale del riesame, sostenendo che nessuna società del gruppo ha mai avuto rapporti diretti con le cooperative accusate dei reati fiscali. Le carte interne sequestrate dalla Guardia di Finanza di Milano nelle sedi dei consorzi, però, hanno convinto i giudici a confermare l’accusa, almeno in attesa dei futuri processi.

 

Per dieci anni anche Sicuritalia, il numero uno in Italia della vigilanza, ha pagato meno di quanto previsto dal contratto di settore, approvando due deroghe - nel 2013 e nel 2017 - per affrontare crisi aziendali. Il gruppo però ha sempre goduto di ottima salute e nell’ultimo bilancio depositato dichiara 93 milioni di patrimonio netto, utili per 10 milioni, un giro d'affari da mezzo miliardo, mentre la sua cooperativa Servizi Fiduciari chiudeva in perdita.

 

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro di Como, dove ha sede il colosso e la relativa cooperativa, ha avviato due recuperi a favore dell’Inps da oltre 60 milioni, ipotizzando un’evasione contributiva (tramite un fittizio stato di crisi), e le differenze retributive per oltre 16 mila lavoratori, per un totale di 103 milioni. Il gruppo Sicuritalia respinge le accuse e anche in questo caso toccherà ai tribunali fare giustizia sul lavoro, salari e diritti.