Nel 2023 inflazione e tassi d’interesse smetteranno di crescere. Ma resteranno ancora molto più elevati rispetto a un anno fa. Per questo l’emergenza non è ancora finita

2023, fuga dalla permacrisi. L’Italia cerca una via d’uscita per lasciarsi alle spalle il tempo dell’emergenza infinita. Pandemia, guerra, inflazione, disastri naturali: un guaio dopo l’altro in rapida successione. Anni segnati da un’incertezza che sembra non finire mai. A tal punto che nel vocabolario ha trovato posto un neologismo, permacrisi, che indica «un periodo esteso di instabilità e insicurezza», spiega la Treccani. Certo, il peggio potrebbe sembrare ormai alle spalle, almeno a voler credere ai listini azionari che dopo mesi di Quaresima, nei giorni scorsi hanno festeggiato il nuovo anno con un filotto di rialzi.

 

L’ottimismo dei mercati si fonda su alcuni dati positivi. Uno su tutti: il calo dei prezzi dell’energia e delle materie prime in generale. Questi numeri, però, sembrano più che altro destinati a giustificare qualche speculazione in Borsa. Giusto un mordi e fuggi. Troppo poco per cantare vittoria in un contesto che resta comunque tutt’altro che rassicurante. Inutile illudersi. «La fiammata dell’inflazione non si esaurirà nel giro di qualche mese. I tassi d’interesse resteranno ancora a lungo sugli stessi livelli di queste ultime settimane», prevede Gianluca Garbi, amministratore delegato di Banca Sistema. La sfida si gioca su tempi più lunghi e non ci sono scorciatoie per la ripresa, perché «il sistema Paese è alla ricerca di equilibri nuovi», riassume Alessandro Valerii, direttore generale del Censis l’istituto di ricerca che nel suo ultimo rapporto, appena pubblicato, ha descritto un’Italia incerta e spaventata di fronte alla tempesta di questi anni. «L’uscita dalla crisi ci consegnerà un mondo molto diverso da quello che nell’inverno del 2020 si è infilato nel tunnel della pandemia», spiega Valerii.

 

Il tempo dei tassi d’interesse a zero, della liquidità abbondante, dei prezzi stabili è finito per sempre. L’Italia si avvia faticosamente verso una nuova normalità, ma intanto sono soprattutto le famiglie a sopportare il peso maggiore della transizione verso il mondo che verrà. Mentre le aziende possono scaricare sui clienti l’aumento dei costi di produzione, nel 2022 spesa e bollette hanno assorbito mese dopo mese una fetta sempre maggiore di salari e stipendi. In difficoltà sono soprattutto i lavoratori dipendenti che vedono crescere il costo della vita mentre la busta paga rimane invariata o subisce solo piccoli ritocchi al rialzo. Del resto, le retribuzioni sono ferme da tempo. Tra il 2007 e il 2020 - ha calcolato l’Istat - i compensi medi dei lavoratori dipendenti sono diminuiti, in termini reali, del 10 per cento.

 

Adesso, però, la perdita di potere d’acquisto è molto più accentuata rispetto al decennio precedente, quando l’inflazione è rimasta a lungo vicina allo zero. Va detto che negli ultimi due anni, le misure a sostegno dei redditi varate dai governi hanno attutito gli effetti dei rincari sui consumatori. L’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha calcolato che tra giugno 2021 e dicembre 2022 l’incremento dei prezzi ha fatto salire la spesa delle famiglie del 5,4 per cento. Senza le politiche pubbliche di sostegno l’aumento sarebbe arrivato al 9 per cento. Dentro questa media statistica, però, le cose cambiano molto in base al reddito delle famiglie. La fascia di popolazione più povera (primo decile) ha dovuto far fronte a rincari del 15 per cento, mentre all’estremo opposto le famiglie con reddito più elevato hanno subìto un impatto non superiore al 6,8 per cento. Il paracadute di bonus e aiuti vari ha impedito che la forbice delle disuguaglianze si allargasse ancora: secondo l’analisi dell’Upb, la spesa è aumentata del 4,8 per cento per i meno abbienti contro il 5 per cento dei più ricchi.

 

I dati appena citati riguardano il passato prossimo. Sul futuro, invece, le previsioni di governo, Banca d’Italia e analisti vari concordano almeno su un punto. I prezzi dell’energia, anche se in netto calo rispetto ai picchi dell’estate scorsa, sono destinati a restare elevati ancora a lungo e l’inflazione si muoverà di conseguenza. L’istituto di ricerca Prometeia stima per quest’anno un’inflazione non inferiore al 5,8 per cento, in discesa rispetto all’8,1 per cento medio registrato dall’Istat per il 2022, ma comunque ancora molto lontano da quel 2 per cento che è il livello giudicato ottimale per l’economia dalle banche centrali.

 

I prezzi, quindi, continueranno anche quest’anno la loro corsa al rialzo alimentando una spirale negativa che porta a un calo dei consumi, come prevede l’ultimo bollettino economico di Bankitalia. Messi alle corde dall’aumento del costo della vita, milioni di italiani dovranno metter mano al proprio tesoretto in banca. «Si ridurrà la propensione al risparmio - scrivono gli esperti di via Nazionale - scendendo sotto alla media pre-pandemia». Questa tendenza è già evidente dai dati sugli ultimi mesi dell’anno scorso. Tra il 2020 e il 2021, in una fase di grande incertezza, le famiglie hanno preferito rinviare gli acquisti di beni non indispensabili e così una quota maggiore di reddito è stata accantonata in vista di possibili ulteriori difficoltà future. E infatti i depositi bancari sono aumentati dai 1.536 miliardi del gennaio 2020, poco prima dell’esplosione del Covid, fino al record di 1.859 miliardi del dicembre 2021.

 

Poi il clima cambia. Arriva l’alta marea dell’inflazione e aumentano i prezzi, anche quelli dei prodotti essenziali (luce, gas, cibo, abiti). Per far fronte ai rincari, quindi, nei mesi scorsi un numero sempre maggiore di italiani non ha potuto fare altro che prelevare una parte della liquidità lasciata sul conto corrente. A illustrare questa inversione di rotta sono le statistiche dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana. In novembre, ultimo dato disponibile, il denaro contante custodito per conto della clientela privata nei forzieri degli istituti di credito, era già sceso a 1.818 miliardi.

 

Ovviamente non tutti i correntisti hanno reagito allo stesso modo all’aumento del costo della vita. Per le famiglie più ricche, quelle che impiegano solo una quota marginale del reddito per l’acquisto dei beni di prima necessità, il risparmio non è un problema neppure in tempi di inflazione a due cifre. I money manager delle banche notano semmai quella che definiscono «una maggiore polarizzazione» tra le diverse fasce della clientela: aumenta la distanza tra i meno abbienti e i ceti più agiati. Questi ultimi, anche nel 2023, non dovranno fare altro che cambiare le loro strategie d’investimento per adattarle al nuovo scenario, con i tassi d’interesse in velocissima ascesa.

 

Nel frattempo, però, rischia di aumentare ancora la fascia di popolazione che fatica a riempire il carrello della spesa. Tra il 2020 e il 2021 il numero di cittadini in condizioni di povertà assoluta ha raggiunto il massimo storico per l’Italia: circa 5,6 milioni di persone, secondo i calcoli dell’Istat. L’anno scorso, come detto, le misure varate dal governo, a partire da quelle sulle bollette, hanno evitato che la situazione precipitasse. Giorgia Meloni, che nell’ottobre scorso ha preso il posto di Mario Draghi a Palazzo Chigi, ha proseguito sulla stessa linea del suo predecessore. Gli interventi a sostegno di famiglie e imprese sono stati rinnovati anche nella legge di bilancio per il 2023 e valgono quasi i due terzi dell’intera manovra: 21 miliardi su 34 complessivi.

 

Bonus e sgravi fiscali però scadono a marzo. Dopo il primo trimestre dell’anno si vedrà che fare. Se i prezzi dell’energia resteranno sui livelli attuali, per l’esecutivo sarà politicamente molto rischioso chiudere il rubinetto degli aiuti. Il contraccolpo in termini di consenso potrebbe rivelarsi pesantissimo, come dimostra la tempesta che si è scatenata nei giorni scorsi dopo la reintroduzione delle accise su gasolio e benzina. Un provvedimento previsto da tempo, già messo in calendario ai tempi di Draghi, che però è diventato un boomerang per la coalizione di maggioranza, costretta difendersi dalle accuse di non essere in grado di contrastare le manovre degli speculatori.

 

Riesce difficile immaginare, quindi, che a primavera con le bollette ancora ai massimi, il governo decida di lasciar mano libera al mercato. «A marzo, se sarà necessario, saranno introdotte nuove misure di sostegno ai redditi», ha promesso il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti qualche settimana fa, mentre presentava la manovra economica. La correzione in corsa, però, costerà cara. Nell’ipotesi che gli aiuti vengano prorogati per un altro trimestre, i nuovi oneri a carico del bilancio dello Stato potrebbero superare i 20 miliardi. Nei piani della maggioranza per finanziare queste spese supplementari «saranno utilizzate prioritariamente eventuali entrate aggiuntive e risparmi di spesa che si manifestassero nei primi mesi dell’anno». L’uso del termine «prioritariamente» non è casuale: serve a non escludere l’eventualità che, se necessario, si faccia ricorso a nuovo deficit.

 

La spesa pubblica già approvata per quest’anno sfiora i 1.200 miliardi di euro, il 35 per cento in più rispetto al 2019, prima della pandemia. È vero che l’inflazione, riducendo il valore reale della moneta, finisce per favorire il debitore. Resta il fatto, però, che quest’anno l’Italia dovrà piazzare sul mercato circa 515 miliardi di titoli pubblici, un record storico. E dovrà riuscirci senza l’aiuto della Bce, che nel recente passato ha finito per assorbire una quota rilevante dei nostri Btp. Il rischio spread incombe, con i tassi che potrebbero prendere il volo. Problemi vecchi, in attesa del mondo nuovo.