Sale il costo della vita, mentre l’inflazione divora salari e risparmi. Intanto sulla crescita del Pil pesa l’incognita dei prezzi del gas e il rialzo dei tassi d’interesse premia chi investe in Btp, ma crea nuovi problemi per i conti pubblici. Le previsioni per i prossimi mesi

L’esercito dei 250 mila investitori che 10 giorni fa si è precipitato a sottoscrivere 12 miliardi di euro di Btp cercava uno scudo contro l’inflazione che giorno dopo giorno divora i risparmi degli italiani. Affare fatto. Il nuovo titolo di Stato, uno dei primi con il marchio del governo appena insediato, offrirà un rendimento superiore all’incremento del costo della vita fino alla scadenza di novembre 2028. Questo significa che nell’arco dei prossimi 12 mesi il Tesoro sarà costretto a sborsare più di un miliardo per pagare gli interessi su questi nuovi Btp, nell’ipotesi che l’indice dei prezzi dovesse aumentare alla stessa velocità fatta segnare in ottobre. Non finisce qui, ovviamente. Anche nel futuro prossimo, per convincere i mercati a puntare ancora sull’Italia, il neoministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti non potrà fare a meno di tenere alta l’asticella dei rendimenti, in linea con l’inflazione prevista. Già nel 2022, secondo i calcoli dell’ultimo aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef), la spesa per interessi salirà a 77 miliardi dai 62,9 miliardi del 2021. E per il 2023 è previsto un nuovo aumento a 81,5 miliardi, nell’ipotesi, per nulla scontata, che la stretta monetaria decisa dalla Bce si esaurisca entro dicembre.

 

In altre parole, l’anno prossimo il buco nero del debito assorbirà quasi 20 miliardi di euro in più rispetto al 2021, risorse preziose che avrebbero potuto invece essere destinate a investimenti pubblici o ad aiuti per imprese e famiglie in difficoltà. E così, dopo anni con i tassi in discesa, adesso il governo si trova di nuovo a dover gestire un repentino aumento del costo del debito pubblico. La svolta non poteva arrivare in un momento peggiore per l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Dopo tre trimestri in cui l’economia nazionale, nonostante la guerra e il boom dei prezzi dell’energia, ha dimostrato una tenuta per certi aspetti sorprendente, anche grazie alla rete dei sussidi pubblici, adesso le previsioni unanimi degli analisti sono orientate al ribasso.

[[ge:rep-locali:espresso:375947694]]

La frenata si farà sentire già nell’ultimo scorcio del 2022 e per l’anno prossimo i pessimisti già vedono profilarsi all’orizzonte una recessione o quantomeno un forte rallentamento della crescita. La Nadef governativa stima una crescita dello 0,6 per cento, contro il 3,7 per cento con cui dovrebbe chiudersi l’anno in corso. Meno ottimista la Banca d’Italia, che nelle previsioni economiche diffuse a ottobre non andava oltre un incremento del Pil dello 0,3 per cento. C’è chi vede ancora più nero, però: secondo il Centro studi di Confindustria il 2023 sarà un anno a crescita zero, mentre gli analisti di Moody’s, la società di rating, vedono addirittura un ribasso dell’1,3 per cento.

 

Se il motore della crescita dovesse arrestarsi per davvero, l’aumento delle crisi aziendali potrebbe innescare un’ondata di licenziamenti, che a sua volta finirebbe per sovrapporsi con il caro bollette che già incide pesantemente sul reddito dei lavoratori. Nella migliore delle ipotesi, infatti, i prezzi dell’energia, in parte rientrati dopo i massimi toccati in agosto, resteranno comunque elevati, quattro, cinque volte superiori rispetto ai valori pre-pandemia, quelli del 2019.

 

Con l’obiettivo prioritario di mantenere la pace sociale, Meloni deve quindi incamminarsi sulla stessa strada dei suoi predecessori, Mario Draghi e Giuseppe Conte. Il valore totale delle cosiddette “misure di contrasto al caro energia” calcolato fino a metà novembre ammontava già a 57,6 miliardi, il 3 per cento del Pil, a cui va aggiunta un’altra manciata di miliardi per l’ultimo mese dell’anno. Il flusso degli aiuti per famiglie e aziende è però destinato a proseguire, come emerge dalla lettura della prima versione della manovra, faticosamente licenziata dal consiglio dei Ministri nel cuore della notte lo scorso martedì 22 novembre e destinata al vaglio del Parlamento e della Commissione di Bruxelles, che ha già messo sotto osservazione il nostro Paese per gli squilibri eccessivi legati all’elevatissimo debito pubblico. Roma, però, non può fare a meno di varare un altro round di aiuti che, almeno nelle intenzioni, serviranno da scudo in vista di mesi molto complicati per la tenuta economica del Paese. Per finanziare nuovi sussidi, si va dal taglio delle tasse su benzina e gasolio all’azzeramento degli oneri di sistema sulle bollette, il governo ha fatto ricorso a deficit supplementare per 21 miliardi rispetto a quanto previsto inizialmente da Draghi. La correzione di rotta più rilevante riguarda la diminuzione dello sconto sui carburanti, che per il mese di dicembre (poi si vedrà) viene ridimensionato da 30,5 a 18,3 centesimi.

 

Com’era prevedibile, il governo ha invece fatto marcia indietro sul reddito di cittadinanza. La misura di sostegno alla povertà introdotta dall’esecutivo gialloverde nel gennaio di tre anni fa non è stata abolita come promesso dalla coalizione di centrodestra in campagna elettorale. Se ne riparla nel 2024, intanto, per l’anno prossimo, il governo ha annunciato che il taglio riguarderà solo i cosiddetti occupabili, cioè gli assistiti in grado di lavorare, che riceveranno il sussidio solo per otto mesi. Anche in questo caso la correzione di rotta è stata dettata dal timore che la cancellazione totale di un provvedimento a favore dei cittadini avrebbe potuto innescare pericolose derive anche a livello di ordine pubblico.

 

Resta aperta la questione di fondo, però. Basteranno le risorse aggiuntive previste nella manovra a proteggere i più vulnerabili da nuovi possibili aumenti del costo della vita? Il futuro prossimo è appeso all’andamento dei prezzi dell’energia. Questa, a detta di tutti gli analisti, è l’incognita più importante sospesa sul sentiero della crescita economica. Come detto, le quotazioni del gas, e quindi anche dell’energia elettrica, sono diminuite di molto dopo i massimi toccati nel pieno dell’estate scorsa. Il deficit della bolletta energetica resta però pesante. Basti pensare che nei primi nove mesi del 2022 il deficit commerciale prodotto dalle importazioni di combustibili ha toccato gli 85 miliardi e ha causato un buco di 31 miliardi nel saldo complessivo export-import del Paese.

[[ge:rep-locali:espresso:375973330]]

Per capire le dimensioni del problema è sufficiente fare un confronto con il 2021. A settembre dell’anno scorso, quando peraltro già si registravano i primi rialzi nei prezzi internazionali del metano, l’Italia poteva ancora vantare una bilancia commerciale in attivo per 41 miliardi di euro e il deficit sul fronte dell’energia non raggiungeva i 3 miliardi di euro (2,7 miliardi) nell’arco dei primi trimestri.

 

Per i prossimi mesi si naviga a vista. Gli stoccaggi, al momento pieni al 96 per cento circa della loro capacità, assicurano un certo margine di tranquillità, anche nel caso in cui i flussi di gas provenienti dalla Russia dovessero continuare a diminuire come è successo finora. Molto dipenderà però dalle condizioni climatiche del prossimo inverno. Se tra dicembre e febbraio le temperature non saranno troppo rigide, la domanda di gas per i consumi domestici potrà essere soddisfatta senza pesare troppo sugli stoccaggi. Se invece ad aprile le riserve fossero vicine allo zero, per effetto dei consumi destinati a fronteggiare un freddo particolarmente intenso, la creazione di nuove scorte in mancanza di forniture russe farebbe di nuovo lievitare i prezzi con conseguenze immediate per le bollette di famiglie e imprese.

 

Intanto, il mese di novembre sta per concludersi con un bilancio migliore del previsto. L’anomalo tepore delle scorse settimane conferma la tendenza al riscaldamento globale in corso ormai da molti anni. D’altra parte, le temperature miti, in ottobre mai così elevate negli ultimi 56 anni nella Penisola, hanno avuto come effetto immediato un forte calo del consumo di gas per riscaldare uffici, negozi e abitazioni. Risultato: in base alle statistiche più aggiornate il sistema Italia ha risparmiato ben 3 miliardi di metri cubi di gas, pari al 5 per cento circa del fabbisogno annuale del Paese. È un buon inizio, anche se nell’ultima decade di novembre il termometro si è riportato su valori più vicini alle medie stagionali.

[[ge:rep-locali:espresso:375947693]]

Le prospettive restano quindi quantomeno incerte con la minaccia incombente di ulteriori rincari dell’energia nei prossimi mesi, che avrebbero l’effetto di provocare nuovi rialzi dell’inflazione. A questo punto, proprio con l’obiettivo dichiarato di riportare sotto controllo la crescita dei prezzi, è ormai certo che la Banca centrale europea decida di intervenire ancora sul livello dei tassi d’interesse dopo i tre rialzi varati tra settembre e la fine di ottobre. I vertici dell’istituzione di Francoforte hanno già annunciato una nuova stretta per dicembre, «ma non sarà l’ultima», ha detto il capo economista della Bce, Philip Lane in una recente intervista. L’inverno, quello della finanza, sembra quindi destinato a diventare ancora più rigido. Con effetti pesanti sui conti pubblici e sull’intera economia. Il Tesoro, infatti, sarebbe costretto ad adeguare ancora al rialzo i rendimenti dei Btp offerti agli investitori, facendo lievitare ancora la spesa per interessi e anche un deficit pubblico già rivisto al rialzo per finanziare la manovra appena varata. D’altra parte, diventerebbero più costosi anche mutui e prestiti bancari. A subirne le conseguenze sarebbero le aziende in cerca di nuovi finanziamenti e le famiglie. Queste ultime, tra l’altro, vedrebbero calare ancora la propria capacità di spesa a causa dell’inflazione che erode il valore reale di salari e stipendi. In questa spirale perversa, prevede Bankitalia, i consumi finirebbero per subire una netta contrazione nella prima metà dell’anno prossimo. E a quel punto sarebbe davvero difficile evitare una nuova recessione.