Oltre due milioni e mezzo di persone ricevono l’assegno di invalidità. Ogni tre anni sono obbligate a sottoporsi ai controlli dell’Asl. E spesso capita che qualcuno venga riabilitato miracolosamente. Ecco i casi surreali di pensioni negate

La vita dei malati cronici e degli invalidi è legata a una visita e a una percentuale. Se si sale sopra la fatidica quota del 33 per cento si smette di percepire la pensione di invalidità, che spesso è anche l'unica entrata per chi ha gravi problemi di salute.

Basta poco per far saltare l’assegno mensile a chi soffre di sclerosi multipla o di Parkinson, o per bloccare l'erogazione dei fondi a chi è invalido. A volte basta un parere negativo della commissione Asl e chi vive grazie al sussidio dello Stato si trova senza i 279 euro (che coprono inabilità parziale) o magari privato dei 504 euro che vengono assegnati a chi ha un handicap riconosciuto al 100 per cento.

In Italia i disabili sono un vero e proprio esercito sparso per tutte le regioni e non sempre sono anziani. Sono oltre due milioni e mezzo di cittadini, costretti a ricorrere all'aiuto pubblico per poter vivere. Spesso non possono lavorare o hanno dovuto rinunciare al proprio impiego, per potersi curare.

In questo inferno tocca anche fare i conti con la burocrazia che chiede di dimostrare quello che è ovvio a cadenze regolari. Così ai mutilati tocca sentirsi chiedere dal medico di turno:«Scusi, lei cammina?». Con una risposta quasi scontata:«Senza una gamba è difficile».

Gli stessi che ogni tre anni si sottopongono a una visita per dimostrare che sono sempre senza un arto. La vita degli invalidi si decide spesso nel giro di mezz'ora, la durata della visita di controllo periodica.
La decisione “pensione sì, pensione no” è affidata a commissioni mediche locali che prendono in esame i certificati che portano gli stessi invalidi e che vengono firmati dai medici curanti.

Il colloquio di solito si risolve in una ispezione sommaria, senza esami aggiuntivi da parte dell'Asl. Una volta ottenuto il placet della commissione l'assegno arriva puntuale a tutti i lavoratori che hanno almeno cinque anni di carriera alle spalle prima di un infortunio o una malattia.

I CASI SURREALI DI PENSIONI REVOCATE

La fatidica soglia è la capacità lavorativa ridotta a meno di un terzo, ma basta raggiungere il 34 per cento e addio pensione. La spada di Damocle si ripete ogni tre anni quando è obbligatorio sottoporsi al controllo. E spesso capita che qualcuno venga riabilitato miracolosamente.

«Sono malato di Parkinson da tre anni -racconta Fabrizio Lambrughi quarantenne di Orsenigo, in provincia di Como – e quando ho richiesto l'invalidità ho consegnato gli esami e i documenti firmati dal primario dell'ospedale che mi ha in cura. Dopo una rapida occhiata il medico mi ha fatto fare due passi avanti, due indietro, ha guardato la mia mano e mi ha detto “le faremo sapere”».

Liquidato come in un normale colloquio di lavoro, dopo qualche settimana è arrivata la lettera dell'Inps che gli comunicava che la sua richiesta era stata accolta. Alla seconda visita di controllo, però, l’amara sorpresa.
«Dopo tre anni - continua Lambrughi - mi sono ripresentato e secondo i medici la mia capacità lavorativa era salita al 45 per cento. Quindi non avevo più diritto all'assegno. Tutti sanno che il Parkinson non  guarisce e non migliora. Io sarei un miracolato?».

Il suo caso ha fatto il giro di diversi giornali e telegiornali. E alla fine l'Inps ha accettato di riesaminare il suo caso facendo dietrofront con tanto di scuse e assegno da 500 euro al mese confermato. Come è possibile che gli abbiano tolto l'invalidità?

Alcuni farmaci in commercio sono in grado di arrestare il decorso di malattie incurabili e questo per i medici dell'Inps è considerato un miglioramento, sufficiente ad aumentare la capacità lavorativa del malato e di conseguenza a fargli togliere l'invalidità.
Ci sono poi menomazioni irreversibili, come la perdita di un arto o una paralisi. Nonostante tutto chi ha questi problemi deve presentarsi ugualmente davanti alla commissione Asl ogni tre anni.

Il racconto di Pietro Fiori è quasi surreale:«Ho perso la gamba 43 anni fa, dopo essere stato travolto da un camion. Riesco a lavorare, grazie a una protesi, ma subito dopo l'incidente mi assegnarono una pensione di 12mila lire al mese. Una cifra irrisoria anche nel 1971 ma per averne diritto mi sono sottoposto a controlli regolari. Ogni volta mi presentavo senza la mia gamba a un medico che mi esaminava e stabiliva che l’arto non era ricresciuto. Non mi sono più presentato dopo quasi vent'anni di visite. Ero esasperato, per pochi spiccioli dovevo sempre dimostrare l’ovvio».

Di casi come il suo sono pieni gli archivi delle Asl e dell’Inps. Migliaia di pratiche aperte, lettere, richiami e documenti per certificare l’ovvio. Una marea di carta e burocrazia inutile. La storia di Tiziana Ara, una ex operaia di Ferrara ha il sapore della beffa. Lei è invalida a causa di una banale operazione di ernia al disco finita male.

«So di essere vittima di malasanità e se avessi avuto la possibilità avrei trascinato in tribunale il medico, ma mi sarebbe bastata una piccola invalidità, che in un primo tempo mi è stata anche concessa. Dopo qualche anno mi hanno però comunicato che si sono sbagliati e me l’hanno revocata. Ora per riparare ad un errore non mio mi hanno abbassato l’assegno a 159 euro. Sembra che io voglia l'elemosina, eppure i certificati medici parlano di menomazione permanente».

Eppure per l'Inps la parola permanente non ha lo stesso significato che ha per la lingua italiana. Come lei sono centinaia le persone che si vedono respinte le richieste di invalidità. Con motivazioni che spesso sfiorano l'assurdo. C'è chi addirittura davanti a un assegno tolto si sente dire che in realtà non ne avrebbe nemmeno avuto diritto.

IL MALATO LOMBARDO E QUELLO PIEMONTESE

Parametri univoci non esistono e tutto viene affidato alla discrezionalità delle singole commissioni Asl. Ecco cosa succede tra la Lombardia e il Piemonte, dove il confine non è solo geografico. A distanza di pochi chilometri la differenza si nota in modo particolare quando si parla di legge 104, che disciplina la possibilità di assentarsi dal lavoro per chi soffre di malattie irreversibili.

I permessi retribuiti per chi soffre di disabilità sono in molti casi una soluzione che consente loro di continuare a vivere e lavorare. Ma anche in questo caso gli intoppi burocratici non mancano.

«Vivo a Novara - spiega Valentina Vargiu - e soffro di sclerosi multipla. È una malattia che non può guarire. Ogni anno mi sottopongo alla visita per avere diritto ai permessi retribuiti e mi vengono negati con regolarità. Per l’Asl non peggioro. Non sono ancora in uno stato avanzato perché mi curo con medicine che hanno come controindicazione un effetto calmante che mi costringe a rimanere a letto il giorno dopo l’assunzione».

Da anni Valentina è attiva anche nel volontariato e si è resa disponibile ad aiutare le associazioni che si occupano di sclerosi. Così è entrata in contatto con altri ragazzi nella sua stessa condizione, scoprendo un’ingiustizia:«Ho amici di Gallarate la cui malattia è in stato meno avanzata della mia. Loro hanno hanno diritto ai permessi che a me vengono negati da anni».

Tra Gallarate e Novara ci sono appena trentaquattro chilometri ma corre il confine tra due Regioni. Un abisso per i diritti degli invalidi.

LA PIAGA DEI FALSI INVALIDI

Questo farraginoso sistema con controlli a campione e visite da ripetere periodicamente è stato pensato per arginare la piaga dei falsi invalidi. Centinaia di persone che ogni anno vengono pizzicati mentre vanno in bicicletta, lavorano o parcheggiano l’auto mentre per l’Inps sono ciechi, inabili o completamente immobilizzati.

Basta un medico compiacente e il gioco è fatto. A cavallo tra il Canton Ticino e la Lombardia la Guardia di Finanza a metà ottobre ne ha scoperti diciotto: di qua del confine avevano la pensione di invalidità mentre in Svizzera lavoravano regolarmente come muratori, piastrellisti, idraulici e collaboratrici domestiche.

Tra di loro due falsi ciechi, un falso invalido totale e 15 invalidi parziali, che hanno accumulato negli anni un tesoretto da mezzo milione di euro.

Le cronache locali sono infarcite di storie simili. Ad Agrigento i truffatori non avevano alcun problema nella vita quotidiana, mentre erano invalidi incapaci di muoversi dalla sedia a rotelle o dall'ambulanza il giorno della visita.

La polizia ne ha scoperti e denunciati più di cento, oltre a diciannove medici infedeli: radiologi, reumatologi, audiologi in servizio al poliambulatorio locale dove firmavano tranquillamente per certificare le truffe allo Stato.