La prima rabbina della storia, che veniva da Mosul. Il soldato ferrarese che diventò accompagnatore di egittologi, scrittore e albergatore. E il prete caldeo che fu il primo arabo a visitare il Nuovo Mondo. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale araboislamica

Una femminista ebrea curda del Seicento, diventata la prima rabbina della storia. Un avventuriero italiano che all'Egitto deve avventure, un albergo e un best-seller. E il primo arabo a raccontare il Sudamerica. Sono i tre personaggi con cui vi invito a trascorrere un po’ di tempo in questi giorni: perché ad agosto, che sia un mese di ferie o di lavoro, tendono a formarsi sacche di tempi morti che è bello poter riempire con nuove conoscenze.

 

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Asenath Barzani. Partiamo da lei: a far riaccendere i riflettori su questa donna del Seicento è stata l’esperienza del Rojava, la regione del kurdistan iracheno in cui è nata la Federazione democratica del Nord della Siria, una comunità che unisce gestione dei beni comuni e parità di diritti tra uomini e donne e tra diverse religioni. Barzani (1590-1670) è passata alla storia per essere stata la prima donna ebrea a raggiungere uno status equivalente a quello di un rabbino (la prima rabbina, leggo in un blog dell’antropologa Carol Mann su Mediapart, è stata consacrata nel 1935, a Berlino). Ed è considerata per questo una femminista ante litteram: ma femminista, come vedremo, doveva essere anche suo padre...

Asenath era nata nei dintorni di Mosul in una famiglia di rabbini e mistici. Figlia unica, divenne l’erede intellettuale del padre che le insegnò tutto sui testi sacri, e non solo: quando la ragazza andò in sposa a un cugino, il padre affidò nominalmente a lui la Yeshivà che aveva fondato, ma lo obbligò a mettere per iscritto che Asenath non sarebbe mai stata obbligata né ad avere un lavoro né a fare la casalinga, così da dedicarsi completamente allo studio e all’insegnamento dei testi sacri.

Per saperne di più: una voce del Jewish Women Archive, una biografia su The Kurdish Project, un video della storica Renée Levine Melamme e un testo in italiano.

Giovanni Finati. Io l’ho scoperto perché Chris Naunton nel bellissimo volume illustrato su “I carnet degli egittologi” (Ippocampo) gli dedica qualche riga nel capitolo sul viaggiatore inglese William John Bankes. Ma meritava qualche riga in più Finati, per la sua vita avventurosa come poche.

Ferrarese, nato nel 1786, entra a forza nelle truppe di Bonaparte ma diserta appena può e si rifugia in Albania. Si converte all’Islam, si veste alla turca, si fa chiamare Mohammed e si ambienta anche troppo bene: ci prova con la favorita del suo signore ed è costretto a fuggire. Arriva ad Alessandria e nel giro di pochi anni si arruola, si sposta nella guardia diretta del governatore, si sposa, divorzia, partecipa a una spedizione contro i wahabiti (quelli che ancora oggi fanno il bello e il cattivo tempo in Arabia Saudita), parte per Gedda, va alla Mecca e sulla via del ritorno si ammala di peste. E qui comincia la seconda (o terza?) parte della sua vita, quando diventa l’uomo di fiducia di Bankes. È Finati a far sì che l’inglese e i suoi amici affrontino senza inconvenienti un Paese pieno di insidie, accompagnandoli fino in Alto Egitto attraverso Kom Ombo, Tebe, Abu Simbel. Dopo l’Egitto, Bankes e Finati partono per Palestina e Siria, passando per il Sinai, Gerusalemme, Damasco e Palmira, fino ad arrivare ad Antiochia.
Al ritorno in Egitto, la sua fama di guida infallibile gli conquista la fiducia di altri occidentali, dal console inglese Henry Salt al “proto-Indiana Jones” Giovanni Belzoni, dal barone prussiano Heinrich von Minutoli all'egittologo senese Alessandro Ricci. Ma il legame principale rimane quello con Bankes: per lui Finati cura la spedizione della base di un obelisco, poi lo raggiunge a Londra per testimoniare in suo favore in un processo. E qui viene l’occasione per Bankes di restituire i favori: perché quando Finati inizia a dettare le sue memorie, è l’inglese a curare l’edizione dei 12 volumi di quest’opera-fiume fin dal titolo: “Narrative of the life and adventures of G. Finati, native of Ferrara, who, under the assumed name o Mohamet, made the campaigns against the Wahabees for the recovery of Mecca and Medina, and since acted as interpreter to European travellers in some of the parts least visited of Asia and Africa” (l’unica traduzione in Italia è del 1941 e si intitola laconicamente “Vita e avventure di G. Finati”). Il libro fu un grande successo (e lo è ancora: Sotheby’s ha recentemente messo all’asta una copia per 3mila sterline). E contribuì probabilmente a finanziare la sua ultima avventura: l’apertura di uno dei primi alberghi del Cairo.
Per saperne di più: una voce del Dizionario Biografico Treccani e la riproduzione del suo libro nella biblioteca gratuita Jstor. 

Elias Al-Mawsili. Vedere l’America con occhi diversi: il racconto di viaggio di Al-Mawsili è il primo resoconto sul Nuovo Continente realizzato da un non occidentale. Scritto in arabo, ritrovato ad Aleppo all’inizio del Novecento e tradotto in varie lingue (ma non in italiano), è un racconto interessante e pieno di curiosità. Al-Mawsili, prete cattolico caldeo partito da Bagdad per l’America nel 1675, visita Venezuela, Messico, Perù, Guatemala, Colombia, Cile e Bolivia: in sette anni il prete arabo, che gli spagnoli chiamano Don Elías de Babilonia, gira tutti i domini spagnoli e ne scrive dettagliatamente. Parla di flora e fauna, di nativi e spagnoli, del comportamento di militari e religiosi. Scrive di mosche sanguinarie e di pipistrelli vampiri, assaggia il cacao e tocca la vigogna, descrive il caimano e naviga su una zattera di legno di balsa. Le descrizioni più appassionate però le riserva alle miniere d’oro e d’argento: del resto, lo scopo dichiarato del suo viaggio era raccogliere soldi per restaurare la chiesa caldea di Baghdad...
Per saperne di più: un articolo su AramcoWorld, un saggio su Open Edition Journals e le edizioni del libro in inglese per Syracuse University Press e in francese per Actes Sud.