Un memoir che lega Italia e Somalia. Una famiglia che mischia dialetto barese e arabo tunisino. E la geografia dei colori più amati dai grandi artisti. Consigli di lettura per l’estate dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale arabo-islamica

Pochi libri per l'estate scelti con due criteri precisi: sono quelli che ho amato di più tra le novità che ho recensito nei mesi recenti, o quelli che metterò davvero nella valigia delle vacanze perché finora li ho solo “assaggiati” ma non letti fino in fondo. Il filo che li lega è sempre quello: hanno qualcosa a che vedere con l’argomento di questa newsletter. Un’avvertenza: alcuni sono facili da trovare in vendita, altri li dovrete ordinare, per esempio su Bookdealer, il sito che trova tutto quello che cerchi e lo consegna alla tua libreria di fiducia.

 

Ma è Italia questa? Le storie che racconta Antonio Dikele Distefano, gli scrittori più amati da critici e classifiche non le vedono, o forse gli editori non le cercano. “Qua è rimasto autunno” (Rizzoli) dà voce a Ife e Tito che si ritrovano per il funerale di Paco, ex fidanzato di lei e fratello maggiore di lui. L’elaborazione del lutto è anche la ricostruzione di una vita fatta di affetto e dolore («Eravamo stati una famiglia, poi ci siamo traditi a vicenda, in molti modi diversi»), fino alla ricostruzione.

 

Verso l’infinito e oltre. Il libro ideale in cui immergersi sotto l’ombrellone: tu stai fermo, tanto a vedere il mondo ci pensa lui. Lui è Wilfred Thesiger, leggendario esploratore inglese del secolo scorso. Nella sua autobiografia (“La vita a modo mio”, tradotto da Aridea Fezzi Price per Settecolori) si muove tra Africa e Medio Oriente con tutta la curiosità del viaggiatore colto, ma anche tutti “complessi di superiorità” del funzionario occidentale. Racconta tutto con lirismo e ironia: sta al lettore decidere se apprezzare le sue avventure o se considerarle un recente capitolo della storia del “fardello dell’uomo bianco”.

 

Qui comincia l’avventura. Per chi ama leggere, in principio c’è il libro, o meglio la carta. “Papyrus” di Irene Vallejo (tradotto da Monica Bedana per Bompiani) racconta la storia dei libri dall’antichità a oggi. Si parte dalla scrittura su argilla, seta, pelle, fino ad arrivare al midollo della pianta che ha conservato fino a oggi testi dell’antico Egitto e della Roma imperiale. E poi la carta, i copisti, e i roghi, dalla caccia alle streghe ai gulag, alla biblioteca di Sarajevo.

 

Verità e cingolati. All’ingresso di un kibbutz c’è un vecchio carro armato, emblema dell’eroismo israeliano nella guerra del 1948. Ma le cose non sono andate come dice la leggenda: Assaf Inbari (“Il carro armato”, tradotto da Alessandra Shomroni per Giuntina) trasforma in romanzo una ricerca storica che smantella miti e illusioni: perché il problema della finta verità riguarda tutte le guerre, non solo quella che segnò il destino di Israele e Palestina.

 

Andria dolceamara. A casa di Moemi nessuno parla italiano: né il padre, tunisino emigrato da adulto, né la madre, immersa in una realtà dialettale. Ma la sua famiglia è come tante altre in Italia: stretta tra affetto e soprusi, tra allegria e incomprensioni. Il giornalista pugliese Mohamed Maalel, al debutto come scrittore, con “Baba” (Accento edizioni) racconta una storia autobiografica che si fa notare soprattutto per la nitidezza con cui ricostruisce l’affetto che può legarti anche a un padre violento, e la consapevolezza che tinge di amaro i ricordi più dolci dell’infanzia.

 

Cittadino del mondo. Il titolo dice tutto. “L’incredibile storia di Olaudah Equiano, o Gustavus Vassa, detto l’Africano” (curato da Giuliana Schiavi per Occam) ci fa conoscere un personaggio unico. Oludah Equiano è uno schiavo nigeriano che viaggia tra America ed Europa, tra guerre e avventure, trovando il tempo per studiare, diventare imprenditore e pagare un riscatto per tornare libero. Ma soprattutto per scrivere, con uno stile avvincente e una costruzione che unisce testimonianze avventurose o atroci di prima mano a una trama da romanzo, questa autobiografia unica che viene pubblicata nel 1789, l’anno della Rivoluzione Francese.

 

Colori senza frontiere. Saggio, romanzo, libro illustrato, manuale di storia dell’arte, autobiografia: «L’arte del colore. La storia dell’arte in 39 pigmenti” di Kelly Grovier non è il tipico romanzone da bordo piscina: ma con un racconto intervallato da 250 illustrazioni accompagna il lettore in un imprevedibile giro del mondo senza frontiere burocratiche, religiose o culturali. Perché da quando è nata la pittura gli artisti hanno fatto qualsiasi cosa per procurarsi i colori più adatti per le loro opere. E i loro mecenati hanno dovuto brigare per tenere aperte frontiere anche con i Paesi più odiati, pur di procurarsi il rosso o l’azzurro di cui il genio del momento aveva bisogno.

 

Prima di Leonardo. Una schiava circassa rapita sul Caucaso, venduta a Costantinopoli, sfruttata a Venezia, liberata a Firenze dove diventa la madre del più grande genio del Rinascimento: ne “Il sorriso di Caterina” (Giunti) Carlo Vecce, uno dei massimi esperti di testi rinascimentali e degli scritti leonardeschi, ricostruisce passo dopo passo il viaggio immaginario di questa giovane donna. Ogni capitolo si basa su un documento storico, un manoscritto più o meno conosciuto che ci aiuta a rileggere la storia alla luce del presente.

 

Vittoria contro pace. La prima parola è jirro, malattia. Dello spirito, dei migranti, del corpo. Malattia principe è la guerra: c’è un richiamo all’Ucraina che spiega perché Igiaba Scego abbia scritto solo ora “Cassandra a Mogadiscio” (Bompiani), incentrato sulla lunga sparizione di sua madre, che negli anni Ottanta, in piena guerra civile, tornò in Somalia lasciando a Roma il marito e la figlia adolescente. Quando finalmente, molti anni dopo l’insperato ritorno, la figlia le chiede il perché di quella fuga, la madre le risponde: «Ero sicura che avremmo vinto». L'ultimo capitolo di questo romanzo autobiografico che intreccia tutte le passioni dell’autrice è dedicato alla memoria. Però parla del futuro, di un futuro che, inscialla, non arriverà mai: il giorno in cui il medico dirà alla scrittrice che il glaucoma è peggiorato, che la sua vista sta per sparire. Davanti a una sentenza del genere, quale sarebbe l'ultima cosa che vorresti vedere? In una situazione del genere, Josè Saramago è andato sopra la scalinata di Piazza di Spagna per guardare Roma. Igiaba Scego invece gli occhi li userebbe per un'altra cosa, caro lettore. Non te lo dico perché lo scrive meglio lei: quando l'ho letto, ho pianto.