La danza nata tra Parigi e la Costa d’Avorio arriva a Palermo per un laboratorio del festival Blas. Che coinvolge giovani italiani e migranti intorno al ballo e al calcio. I due coreografi ce lo raccontano in anteprima. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale araboislamica

Si chiama coupé-decalé : un nome difficile da inquadrare finché non cerchi un video e scopri uno stile inconfondibile che mischia acrobazie e micromovimenti, freestyle e stop-motion: i segni distintivi di questo mix di musica e danza che dalla Costa d’Avorio – via Parigi – sta conquistando la scena mondiale. Prossima tappa è a Palermo: dove “BLAS - Between Land and See”, rassegna di arte e società promossa da Fondazione Studio Rizoma tra Tunisi, Brema e Palermo, presenta un progetto curato da Eva-Maria Bertschy che fa collabroare due protagonisti del movimento – la coreografa tedesca Monika Gintersdorfer e Ordinateur, dj e ballerino ivoriano – con un gruppo di giovani di Ballarò. Due settimane di lavoro con il trio La Fleur, formato dai due insieme alla cantante e ballerina ivoriana Annick Choco, per costruire un evento unico: l’appuntamento con lo spettacolo è il 29 e 30 giugno nel Complesso Monumentale di Santa Chiara. Noi ce lo siamo fatto raccontare in anteprima da due dei protagonisti.

 

Partiamo dall’inizio. Cosa significa coupé-décalé?
Ordinateur: «Vuol dire « prendo e vado via». Ti interrompo e mi sposto».

 

«Prendo e vado via» in che senso?
Ordinateur: «È una frase in codice».

 

Questo stile è nato a partire dal Duemila, mentre in Costa d’Avorio c’era la guerra civile. C’è un legame con quella situazione drammatica?
Ordinateur: «Il coupé-decalé è nato durante la guerra civile, quando il paese era diviso. Quando è iniziato il movimento, le persone andavano nei club e cominciavano ad interessarsi a quello che si faceva chiamare “Jet Set”, perché facevano nuova musica e avevano un nuovo modo di vestire. Era una novità talmente trascinante che i giovani iniziarono a dimenticare la guerra».
Monika Gintersdorfer: «È stato un caso che il coupé-decalé sia nato contemporaneamente all'inizio della crisi. Mentre i politici cercavano di dividere la popolazione per ragioni di potere, il coupé-decalé non faceva nessuna differenza tra le persone. Perché durante la notte ognuno può avere l'identità che si è scelto: non importa di che religione sei o se vieni dal nord o dal sud. È solo la tua identità coupé-décalé quello che conta. Tra i personaggi del Jet Set ce n’era uno chiamato "Il Presidente", proprio perché ha detto: “I politici vogliono fare la guerra ? Allora io sono il vero presidente, il presidente della gioia”».

 

Cosa è nato prima, la musica o la danza? O sono nate insieme?
Ordinateur: «Io credo che sia nata prima la danza».
Gintersdorfer: «È difficile decidere. In principio c'era una musica congolese che è stata modificata da musicisti ivoriani: l'hanno accelerata e hanno fatto mix elettronici. Allo stesso tempo, c'era quelli che Parigi si facevano chiamare Jet Setnon lavoravano sulla musica...».
Ordinateur: «… Loro hanno creato i movimenti, i passi di danza, i concetti. E i dj, grazie alla musica congolese fatta da musicisti chiamati atalakus, hanno creato delle animazioni e dei beat. È solo con il tempo che si è creata una vera musica coupé-decalé».
Gintersdorfer: «Ma i protagonisti del Jet Set di prima generazione non erano musicisti, né ballerini. Avevano solo un atteggiamento filosofico, andavano in discoteca con i loro amici per mettersi in mostra. Erano anche molto eloquenti. Fu solo più tardi che musicisti e ballerini unirono le forze e iniziarono a creare uno stile originale».

 

Di cosa parlano i testi delle canzoni? Sono impegnati o d’evasione?
Gintersdorfer: «Nel coupé-décalé, certe parole sono combinate con certi movimenti. Movimenti diversi rispetto ad esempio alla danza congolese. È davvero unica, come idea di danza».
Ordinateur: «Ma il coupé-décalé è nato per creare l'atmosfera e far ballare la gente. Non è fatto per impegnarsi politicamente».
Gintersdorfer: «Oggi è un movimento molto ampio, quindi ci sono molti artisti che fanno varie cose. Però non ha mai testi lunghi, si tratta piuttosto di concetti fatti di poche parole. I testi trattano di tutti gli aspetti della vita quotidiana. A volte dico che è come un linguaggio post-narrativo perché i gesti sono molto importanti. Però alcuni cantanti raccontano storie, o fanno ragionamenti più complessi. Ci sono molte forme diverse».

 

Il coupé-décalé è nato in Francia ma rimanda continuamente alla Costa d'Avorio. Qual è il legame tra la nascita di questo stile e il movimento migratorio dalla Costa d'Avorio verso l'Europa durante la guerra civile?
Ordinateur: «Da noi si dice: quando piove a Parigi, Abidjan si bagna. Alcuni artisti che erano nel club di Parigi dove è nato il movimento, sono tornati ad Abidjan e lì hanno mostrato la nuova tendenza nata tra gli ivoriani che erano partiti per l'Europa. La gente guarda i video che altri hanno fatto nei locali, passano parola e la notizia si diffonde».
Gintersdorfer: «La particolarità di questo movimento è che in discoteca le persone possono diventare qualsiasi cosa vogliano essere. Per chi ha una storia di migrazione, questo significa che non è più così importante cosa i francesi pensano di loro, o cosa c'è scritto sui loro documenti. Tu sei il personaggio che hai creato quella notte. E anche durante il giorno, le persone ti chiameranno con il soprannome che ti sei dato piuttosto che con il nome che c'è sul tuo passaporto. Poi, i gesti e i comportamenti che ha inventato in discoteca di notte, il Jet Set li ha portati di giorno per strada, nei ristoranti…»

 

Negli ultimi anni, il coupé-décalé ha avuto successo anche nel resto del mondo. In quali paesi ha più successo? Sono nate variazioni locali della danza - italiana, spagnola o altro?
Gintersdorfer: «All'inizio, il movimento era abbastanza forte ad Amburgo, dove vivevo, perché lì abitavano Solo Béton e altre persone del Jet Set, come Tupac e alcuni ivoriani che erano davvero appassionati. Così, all'improvviso, potevi sentire in una canzone parole come "rechts-links", perché mescolavano il tedesco ai loro testi. Ma hanno sempre invitato artisti di Parigi e Abidjan che sono rimasti il punto di riferimento. Ci sono comunità di ivoriani in ogni paese che fanno parte del movimento, che in questo modo si è allargato moltissimo».

 

I giovani che avete incontrato a Palermo conoscevano già il coupé-décalé?
Ordinateur: «Ci sono alcuni ragazzi ivoriani che lo conoscevano, o che ne conoscevano le musiche senza sapere di cosa si trattava esattamente. Altri invece sono ganeani, e danzano l’afro-beat. È un miscuglio che riprende danze della Guinea, della Nigeria, della Costa d’Avorio… »

 

Il vostro spettacolo richiama anche il legame tra calcio e danza. Come nasce questo legame?
Ordinateur: «Il calcio e la danza vanno sempre insieme. Molti calciatori conoscono bene i ballerini. Io stesso per esempio conosco personalmente molti calciatori. Quando fanno gol lo festeggiano ballando. E anche noi ballerini amiamo giocare a calcio. La danza è il mio mestiere, ma nel tempo libero io vado a giocare a calcio».
Gintersdorfer: «E nel gruppo di ragazzi qui a Palermo questa cosa si è confermata. Perché ci sono due sogni: diventare un grande calciatore o una star della danza. Tanti sognano una delle due cose. Anzi, nel gruppo ci sono diversi ragazzi che le sognano tutte e due, e che hanno un talento per entrambe! Bisogna dire che è una caratteristica africana: nelle squadre italiane o tedesche probabilmente non ci sono molti calciatori che sognano di diventare ballerini…»
Ordinateur: «Da noi, prima di ogni finale di calcio ci sono dei ballerini che danzano per dare più ispirazione ai calciatori, per motivarli a dare il meglio nella partita».
Gintersdorfer: «E spesso i calciatori hanno mogli che fanno le modelle, le cantanti, le attrici, le blogger, perché uno aumenta la visibilità dell’altro. E insieme diventano molto popolari».

 

Diventare calciatore o ballerino, è sempre legato al sogno di lasciare il Paese per venire in Europa? O è anche per avere successo nel proprio Paese?
Ordinateur: «Nella mentalità di molti giovani, ancora dieci anni fa l’idea era: solo se vai in Europa avrai successo. Ogni calciatore che gioca in Africa vuole avere la possibilità di crescere giocando nelle squadre più grandi, e le squadre con maggior potere finanziario sono in Europa. Se sei un artista, invece, non devi per forza venire in Europa. Io per esempio quando ballavo per Dj Arafat (uno dei fondatori del coupé-decalé, morto in un incidente nel 2019, ndr) stavo bene dov’ero: e non credo che sarei venuto a vivere in Europa, se lui fosse ancora vivo».
Gintersdorfer: «La musica africana negli ultimi dieci anni si è allargata moltissimo. Le star degli Usa vogliono lavorare con quelle di Nigeria, Costa d’Avorio etc. Lo Showbiz africano oggi è molto più seguito e apprezzato in Europa. Quindi il pubblico per le star africane è diventato vasto, ed è diventato meno importante venire in Europa per costruire la propria carriera».
Ordinateur: «Se un cantante o un ballerino diventa famoso per il suo lavoro, gli pagano un biglietto per fare una tournée in Europa o negli Usa. Guadagna un sacco di soldi ma a spettacolo finito corre di nuovo nel suo Paese, dove sta a suo agio e può fare ciò che vuole. Perché vivere qui in Europa e vivere in Africa non è la stessa cosa. In Africa c’è la tua famiglia, c’è il tuo mondo: qui invece ci sei tu, da solo».