A suo modo, quella dei complotti è una fede nell’assurdo nutrita per sopportare una realtà assurda

Nonostante tutto, è difficile avercela con i complottisti: la loro ingenuità fa quasi tenerezza. Abboccare alle bufale è così rassicurante rispetto alla fatica che comporta la razionalità o a una realtà dove il merito è svalutato dalla burocrazia e poche persone hanno successo, a discapito di masse che si spaccano la schiena per campare. Deve esserci qualcosa che non torna, ci stanno fregando. Partendo da questo assioma, pensate che bello infervorarsi per qualcosa all’infuori di noi stessi, partecipare a gruppi Telegram insurrezionalisti e sentirsi parte di un’élite di pochi che ha capito tutto. Il complottismo a suo modo è una fede nell’assurdo messa in piedi per sopportare una realtà altrettanto assurda.

 

Desacralizzate le religioni, le istituzioni secolari, le vecchie credenze, viviamo nella luce della razionalità e della tecnologia. Che, però, non ci scalda il cuore abbastanza.

 

Per mappare la cosmogonia di questa nuova tipologia di credenti, l’istituto di ricerca Swg ha pubblicato un’indagine secondo cui, tra gli italiani, sono diffuse le teorie del complotto più assurde. Partiamo dalle basi del sondaggio per cui: la Terra è piatta (15 per cento); non siamo mai sbarcati sulla Luna e le foto che abbiamo dell’allunaggio sono scattate su un set (29 per cento); le Torri Gemelle le hanno buttate giù gli Usa (32 per cento); la Shoah non è mai avvenuta (17 per cento); Elvis, Adolf Hitler e molte celebrità decedute sono ancora vive e si trovano nascoste su un’isola misteriosa (18 per cento).

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Internet, i social, il Deep Web, i gruppi Telegram, le teorie del «comblotto» si diffondono velocissime e arrivano fino al presente, che appare dominato dal deep state e da Big Pharma. Le conosciamo bene: il Covid-19 è stato creato dalla Cina come arma per distruggere l’Occidente e favorire le case farmaceutiche (36 per cento).

 

Ora, possiamo anzitutto ridere di questi teoremi, oppure provare a capire cosa spinge una persona a crederci. Credere prevede un’epica di martirio e salvezza. Si attende un messia, un capopopolo, una sorta di insurrezione per ribaltare l’ordine costituito che ci opprime. Credere dà una sorta di marcia in più, una grinta da contrapporre all’apatia del depresso sconfitto che produce, consuma e infine crepa. Anche essere stati grillini agli inizi penso sia stata una sensazione simile.

 

Il complottista è un sognatore imperterrito. Spesso poco istruito, sì, ma attenti a non fare l’errore di ritenerlo solo ignorante. «Il tasso di laureati cospirazionisti si assesta attorno al 5 per cento» (Il Foglio).

 

Eravamo forse più razionali nei secoli precedenti, nonostante ci affidassimo alla magia e alle credenze popolari. Quantomeno non eravamo andati nello spazio, potevamo ancora dubitare di qualcosa. Eppure, tutta la nostra modernità non basta a rassicurarci.

 

Scriveva Bataille in un testo apparso nel 1970: «La misura e la banalità si sono lentamente impadronite del mondo; orologi sempre più precisi hanno rimpiazzato le vecchie clessidre ancora cariche di un senso funebre. La terra è stata così perfettamente svuotata di ciò che rendeva tremante la notte. Ne risulta che l’avidità umana non è più diretta come una volta verso limiti potenti e maestosi: essa aspira al contrario a ciò che libera da tranquillità e stabilità» (Georges Bataille, “Il labirinto”, Se Edizioni, 2003). Diciamo che per avere più di cinquant’anni è un pensiero invecchiato bene.