Il peso del passato nel nostro Paese è troppo gravoso. E anche per questo siamo passati dalla bellezza delle architetture del Rinascimento all’era degli influencer. Serve una rivoluzione

Avete presente il centro storico di Firenze? Vendiamolo. Invece che chiedere a Giorgia di legalizzare l’erba come hanno fatto i finti e ricchi provocatori dal privilegiatissimo palco di Sanremo, chiediamole di liberarci dal peso del passato per fare spazio a un po’ di presente. Questo è scioccante e provocatorio, mica farsi le canne. Tanto la Firenze del Rinascimento non esiste più. Al suo posto c’è solo il vago ricordo di un’anima che ha abitato quei luoghi ma che oggi è calpestata ogni giorno da migliaia di turisti.

 

Ma non limitiamoci a Firenze. Camminiamo per le nostre vecchie città ed è come se il passato glorioso da cui discendiamo fosse una cappa che ci opprime, anche perché il confronto con quando contavamo qualcosa nel mondo della cultura è sinceramente impietoso. Siamo passati dalla bellezza delle architetture del Rinascimento e dal Romanticismo dei grandi pensatori all’era degli influencer, dei vestiti e dei capannoni quadrati in periferia (i capannoni rettangolari sono il cancro architettonico che uccide il paesaggio più dell’abusivismo e degli ecomostri. Non più volte, non più archi e colonnati, solo parallelepipedi brutti).

 

Il Belpaese è solo uno slogan, siamo alla canna del gas. Inutile raccontarci che cresciamo dello zero virgola qualcosa e che il segno è positivo, monetizziamo un vecchio patrimonio culturale il cui peso impedisce in Italia qualsiasi cambiamento, qualsiasi cambio di prospettiva, qualsiasi ammodernamento.

 

L’Italia è un paese turistico? Basta. Non deve esserlo più. Basta far scappare i cervelli e accogliere i consumatori. Cos’è il turismo se non un settore che ingrassa le tasche di pochi soggetti ma che depreda il territorio e si abbatte sui residenti e i lavoratori come una scure? Città come Venezia sono trasformate in parchi giochi distopici per adulti in cui nessuno si diverte, luoghi in cui vige la coda eterna, l’abbigliamento tecnico e lo shopping di paccottiglia terrificante. Il prezzo di un panino va alle stelle, un tragitto normale diventa impossibile, gli affitti fanno scappare i residenti.

 

Se volete rendervi conto di cosa dico andateci a Venezia ma per la mostra fotografica di Inge Morath. Capirete che pochi decenni fa quella era davvero una città con un’anima e una popolazione mentre oggi è solo un centro commerciale intasato.

 

La cupola del Brunelleschi, il Colosseo, Trinità dei Monti? Diamoli a Dubai o a Las Vegas. Spediamo via in blocco l’originale proprio e risaniamo il Pil. La sensazione sarebbe quella di quando liberi gli armadi da abiti e oggetti che non usi più… prima di farlo il terrore, poi, una volta osservati i sacchi neri, la catarsi.

 

Dopo avremmo due scelte: o rimpiazzare i monumenti con una copia tarocca ma identica come già si fa con le opere d’arte, oppure sfruttare l’occasione per qualcosa di rivoluzionario: fare spazio al nuovo. Pensate che enorme possibilità di lasciare un segno nei nostri tempi, che sensazione di sentirsi veramente artefici di qualcosa. Certo poi ci sarebbe il rischio che l’appalto venisse dato a un’azienda poco qualificata o raccomandata e che facessero qualche orrore verticale, ma non varrebbe la pena tentare?

 

La nostra storia è il passato, ed è enorme. Ma abbiamo bisogno di futuro o quantomeno di presente per cui non solo non ci sono i fondi, manca metaforicamente lo spazio. Se la politica non percorre strade così in salita sarà dura che qualcuno ritenga importante andare a votare.