Prosegue la cronaca per immagini del conflitto. Visto da una giornalista ucraina e da un artista russo

È estate. «Ma ho il diritto di assaporarne l’atmosfera?». K. è russo, osserva la guerra da fuori. Artista di San Pietroburgo, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina ha ammesso a se stesso ciò che già sapeva ma continuava ad ignorare: di non poter più vivere in un Paese aggressore e liberticida. Come molti russi in totale disaccordo con la guerra, ma impossibilitati a esprimere apertamente il loro dissenso, si è temporaneamente separato dalla famiglia, è partito alla ricerca di un luogo dove trasferirla, e l’ha trovato in Lettonia. Ora è tornato a casa, a preparare i documenti. Ma nel frattempo il senso di colpa, sindrome di ogni sopravvissuto, è uscito allo scoperto: è estate, ma posso davvero goderne?

 

K. è uno dei protagonisti di “Diaries of war”, graphic novel che l’illustratrice Nora Krug ha cominciato a realizzare sin dalle prime settimane di guerra, mettendo a confronto, attraverso interviste, due testimoni del conflitto, e traducendo la loro esperienza in immagini: da una parte un cittadino russo, dall’altra una giornalista ucraina. Il risultato è un reportage dalla vita quotidiana, e parallela, di due persone comuni, stravolte dal conflitto. Un work in progress che L’Espresso sta pubblicando in esclusiva per l’Italia, dal 24 aprile, insieme con altre testate internazionali come Los Angeles Times e De Volkskrant.

 

Leggi tutta la graphic novel

  1. Prima parte
  2. Seconda parte
  3. Terza parte
  4. Quarta parte
  5. Quinta parte
  6. Sesta parte
  7. Settima parte
  8. L’ottava parte è in fondo alla pagina

Avevamo interrotto il racconto alla tredicesima settimana, con il ricongiungimento di K., la giornalista di Kiev, con i figli: la prima reazione all’invasione russa era stata quella di trasferirli con la nonna in Danimarca. Festeggiato il compleanno del bambino più piccolo, la donna è tornata in Ucraina, progettando di riunire presto la famiglia da qualche parte in Europa. 

 

C’è voglia di normalità, in questa guerra lunga ed estenuante: di riprendersi la propria vita, il proprio lavoro, i propri affetti. E ci si interroga tanto, da una parte e dall’altra.

 

K. riflette con la madre sul significato di identità culturale: l’anziana donna è un’ebrea russa ma si è sempre considerata ucraina, originaria da una famiglia che si definiva “cosacca” e non russa. E anche quando si è risposata in Crimea, e ha fatto crescere la figlia in Russia fino ai 13 anni, nulla è cambiato: entrambe si sono sempre sentite ucraine. D., dalla parte opposta della guerra, vive la stessa complicata geometria di un’identità improvvisamente messa alla prova: ha antenati siberiani ed ebrei. È nato in Unione Sovietica, ma è cresciuto in Russia. È contrario alla guerra, e dunque è un traditore agli occhi delle autorità. Ma per gli stranieri è russo, e questo basta a considerarlo cittadino del Paese responsabile della guerra. Il conflitto è questo: dolore, sangue, perdite, distruzione, l’incalzare di nuove urgenze. Ma anche un permanente senso di fragilità, che mette in discussione tutto: valori, patria, appartenenza, diritti, legami. Quello che ci rende le persone che siamo.

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