Speciale
Il Premio Strega 2023 è viaggio in un’Italia fragile e ammalata
Questa edizione del premio letterario è contraddistinta da storie di ferite e di fragilità. Abbiamo chiesto ai finalisti di raccontare il loro libro. E consigliarne uno sottovalutato
Ada, e un testamento d’amore straziante alla figlia Daria, malata. Il dramma degli orfani della guerra. La depressione, in un dialogo toccante con un padre che non c’è più. Una bambina di pochi mesi abbandonata su un prato da genitori suicidi e il viaggio alla ricerca di un perché.
Trame di dolore e di vita autentica sulle quali si intrecciano i libri candidati al Premio Strega 2023: fatta eccezione per “Rubare la notte” (Mondadori) di Romana Petri, e del suo arioso risarcimento all’esistenza da romanzo di Antoine de Saint-Exupéry - e con un doveroso distinguo per Rosella Postorino che in “Mi limitavo ad amare te” (Feltrinelli) a una storia vera si è solo ispirata, portandola altrove come fanno i romanzi - tragedie individuali, storie di relazioni interrotte, situazioni commoventi contraddistinguono l’edizione di quest’anno della più importante competizione letteraria, da “Come d’aria” (Elliot) di Ada D’Adamo a “Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone (Einaudi) e “La traversata notturna” (La nave di Teseo) di Andrea Canobbio.
E se è vero che il Premio Strega, come ha dimostrato nel corso della sua storia, è la più fedele riproduzione dei gusti letterari degli italiani; se, come ha notato più volte Stefano Petrocchi, Direttore della Fondazione Bellonci e segretario del Comitato direttivo del Premio, l’obiettivo è «non tanto formare un canone, ma rivolgersi alla società dei lettori e interpretarne le tendenze», qualche domanda va posta: che cosa racconta del Paese questa intimità col dolore, questa scrittura che intinge le parole nelle ferite e vi preme ancora contro? Il dolore è vita, certo, può far germinare consapevolezza, bellezza, speranza: ma perché così tante pagine letterarie, proprio ora, esplorano la sofferenza?
Può spiegarlo la pandemia, come ha detto Melania Mazzucco, che già nel presentare gli 80 candidati aveva notato la tendenza? «Si è abbattuta sui libri l’onda lunga dello shock post-traumatico. Per la maggior parte, quest’anno, i libri s’inscrivono nel segno del trauma, privato, personale, a volte segreto e indicibile, ma anche pubblico, collettivo. I leitmotiv principali sono la morte, la perdita, la malattia, l’elaborazione del lutto. L’ospedale, pediatrico, clinica psichiatrica, RSA, è lo spazio narrativo ricorrente».
O siamo di fronte alla fine delle storie a vantaggio di memoir, diari, biografie, come ha scritto Loredana Lipperini, e non ci resta che prendere atto di un principio di realtà richiesto ai libri, più di ogni altra cosa? Di certo, la narrativa italiana sta cambiando. In un Paese di gente che scrive, dove un rigoglio di scuole di scrittura esalta l’autoconfessione, la prima persona, i toni diaristici, il romanzo di pura fiction non è più genere prevalente. E lo Strega registra, prendendo in carico quest’Italia fragile e ammalata. E affidando alla parola la cognizione del dolore: la cura, o almeno la consolazione.
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